di Elena Lisco

La Bari degli anni di piombo: tra ronde e mazzieri, la mappa dei rioni "rossi" e "neri"
BARI - I “rossi” in piazza Umberto e nel borgo antico, i “neri” nei quartieri Murat e Poggiofranco. Non è l'inizio di un nuovo gioco tra le vie di Bari, bensì una fotografia della città nei difficili “anni di piombo”. Anche il capoluogo pugliese infatti fu investito per tutti gli anni 70 dall'estremizzazione del dibattito politico italiano e dallo scontro, spesso sfociato in violenze, tra destra e sinistra radicale. Fortunatamente Bari venne risparmiata da terrorismo e stragi (anche se ci furono comunque tre morti) ma non fu immune da risse e tensioni tra comunisti e fascisti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

UNA CITTA’ DIVISA IN DUE - Le fazioni all’epoca "colonizzavano" diverse zone del centro abitato. «Il principale punto di ritrovo rosso - racconta Adele, a quei tempi giovane militante di sinistra - era piazza Umberto I per via della vicinanza con l'Ateneo. Le facoltà umanistiche erano infatti un grande serbatoio di studenti vicini alle idee comuniste. Nel “giardino”, come comunemente chiamavamo la piazza, ci vedevamo spesso all’interno del bar dell’Edera, ad angolo con via Prospero Petroni».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Anche San Pasquale, vista la presenza del Campus universitario, era considerata zona a “falce e martello”. E poi c’era la dislocazione delle varie sedi di partito a completare la spartizione della città. La nota sezione "Introna Pappagallo" del Pci a Bari Vecchia contribuiva a tingere di rosso il borgo antico, situazione simile a quella che si creava nel Madonnella (rione pieno di studenti fuorisede) con l'altro avamposto del partito di via Zara.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E i fascisti invece dove “se la facevano”? «Il loro luogo d'incontro preferito era la chiesa di San Ferdinando, lungo via Sparano – ci spiega Adele - del resto Murat, era territorio nero». «Anche via Crisanzio era una strada dove spesso si incontravano nostalgici del Ventennio – ricorda Gegè, allora universitario - dato che proprio lì si affacciava la facoltà di Giurisprudenza, posto pieno di nazionalisti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Si in centro eravamo molto presenti – conferma Giuseppe Incardona, ex segretario provinciale missino -. In molti gravitavano attorno alla sede regionale del Msi situata prima in via Abate Gimma e poi in via Piccinni (attualmente sede della Fondazione Giuseppe Tatarella) e a quella studentesca del Fronte della gioventù, in via Melo. Ma molto attive erano anche la sezione Gemmato, nel rione Libertà e soprattutto la "Andrea Passaquindici" di Carrassi, ubicata in via Gabrieli di fronte al carcere».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«E poi c’erano i rioni più borghesi di Picone  e Poggiofranco - sottolinea Michele, altro attivista di sinistra d'annata -. In quest’ultimo quartiere si “salvava” dai neri solo via Amoruso Manzari, dove la concentrazione di studenti aveva dato vita a una minoranza a falce e martello».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


GLI SCONTRI - Entrare in una zona “ostile” poteva essere pericoloso. Da una parte e dall'altra erano temuti i cosiddetti "mazzieri", così chiamati perchè difendevano il proprio “territorio” usando mazze di legno o acciaio, anche se spesso erano muniti anche di catene, coltelli e tirapugni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ronde armate nere presidiavano via Sparano, via Marchese di Montrone, i dintorni della "Passaquindici" e piazza Giulio Cesare - afferma Michele -. Proprio lì, di fronte al Policlinico, una volta io e alcuni miei amici fummo accerchiati da un manipolo di neofascisti. La piazza sembrava essere sgombra, quando all’improvviso sbucò una squadra armata. Per fortuna non subimmo gravi ripercussioni. Anche se onestamente va detto che neanche a sinistra eravamo degli stinchi di santo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Infatti - conferma Incardona -. Io ad esempio nel 76 fui aggredito a sprangate da un gruppo di maoisti. Un episodio che mi ha lasciato una “bella” cicatrice sulla fronte».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I nemici venivano riconosciuti dall'abbigliamento. «Quelli di sinistra - dice Michele – usavano vestiti comodi ed economici come i jeans e il parka, anche “etnico” per le ragazze, mentre a destra erano tutti ben curati: parecchio gettonato era l'abbinamento tra camicia e maglioncino, rigorosamente nero. Erano veramente pochi i giovani non politicizzati e quindi anche “neutri” esteriormente».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'OMICIDIO DI PETRONE -  Tra aggressioni, provocazioni e spedizioni punitive, le notti baresi all’epoca non erano per nulla tranquille. Gli scontri erano frequenti, anche se di solito non portavano a conseguenze gravi. Ma un giorno la situazione scappò di mano. La sera del 28 novembre 1977 infatti il 18enne comunista Benedetto Petrone morì in seguito a un pestaggio neofascista nella centralissima piazza Prefettura. E dopo questo assassinio, tutto cambiò.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La tragedia fece imbestialire il mondo della sinistra radicale: manifestazioni, cortei (nella foto) e violenti tumulti esplosero per una settimana in tutta la città. «Vennero devastate le sedi dei sindacati e dei partiti "tradizionali" - rammenta Adele - e non furono risparmiate quelle del Pci, accusato dai manifestanti di aver reagito in modo troppo blando all'assassinio. In quei sette giorni la città fu completamente paralizzata: c’era così tanto fumo che Bari sembrava bruciare. L'escalation di questo caos però aprì una frattura tra gli studenti in protesta e il resto della popolazione, ormai estenuata del clima di tensione che si protraeva da anni».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In effetti l'omicidio di Petrone segnò l'inizio del declino delle dispute ideologiche a Bari. «L'insofferenza dei cittadini, la stanchezza degli attivisti, l'avvento di nuove subculture votate all'individualismo e l'arrivo dell'eroina posero fine a quel periodo di lotta», conclude Adele. E oggi di quella violenza, ma anche di quella intensa voglia di voler cambiare il mondo, è rimasto solo il ricordo.


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  • Ninno - Analisi non facile da farsi in poche righe, ma visto che sono testimone e protagonista di quel perido, direi che è fatta bene.
  • SALVATORE - Dal SALENTO onore a Benny...con l augurio che questi fatti nn succedano piu`
  • Michele - Bravissima Elena, l'articolo ritrae bene quel periodo che ho vissuto da quindicenne
  • franco - All'epoca degli scontri fu affisso un manifesto con il faccione di profilo del segretario del fronte della gioventu'(credo si chiamasse Lillino D'Erasmo) con la testa fasciata (come un turbante) per i colpi ricevuti. Un vero must che, purtoppo, è difficile rintracciare in rete. Riesci a ritrovarlo?
  • Angelo - Brava Elena! è commovente che quegli anni siano raccontati da chi non era nemmeno nata. ci sembrava che tutto fosse possibile.
  • paola - Brava Elena bella descrizione di quegli anni
  • Michele Lomuto - analisi ottima, ma a dimostrazione del caos diidee regnante fu la nascita (da pochissimi ricordata) del partito nazi-maoista italiano
  • ivan - A bari ci sono stati atti terroristici. C'è traccia anche su wikipedia. Il poliziotto Filippo Giuseppe fu ucciso davanti al portone della sua casa da esponenti di Prima Linea. Questo è un link di riferimento https://web.archive.org/web/20170303130601/http://www.vittimeterrorismo.it/memorie/schede/filippo.htm


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