di Annarita Correra e Maria Bruno

Tra edifici fascisti e case colorate, il rione Libertà che guarda al mare: senza toccarlo
BARI – Possiamo definirla la “Madonnella del nord” ed è quella parte del rione Libertà che a partire dagli anni 30 si andò ad espandere verso la costa. Il riferimento a Madonnella non è casuale, perché anche questa parte di Bari presenta un monumentale lungomare costruito durante il Fascismo oltre a numerose basse e colorate palazzine che riempiono le sue strette vie. 

Con una grande differenza: se Madonnella si apre al mare con orizzonti mozzafiato, panchine e romantici lampioni, il Libertà è costretto a convivere con quella “barriera architettonica” che è il porto, che “soffoca” di fatto qualsiasi vista verso l’Adriatico. Questo particolare ha reso la zona della città meno “appetibile”, facendo in modo che mantenesse il suo carattere prettamente popolare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo andati a farci un giro nel “Libertà marittimo”, area racchiusa tra via Bonazzi, via Napoli, via Ravanas e il lungomare corso Vittorio Veneto. (Vedi foto galleria)

Il nostro punto di partenza è la piccola piazza Padre de Pergola, che segna il confine tra la “zona del bar dello studente” e l’area oggetto del nostro viaggio. Da questo punto via Francesco d’Assisi diventa via Napoli e gli eleganti ma anche un po’ grigi e imponenti palazzi lasciano il posto a variopinte basse palazzine, alcune rimesse a nuovo e altre che avrebbero bisogno di serie ristrutturazioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Mentre passeggiamo su via Napoli scambiamo due chiacchiere con una residente, la 36enne Marilù, che venuta a conoscenza del nostro “tour” ci invita a visitare il palazzo a due piani in cui abita. Varcato il portone, nell’atrio notiamo due dipinti che ritraggono scene sacre. Scopriremo in seguito trattarsi di due quadretti realizzati da Michele Montrone, pittore barese ottocentesco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Entriamo in casa di Marilù che ci spiega in poche parole la vita del quartiere. «In questa strada ci conosciamo un po’ tutti – ci dice – e non di rado capita che le signore si chiamino dalla finestra per parlare o scambiarsi qualcosa». Affacciandoci riusciamo a carpire il folklore tipico di questa parte di Bari: da una finestra sotto di noi sporgono infatti delle orecchiette appena fatte, messe fuori ad “asciugare”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Salutiamo la giovane e torniamo in strada per svoltare a destra in via Bonazzi dove incontriamo Annetta, un’artista locale che nella sua bottega tiene corsi di pittura per i bambini. «Il palazzo in cui vive Marilù – ci spiega la donna – era un piccolo convento costruito nel 700. I dipinti che avete notato furono realizzati da Montrone. Non sono molto chiari poiché deteriorati, ma uno rappresenta “Il miracolo dei tre bambinelli con la tinozza” e l’altro “La Madonna del Santo Rosario”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguiamo per via Bonazzi dove sono sempre i colorati palazzi a dominare la strada, con i panni stesi e le piante fuori dai balconi. Imbocchiamo sulla sinistra via Murat e nell’isolato tra via Maffeo e via Pizzoli notiamo sulla parte posteriore di un grande complesso residenziale la scritta a caratteri cubitali “Incis”. E’ l’acronimo di “Istituto nazionale per le case degli impiegati”, un ente pubblico costituito nel 1924 per assegnare abitazioni ai dipendenti civili e militari, favorendo quelli con stipendio basso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Ci dirigiamo allora sul lungomare per andare ad ammirare la facciata del particolare “condominio”. In realtà i complessi sono due, rispettivamente al civico 6 e 8 di corso Vittorio Veneto. Realizzati tra il 1930 e il 1934 su progetto dell’ingegnere Domenico Minchilli, entrambi i palazzi esprimono appieno i canoni dell’edilizia fascista: lo schema perfetto delle finestre e le colonne classiche trasmettono una sensazione di solennità e rigore. Il primo, con sfumature rosa, si sviluppa su cinque piani e in due corpi simmetrici collegati da un terzo centrale in cui si apre l’ingresso con un arco ellittico. Il secondo, di colore bianco e di sei piani, è molto più sobrio e severo e il richiamo al Regime è evidente nei fasci littori addossati alla parete su cui si trova il portone principale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Continuiamo la nostra passeggiata sul lungomare di ponente, che come quello di levante fu costruito durante il Fascismo: i lavori iniziarono nel 1927 e furono indetti dal podestà di Bari Araldo di Crollalanza. Un lungomare che però non è un lungomare, perché come detto questa parte della città in realtà non si affaccia sull’Adriatico ma sul porto, dal quale è diviso da muri e inferriate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo ora di fronte alla facciata del liceo classico “Orazio Flacco”. Progettato dall’architetto Concezio Petrucci e realizzato tra il 1932 e il 1933, si sviluppa ad “U” ed è caratterizzato da alternate differenze cromatiche date dalla pietra bianca di Bisceglie e il tufo mazzaro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo tanta imponenza torniamo tra le stradine del quartiere prendendo via Trevisani che si apre lateralmente al liceo. Notiamo che intorno a noi la maggior parte delle saracinesche sono abbassate. «Queste vie – ci spiega il signor Giuseppe che si trova in quel momento in strada a chiacchierare con altri uomini - sono sempre state piene di botteghe di artigiani e officine. Poi però con la crisi, le tasse e gli affitti rincarati molti hanno mollato. Io stesso avevo un negozietto e per le spese eccessive sono stato costretto a chiudere».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta ora per completezza che andare a “visitare” gli ultimi edifici monumentali di corso Vittorio Veneto. Il primo è la caserma “Macchi” della Guardia di Finanza: progettata nel 1933 dall’architetto Saverio Dioguardi ha una particolare struttura concava ed è di colore bianco e giallo ocra. Accanto si trova la praticamente identica scuola elementare “Renato Moro”: costruita nel secondo dopoguerra si presenta con un colore più sbiadito rispetto alla sua “gemella”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Superato l’istituto d’arte “Pino Pascali” (del 1953) eccoci davanti all’ultima tappa del nostro tour: l’imponente caserma della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, conosciuta oggi con il nome di “Pinerolo”. Realizzata tra il 1934 e il 1937 su progetto di Dioguardi, si sviluppa con un corpo rettangolare caratterizzato da un’alta torre adornata con tre grandi e possenti fasci littori. Il basamento in pietra in corrispondenza del corpo centrale presenta una lunga decorazione ad opera dello scultore romano Omero Taddeini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’altorilievo raffigura vari militanti fascisti e sotto quella che sembra essere la “Vittoria alata” è stato posto il simbolo della caserma, con il tipico pino verde sullo sfondo rosso. «Durante il Regime al posto dello stemma c’era però il busto di Mussolini , distrutto poi dai baresi alla fine della guerra», ci dice un militare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Con questa rivelazione termina il nostro viaggio all’interno di una zona di Bari che, tra palazzi colorati ed edifici fascisti, guarda al vicino mare senza però riuscire mai a toccarlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo e Antonio Caradonna)


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