Canosa, quando i siti archeologici si trovano nei condomini: «Curati dai residenti»
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mercoledģ 14 marzo 2018
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di Paola Setteducati
Il singolare "fenomeno" è stato favorito indubbiamente dall'abbondanza di ritrovamenti nel territorio comunale: l'area è disseminata di monumenti e reperti, testimonianze di una gloriosa storia cominciata nel Neolitico, proseguita con l'annessione alla Magna Grecia e culminata nel fiorente periodo di dominazione romana. Ma ai canosini va riconosciuto il merito di aver preservato il patrimonio a disposizione, al contrario di quanto accade in altre parti della regione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E di casi di gestione disastrosa a Bari e dintorni ne abbiamo raccontati diversi: lo stato di abbandono di alcuni ipogei, il degrado di dolmen e menhir, la precaria conservazione dei tesori di Ceglie, la villa romana di Adelfia portata prima alla luce del sole e poi risotterrata per mancanza di fondi, l’antichissimo sito di Santa Barbara a Capurso completamente dimenticato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Accompagnati da Renato Tango, guida turistica della Fondazione archeologica canosina, siamo andati quindi a curiosare in questi quattro immobili. (Vedi foto galleria)
Partiamo dalla domus di Montescupolo, situata nell'omonima via del centro cittadino. La dimora patrizia dell’antica Roma, realizzata nel I secolo d.C., fu rinvenuta nel 2004 durante i lavori di innalzamento di un complesso residenziale che stava sostituendo un vecchio cinema abbattuto. Oggi è inglobata e mimetizzata con maestria in un moderno palazzo: il suo ingresso è costituito da un torrino che si protrae dallo stabile e a prima vista sembrerebbe l'accesso di un locale qualunque, se non fosse per la presenza di un apposito cartello segnaletico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Renato apre il cancello posto all'entrata, spalancandoci uno spettacolo suggestivo. L'arcaico alloggio è letteralmente incastonato tra i pilastri del condominio, nello spazio che in origine sarebbe probabilmente dovuto essere il garage. Una passerella in legno guida il turista tra mosaici e intonaci originali, tombe databili addirittura al V secolo a.C. e una strada dal lastrico intatto che un tempo costeggiava la casa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«All'epoca - spiega l’uomo - quando durante gli scavi ci si imbattè in questo tesoro, l'impresa edile incaricata dei lavori e i proprietari del terreno decisero di sostenere le spese legate al recupero dell'intera domus. Così in un solo colpo evitarono il blocco della costruzione e resero possibile la fruizione del bene».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Alla copertura dei costi contribuì anche una compagnia assicurativa che di lì a breve avrebbe stabilito qui la sua sede. «Non ci sembrava giusto che un gioiello del genere rimanesse ignoto», evidenzia Michele Marcovecchio, agente dell'azienda.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'impianto di illuminazione del sito fu inoltre collegato a quello di un negozio di elettronica adiacente al torrino. «Il consumo di corrente è davvero irrisorio - sottolinea Rino, proprietario dell'attività -, un piccolo sacrificio personale che faccio con piacere per l'intera comunità».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci spostiamo quindi in vico San Martino. Anche qui pare di essere in uno scenario urbano qualunque, se non fosse per la piccola indicazione di un ipogeo su sfondo marrone posta sotto un divieto di fermata. Percorriamo l'arteria notando come alla fine di essa, tra un balcone e un portone, si dirami una scalinata verso il basso. La rampa conduce in uno scantinato che inaspettatamente nasconde una piccola necropoli: databile tra il V e il I secolo a.C., è parte integrante di un complesso di 14 sepolture scoperto nel 1988 durante l'edificazione di un nuovo fabbricato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In questo caso è stata la Fondazione a effettuare gli interventi necessari per rendere il luogo "a misura" del turista: nel seminterrato fredde colonne di cemento "convivono" con tombe in tufo, alcune delle quali a fossa. «Avere un sepolcreto del genere nel proprio palazzo è motivo di vanto - afferma uno degli inquilini -. Ne paghiamo volentieri la bolletta della corrente e quando vogliamo farlo vedere agli amici basta chiedere le chiavi all'amministratore del condominio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Usciamo dall'angusta catacomba per andare a esplorare l'ipogeo del Cerbero, dislocato sotto il liceo "Enrico Fermi", su via Settembrini. Ancora una volta c'è il solito indispensabile segnale esplicativo, stavolta attaccato accanto al cancello dell'atrio dell'istituto, ad avvisare gli estranei del ritrovamento. Già, perchè anche in questo caso il "camuffamento" è perfetto: l'entrata, realizzata sulla sinistra del cortile, ha uno stile identico a quello dell'intera struttura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con la nostra guida apriamo la porta in vetro e scendiamo nella cavità artificiale, venuta alla luce nel 1972 nel bel mezzo dell'innalzamento del plesso e restaurata dalla fondazione. Le tombe che osserviamo sono quattro, due delle quali sono semichiuse da lastroni. Ma ciò che colpisce di più è l'affresco che riproduce una processione con a capo appunto il Cerbero, figura mitologica di cane a tre teste che secondo i greci accompagnava le anime dei morti nell'aldilà: una raffigurazione molto in voga durante l'età ellenica, quindi tra il IV e il I secolo a.C.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'ultima tappa del nostro viaggio è l'ipogeo Schocchera B, in via Matarrese 47. Il consueto cartello illustrativo "smaschera" la sua presenza al di sotto di un cupo edificio del 1979: vi si accede infatti da quello che a prima vista somiglia all'ingresso secondario di un garage. Risalente al III secolo a.C., fu scoperto una prima volta nell'800, depredato e risotterrato e poi “riemerso” durante il cantiere per la fabbricazione dello stabile. Del suo restyling se n'è occupata la fondazione nel 2010, con la collaborazione di un'impresa privata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci inoltriamo nei sotterranei camminando sotto un tempietto: il naiskòs, questo il suo nome greco, è sovrastato da disegni raffiguranti la discesa negli inferi. Lo oltrepassiamo trovandoci in una sorta di vestibolo, caratterizzato da una volte a botte che "rievoca" la forma di un grembo materno. Poi giungiamo nella stanza dedicata alla sepoltura vera e propria, dove altri affreschi del soffitto ingentiliscono l'ambiente riservato al defunto. Infine usciamo, lasciandoci alle spalle l'ultimo condominio "archeologico" della nostra esplorazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Paola Setteducati
Paola Setteducati
I commenti
- ColorataTV - Canosa eccellente esempio di rispetto dell'arte antica. Queste iniziative pubblico-private connota i canosini come abitanti, intelligenti, sensibili e colti. Bisogno emularli a tutti i costi. Bene barinedita.it e Paola Setteducati.