Bari, foto d'epoca e racconti nostalgici: alla scoperta delle origini di Villa Sbisà
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venerdì 29 novembre 2024
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di Giancarlo Liuzzi
Ci siamo occupati più volte di questa residenza posta tra via Amendola e via Celso Ulpiani e da 40 anni sede del Di.s.s.p.a. (Dipartimento di scienze del suolo, della pianta e degli alimenti) dell'Università. Ma la storia relativa ai suoi primi anni di vita è sempre stata incompleta e confusa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oggi però, grazie ai nostalgici ricordi della signora Martino e con l’aiuto di alcune antiche fotografie in suo possesso, siamo riusciti a ricostruire le origini di questo splendido edificio barese. A partire dal vero nome.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sì perché in molti volumi viene riportato come nome dell’immobile quello di “Villa Maria Luisa”. «Posso affermare con certezza che la dimora non è mai stata chiamata così - sottolinea la signora Martino -. La sua denominazione ufficiale è sempre stata quella di “Villa Maria”, come d’altronde riportato sul cancello d’ingresso. Non so da dove derivi l’aggiunta di “Luisa”, ma è del tutto infondata».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Chiarito quale sia il vero nome del complesso, possiamo ora ricostruirne l’origine. (Vedi foto galleria)
«Tutto nacque con mia nonna Maria - ci racconta la donna -. Lei era figlia di Luigi Moletta, un imprenditore originario di Laveno, paesino sul lago Maggiore, che si traferì a Bari alla fine dell’800 per aprire un’armeria in via Sparano. Una volta cresciuta sposò il neurologo Giuseppe Sbisà e acquistò il terreno dove venne costruita la villa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’area, di circa 733 metri quadri, situata nell’allora contrada Graziamonte, era di proprietà del cavaliere Mattia Nitti da cui fu comprata il 21 maggio del 1919. Subito dopo iniziarono i lavori di edificazione. «Divenne la residenza estiva della mia famiglia, che allora era molto benestante – spiega la signora -. Mio nonno Giuseppe possedeva un palazzo in via Bozzi, affianco al quale fece poi costruire l’albergo Miramare, divenuto successivamente Hotel Astoria».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Maria ci mostra alcune antiche foto nei primi anni 20 del 900, dove è ritratta parte della sua famiglia sui gradini dello scalone monumentale della villa. Osservandole notiamo come ai due lati della scala vi erano due sculture femminili, con un vaso sulla testa, sostitute successivamente con le attuali statue di Renzo e Lucia, della ditta De Filippis.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«La nostra residenza veniva ammirata da tutti - rammenta la signora -. Il giardino era molto più grande di oggi: all’epoca infatti non c’erano i capannoni e le serre del dipartimento. Il verde si estendeva fino a via Celso Ulpiani».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Maria abitava con i suoi genitori (Michele Martino e Rosa Sbisà) e i suoi tre fratelli nel piano nobile dell’edificio. «Ho ancora negli occhi l’immagine del bellissimo soffitto decorato del salone con le damine che danzano – racconta -. Al piano terra c’era un parquet e i bagni erano in marmo con le vasche in ghisa, la soffitta invece era strapiena di mobili».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In uno dei locali del sottotetto della dimora è ancora conservata una delle specchiere originali, coperta da decenni di polvere. La cantina era invece utilizzata dallo zio di Maria Pia, che usufruiva anche del terreno sottostante alla dimora dove c’era un grande agrumeto e un roseto, oltre alla piccola cappella della proprietà.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tutti gli abitanti però, durante la Seconda guerra mondiale, dovettero far spazio alla Croce Rossa. Pare che fu la regina Maria Josè in persona, ispettrice nazionale della Croce Rossa, a scegliere la villa come sede dell’ente benefico. E sembra che la nobildonna fu sul punto di trasferire lì il suocero Vittorio Emanuele III, in fuga da Roma, prima che la scelta cadesse su Brindisi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Poi durante il successivo periodo di liberazione del Sud Italia la casa venne comunque occupata dall’esercito polacco – continua Maria Pia -. Ricordo ancora alcune scritte che i soldati lasciarono sui muri esterni dell’edificio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel 1951 iniziò la costruzione del Campus, il cui primo nucleo (l’ex facoltà di Agraria) fu costruito proprio a ridosso della villa. Università che dopo qualche anno decise di acquisire anche la dimora liberty come “suolo edificatorio”, probabilmente in vista di un ampliamento dell’area didattica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E così il 21 maggio del 1965 la famiglia cedette la proprietà all'Ateneo barese, comprensiva dei terreni di oltre 3000 metri quadri, al prezzo di circa 200 milioni di lire. I lavori di sistemazione dell’area andarono però per le lunghe e la residenza, lasciata in abbandono, fu restaurata soltanto nel 1978, anno in cui fu adibita all’attuale ruolo istituzionale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Nella casa restarono soltanto i custodi, che hanno vissuto nel casupolo ai piedi della villa fino a 15 anni fa conclude Maria Pia -. Ogni tanto sento al telefono una di loro, la signora Palmina che ha ormai 97 anni, e con lei ricordiamo insieme i momenti di vita passati in quel posto incantato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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