di Mina Barcone - foto Francesco De Leo

Kung Fu, arte marziale "cinematografica" ma poco diffusa: a Bari la insegnano in tre
BARI – Da Kill Bill a Matrix sino ad arrivare ai mitici lungometraggi di Bruce Lee: sono innumerevoli i film che basano le proprie scene d’azione sul Kung Fu. Del resto cosa c’è di più spettacolare di questo insieme di antiche arti marziali cinesi che fonde combattimento e meditazione?

Eppure, nonostante la sua diffusione in tutto il mondo, il Kung Fu risulta ancora poco praticato rispetto a discipline come Karate, Judo, Taekondwo o Muay Thai. Questo perché non è mai riuscito a imporsi come vero e proprio sport (e a essere finanziato come tale) e perché richiede un impegno gravoso: ci vogliono molti anni di allenamento per poter raggiungere risultati apprezzabili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E quindi a Bari, ad esempio, l’arte è oggi insegnata solo da tre “sifu” (maestri), che tra l’altro non hanno nemmeno una loro palestra, appoggiandosi ad altre strutture per poter fare lezione. Loro sono Danilo De Candia (aiutato da Benedetto Donato), Eliana Lezzi e Roberto Panza. Il primo pratica il “Wing Tsun”, la seconda il “Thai Chi” e il terzo “Xing Yi” e “Tang Lang”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Perché la definizione di Kung Fu raccoglie numerosi stili molto diversi tra loro: dallo “Shaolin” (ideato dai monaci guerrieri) al “Wishu”, passando per lo “Qigong” e il “Fanziquan”. Metodi fondati sull’armonia e la fluidità dei movimenti ma che si differenziano tra loro per l’uso o meno delle armi (bastone, lancia, spada) e per l’essere “esterni” o “interni”. I primi, più di attacco, si basano su forza, potenza e velocità, i secondi, incentrati sulla difesa personale, sulla gestione dell’energia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per comprendere meglio questo complesso mondo siamo quindi andati a trovare i maestri baresi. (Vedi foto galleria)

Iniziamo il nostro viaggio da viale De Laurentis, dove all’interno della palestra Empire Gym operano il 60enne Danilo De Candia e il 45enne Benedetto Donato, fondatori dell’associazione “Centro Studi Wing Tsun” (vedi video). Accediamo all’interno di una stanza le cui mura sono tappezzate di scritte cinesi. Vicino a uno specchio notiamo l’immagine di Yip Man, primo maestro di Wing Tsun e insegnante di Bruce Lee, colui che è considerato il più grande artista marziale della storia.

«Ho portato io a Bari questa disciplina, quando all’epoca qui era sconosciuta - afferma De Candia -. Tutto ebbe inizio nell’estate 1990, a Livorno. Mi trovavo in Toscana per vacanza, quando lessi di uno stage di Wing Tsun e decisi di partecipare. All’epoca studiavo Karate e Kickboxing e mi ritenevo bravo, ma quando mi ritrovai davanti al “sifu” fui messo in condizione di non poter reagire. Non mi colpì, ma riuscì a bloccarmi in un attimo. Rimasi scioccato, non capivo come avesse fatto e così spinto dalla voglia di imparare divenni suo allievo».

Dopo due anni di allenamenti e stage in tutta Italia, Danilo decise di far conoscere anche a Bari il Wing Tsun. Parliamo di uno stile “interno”, quindi non “di attacco”, ma che nasce invece come difesa personale. A inventarlo, secondo la leggenda, fu una monaca buddista che trasmise questo sapere a una giovane donna che si chiamava appunto Yim Wing Chun.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«La disciplina sfrutta principi di fisica applicata e biomeccanica –  spiega Benedetto –. Noi insegniamo ai ragazzi a controllare le reazioni fisiche. Il pugno o il calcio non deve “caricarsi”, ma prendere forza sfruttando l’energia dell'avversario. Per farlo è necessario ad esempio assestare il colpo sul piano sagittale mantenendo il nostro corpo in “linea centrale” verso il nemico».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Mentre parliamo notiamo una decina di allievi che seguono gli istruttori imitando le loro posizioni. Tra queste quella del “chi sao”, che letteralmente vuol dire “mani incollate”: un esercizio che serve a sviluppare una reattività tattile immediata. «Attraverso la mossa ci alleniamo proprio a sentire, anche bendati, la direzione della forza dell’avversario e a trovare il varco per entrare e colpire», sottolinea Danilo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Avviciniamo la 42enne Rosangela, la quale nonostante la sua piccola statura è appena riuscita ad atterrare il compagno sfruttandone i punti deboli: gli occhi e la gola. «Pratico dallo scorso anno – ci dice -: i maestri mi hanno insegnato la sua essenza, che non è combattere ma migliorarsi nella vita di tutti i giorni. Anche se certo, ora ho tutti gli strumenti per potermi difendere in caso di necessità».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Notiamo anche dei ragazzini, come Alice, di 10 anni e Antonello, di 13. «Purtroppo i giovanissimi difficilmente si interessano a quest’arte marziale – sottolinea De Candia –. Ci vogliono allenamenti intensi per ottenere risultati: possono passare anche anni. In più manca l’aspetto agonistico: il fatto di non gareggiare rende lo studio meno allettante rispetto ad esempio a Karate e Judo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Raggiungiamo ora la palestra Waka Ki Dojo di viale Einaudi, dove tiene i suoi corsi Eliana Lezzi, originaria di Lecce, che fa parte del gruppo nazionale “Wang Xian Taiji”. Lei insegna Tai Chi Chen, stile interno del Kung Fu.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La troviamo intenta a spiegare ai suoi alunni i jibengongi”, ovvero i passi e gli spostamenti che sono alla base di quest’arte marziale. Tutti indossano il bianco “Yifu”, la classica uniforme tradizionale cinese che si usa anche nella vita quotidiana. Quella di Eliana è però nera e con dei bordini rossi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ho cominciato da giovanissima, in Salento - spiega -. Poi una volta giunta a Milano per lavoro ho scoperto questa particolare forma di Tai Chi. Da quel momento mi sono specializzata e quando mi sono trasferita a Bari nel 2018 il maestro Marcello Sidoti, che faceva parte dell’Accademia a cui ero iscritta, mi ha proposto di aprire una sede nel capoluogo pugliese, portando qui un qualcosa che non esisteva».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il Tai Chi è caratterizzato da gesti lenti ma molto precisi che si traducono nell'esecuzione delle “forme”, sequenze di mosse prestabilite e allungamenti realizzati con la massima concentrazione mentale. Tra queste il “drago striscia a terra”, la “Laojia yi lu” o il “Xie Xing”. Tutte si basano nello sfruttare l’energia dell’avversario così da contrattaccare con un effetto “a frusta” dato da movimenti “a spirale”.

«Si ha un’idea errata del Tai Chi – sottolinea Lezza -. Da me in palestra arrivano persone che pensano di fare ginnastica morbida, posturale, indirizzati addirittura dai medici: nulla di più sbagliato. Questa è un’arte marziale vera e proprio, da contatto». 

«A Bari però continua a non esserci molto interesse per il Kung Fu – ammette la donna prima di salutarci -. Penso sia un problema culturale: c’è poca informazione su quest’arte marziale cinese. Al Nord è un po’ diverso: ad esempio a Bologna utilizziamo anche le palestre scolastiche, avvicinandoci così ai più piccoli, di solito attratti da altre discipline sportive».

L’ultima tappa del nostro viaggio è Parco 2 Giugno, dove ad attenderci c’è il 40enne Roberto Panza. Lui tiene lezioni all’aperto da due anni, da quando, a causa del Covid, ha dovuto chiudere la sua palestra di via Pessina. Roberto insegna stili sia interni come lo “Xing Yi” o il “Baguazhang”, che esterni quali il “Tang lang”, nato dall’osservazione dei complicati movimenti della mantide religiosa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ho iniziato nel 1999 - racconta il maestro - a Bari all’epoca esisteva una sola palestra dal nome “Scuola delle tre armonie”: si trovava in strada privata Borelli, ma non ebbe vita lunga. Così decisi di seguire dei corsi nelle Marche per poi proseguire in Puglia con un noto insegnante di Foggia: Franco Gervasio. Oggi continuo a perfezionarmi praticando a Milano con il sifu cinese Xu zai xing». 

Ma quali sono i segreti per riuscire nel Kung Fu? «Si parte dallo studio delle posizioni - spiega -: il piazzamento è la prima cosa che bisogna imparare. Poi si può passare agli esercizi di coordinazione di gambe e braccia e all’irrobustimento dell’apparato muscolo tendineo. Infine si approfondiscono i vari stili e le relative tecniche».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A giocare un ruolo fondamentale è anche la "meditazione": attraverso esercizi di respirazione controllata è possibile infatti fortificare fisico e mente portando a quel rilassamento che permette di realizzare le geometrie di movimento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Insomma tutto parte dell’educazione del corpo – conclude Roberto –. Purtroppo alcune scuole in passato hanno enfatizzato troppo l'aspetto delle forme, allontanando gli allievi dalla realtà del combattimento. Questo ha creato degli equivoci sul Kung Fu che, non dimentichiamolo, in cinese vuol dire “lavoro duro”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)

Nel video (di Gianni De Bartolo) gli allenamenti all’interno del “Centro Studi Wing Tsun”:


 


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