Un tempoammirati da tutti nella piazza della Stazione di Bari, poi dimenticati nel magazzino di un’industria, infine restaurati e posti all’interno dell’androne del Comune di Bari. È questa la storia del lungo “peregrinare” dei quattro telamoni: unici elementi decorativi salvatisi dall’assurda demolizione della sede della Gazzetta del Mezzogiorno di piazza Moro.
Ma se stiamo riparlando di queste sculture è perché, da più di un anno, sono state private dell’allestimento che seppur minimamente le valorizzava. Non solo, le opere sono state pure separate: due si trovano nell’atrio di accesso al Palazzo di Città, accanto a delle transenne della polizia locale, le altre nel cortile interno.
La causa è l’installazione di un’opera dell’artista Giuseppe Caccavale nell’androne del Comune, la cui visione verrebbe “intralciata” se si dovesse ripristinare la precedente disposizione dei telamoni.
Insomma le sculture continuano a non trovare pace. Anche se è del mese scorso la proposta del sindaco di Bari di donare alle statue una destinazione definiva in piazza Moro, in quella che è stata la loro “casa” per svariati decenni.
Ma facciamo un passo indietro di cento anni per ripercorrere la storia dei simboli del più grande delitto architettonico della storia della città