di Eva Signorile - foto Antonio Caradonna

Natura, ponti, cave e masserie: alla scoperta del "parco nascosto" di Lama Balice
BARI – Un “mondo” fatto di natura selvaggia, alte pareti rocciose, cave, masserie, ponti, campi coltivati e zone inaccessibili. Parliamo di Lama Balice, uno dei nove ex corsi d’acqua di Bari, ma tra tutti quello dal panorama più vario e dalla storia più interessante: basti pensare che al suo interno qualche anno fa sono state ritrovate migliaia di orme di dinosauro.

La lama rappresenta il letto dell’antico fiume Tiflis, che nasceva sull’Alta Murgia e sfociava in quello che è oggi il rione Fesca di Bari. Un sito che nel tempo è diventato un baluardo della “biodiversità”, così ricco di flora e fauna da convincere la Regione Puglia a istituire un parco al suo interno, grazie alla legge n.15 del 5 giugno 2007.

Purtroppo però a distanza di undici anni il progetto è rimasto più che altro sulla carta. Della lama è visitabile solo una piccolissima porzione: il resto è ostacolato da reti di recinzione o irraggiungibile a causa di una vegetazione a tratti indomita. In più il centro informazioni del sito è spesso chiuso e i tour si limitano a sporadiche escursioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nonostante ciò abbiamo provato ad avventurarci all’interno del “parco nascosto” (che si estende tra i territori di Bitonto, Modugno e Bari) per provare a raccontarlo e fotografarlo in maniera inedita. Ed ecco il nostro racconto. (Vedi foto galleria)

Il punto da cui partiamo è Villa Framarino, una masseria del XII secolo completamente ristrutturata che funge da riferimento del “Parco Naturale Regionale Lama Balice”. Per giungerci dal centro di Bari bisogna imboccare la provinciale 156 (strada Bitonto-Palese Aeroporto) per poi girare sulla sinistra seguendo le indicazioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quando arriviamo, alle 15.30 di un lunedì pomeriggio troviamo la villa chiusa: è aperta solo una stanza occupata dal nucleo della Protezione Civile che non è in grado di fornire mappe o informazioni sul luogo. Da ciò che veniamo a sapere è stato demandato ad alcune associazioni il servizio di “guida”, ma le visite sono limitate o a eventi “speciali” oppure a tour prenotati che devono però coinvolgere gruppi di almeno 15-20 persone. E comunque l’area oggetto di perlustrazione è circoscritta a una risibile porzione di terreno rispetto ai 500 ettari e ai 16 chilometri di estensione del parco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta quindi che far da soli.  Dalla masseria raggiungiamo il lato sinistro del canyon, dove tramite una terrazza è possibile contemplare le alte pareti rocciose che scendono a picco e si tuffano in un “mare” di alberi e arbusti.  

Da questo punto in poi non si potrebbe proseguire, ma decidiamo comunque di avventurarci in avanti costeggiando un alto muro di cinta e inoltrandoci nella campagna. Solo in questo modo riusciamo ad ammirare dall’alto i rossi costoni di una delle due cave di pietra in disuso dove sono state rintracciate le orme di dinosauro.  

Torniamo indietro e questa volta ci dirigiamo verso un sentiero praticabile che ci permette di scendere nel letto. Ci inoltriamo in una vegetazione sempre più invadente: davanti a noi una lussureggiante porzione di canneto si curva fino a creare una sorta di tunnel.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Incrociamo un “pagliaro”, ovvero una costruzione simile a un trullo utilizzata in passato come ricovero per i contadini, fin quando non arriviamo ai piedi del “Ponte Antico”.  Si tratta una struttura in pietra dorata costruita nel 1882 che mette in collegamento i due costoni della lama. In molti lo chiamano il “Ponte del Brigante”, perché secondo la leggenda vi si nascondevano i ladri per aggredire i passanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


In questo punto termina il parco visitabile, visto che una rete impedisce di proseguire. Ma non ci perdiamo d’animo e riusciamo ad aggirare la recinzione, inoltrandoci nel letto dell’antico Tiflis che mostra ancora i segni degli ultimi acquazzoni: strati di fango solidificato e piante piegate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da qui si apre una grande area coltivata. Incontriamo il primo contadino, ha 86 anni ed è piccolo e ossuto, con il volto solcato da rughe. «Ho comprato questo pezzo di terra nel 1956 – ci racconta mentre sta riparando lo steccato per i pomodori – e vengo qui tutti i giorni. Le piante crescono da sole, senza che le innaffi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Più avanti un altro lavoratore armeggia con foglie, aggiusta sostegni: si è ricavato un sentiero tra le erbacce e ha creato dei gradini per passare da un livello all’altro. Lui è qui dal 1985 e da allora continua a rendere fertile questa terra, nonostante i frequenti incendi estivi e soprattutto le piene durante i temporali invernali.  

Passeggiamo tra i campi, ma a un certo punto un’altra recinzione che delimita un enorme latifondo ci sbarra il passaggio. Non ci resta quindi che tornare indietro fino a Villa Frammarino per riprendere l’auto e andare a esplorare la depressione in altri punti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Imbocchiamo così la provinciale 156 in direzione Bari. Dopo aver incrociato un “titolo”, antica costruzione in pietra che segnava i confini tra Bitonto e Bari, giriamo a destra per la vecchia provinciale 54, spettacolare strada circondata dalla roccia che passa sopra il Ponte Antico tagliando in due la lama.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La nostra prossima destinazione è l’Hotel Parco dei Principi situato nei pressi dell’Aeroporto, dalla cui terrazza possiamo avere una visione d’insieme della Balice. Da qui riusciamo anche a scorgere un viadotto che, attraversando il canyon, pare quasi un ponte sospeso nel vuoto. E sullo sfondo ecco i palazzi del quartiere San Paolo, alcuni dei quali costruiti proprio a ridosso del Tiflis.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Scendiamo e imbocchiamo ora viale Europa, arteria che porta nel cuore del “Cep”. Un cartello ci avvisa della presenza di cinghiali, animali che ormai da qualche anno sono soliti scendere dall’Alta Murgia fino a Bari attraverso la lama.

Subito dopo la Caserma della Guardia di Finanza viale Europa devia in una strada rurale che conduce a Masseria Caggiano, un edificio del XV secolo che tra distruzione e scritte di ogni tipo rappresenta ormai un rudere. Dall’alto della sua terrazza possiamo però ammirare l’ultimo tratto del canyon, il mare e i palazzi di Fesca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ritorniamo sul viale principale e dopo aver costeggiato Masseria Triggiani, altra storica costruzione in rovina, imbocchiamo via Bonomo e infine strada rurale del Torrente. Siamo sempre costeggiando il Tiflis, che però da questo punto in poi diventa basso e soprattutto coltivato in ogni suo punto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La via passa poi sotto la statale 16 e raggiunge il rione Fesca, lì dove l’ex fiume si trasforma in una grande distesa di erba incolta. E qui, dopo qualche centinaia di metri, Lama Balice conclude finalmente il suo viaggio, andando a sfociare in un tappeto di alghe tra le braccia del Mare Adriatico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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