di Giancarlo Liuzzi - foto Antonio Caradonna

Torre a Mare, sotto la statale 16 c'è un sito scavato nel Neolitico: è la Grotta della Tartaruga
BARI – Si trova praticamente sotto la statale 16 ed è stata scoperta quarant’anni fa proprio durante i lavori per l’allargamento della strada, rivelando così il suo circuito architettonico sotterraneo scavato dall’uomo in età Neolitica e del Bronzo medio. Parliamo della “Grotta della Tartaruga”, un sito presente all’interno di Lama Giotta, lungo “fiume verde” che attraversa il territorio del quartiere Torre a Mare di Bari. (Vedi foto galleria)

Un luogo che fa parte dell’antico insediamento formatosi qui tra il VI e il III millennio a.C.: quello che gli esperti definiscono la “culla” della civiltà barese. Una vasta zona che comprende aree archeologiche situate sul mare, come Cala Scizzo, Punta della Penna, Cala Colombo, Cala Settanni e Scamuso, oltre a questa cavità posta in una posizione più interna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il sito venne scoperto nel 1982 dall’Anas durante la demolizione del costone roccioso della lama, necessaria per i lavori di raddoppio della careggiata della 16. Fu il professore di Paleontologia, Donato Coppola, a notare per primo l’antro, iniziando gli studi e le ricerche che permisero il ritrovamento di vasellame, scheletri e denti di squalo. Reperti attualmente esposti nel Museo di Santa Scolastica.

All’epoca furono anche rinvenuti bollitori per il latte (che testimoniano il successivo utilizzo pastorale e agricolo della caverna), oltre al carapace di una tartaruga utilizzato in antichità per compiere riti religiosi di sepoltura. Rettile che diede così il nome alla grotta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo quindi andati a visitare questo importante sito, accompagnati da Giuseppe Poli, presidente di “Locomotion Torre a Mare”, associazione nata con l’obiettivo di valorizzare l’area archeologica e paesaggistica di Torre a Mare attraverso la realizzazione dell’Ecomuseo Gabbiano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per raggiungere il luogo percorriamo la 16 in direzione sud e imbocchiamo l’uscita che ci porta sulla viabilità di servizio all’altezza del cimitero di Torre a Mare. Da qui proseguiamo su una strada sterrata che costeggia l’arteria principale e che conduce, dopo circa 300 metri, all’inizio di un viale alberato che corre parallelo a Lama Giotta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Lama in cui scendiamo facendoci largo tra alberi e piante di ogni genere, tra cui lecci, roverelle, fragni, sughere ed edera, per arrivare al di sotto della statale 16, sorretta da grossi piloni di cemento decorati da murales. Proprio a ridosso di uno di questi pilastri si trova l’ingresso della caverna.  

In realtà l’accesso naturale all’ipogeo fu chiuso quarant’anni fa per permettere la realizzazione della statale, venne però creato nel contempo un piccolo corridoio in cemento armato per permettere di inoltrarsi comunque nel sotterraneo. Dopo alcuni anni il varco fu serrato con dei blocchi di pietra per ragioni di sicurezza, ma recentemente alcuni vandali hanno distrutto il muro. Risultato: la grotta è stata deturpata e invasa di rifiuti, ma è ora accessibile a tutti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta quindi che entrare, ritrovandoci subito davanti ai resti marci di un materasso circondato da immondizia di ogni genere. Ci facciamo strada per qualche metro grazie alla luce dei nostri faretti, fino a portarci all’interno del vano principale della cavità, scavato migliaia di anni fa con picconi in punta di selce.

Ed eccoci all’interno di uno spettacolare spazio di circa 15 metri per 10 ricolmo in parte di materiale di riempimento. La volta in pietra, dalle varie sfumature che vanno dal colore blu al sabbia, è costellata da resti di conchiglie ed esoscheletri di ricci di mare, depositati milioni di anni fa nella calcarenite.

Dal soffitto pendono anche i resti dei fili a piombo, strumenti utilizzati negli anni 80 durante le prime indagini effettuate nell’antro. Notiamo anche alcuni segni bianchi e rossi, assieme a scritte risalenti sempre al periodo delle ricerche.

Una passerella di metallo, che sovrasta piccoli pozzetti colmi di rifiuti, ci permette di raggiungere i successivi cinque piccoli ambienti laterali: cavità buie e impervie dove migliaia di anni fa venivano accesi fuochi per i rituali di sepoltura.

In passato l’ipogeo doveva essere unito ad altri sotterranei presenti nella lama, costituendo un unico complesso. Quasi tutti i collegamenti sono però oggi bloccati da materiale di risulta e cumuli di pietre ne impediscono l’esplorazione. Un peccato.

«Il sito merita di essere valorizzato – sottolinea Poli  –. Il nostro progetto prevede un’accurata pulizia della grotta, oltre alla realizzazione di un cancello all’entrata. L’obiettivo è quello di rendere fruibile a tutti questo antico tesoro, pur preservandolo da incuria e vandalismo».

(Vedi galleria fotografica)


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Giancarlo Liuzzi
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  • Anna Marotta - Non conoscevo così da vicino e con una così chiara spiegazione ,questo interessante sito archeologico! Complimenti per l'articolo e per la fotografia a Giancarlo Liuzzi e Antonio Caradonna. Grazie


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