di Luca Carofiglio e Eva Signorile

Quella verde e tortuosa strada che affianca chiese, ville e roseti: via Celso Ulpiani
BARI – Una stretta e breve via immersa nel verde, nascosta e tortuosa, che sale e scende per poi curvare, il tutto dopo aver costeggiato chiesette rurali, ville ottocentesche, roseti e vecchie fabbriche. Parliamo di via Celso Ulpiani, una delle strade più affascinanti di Bari, incuneata all’interno del rione San Pasquale tra via Amendola e via Re David. (Vedi foto galleria)

Qui siamo a due passi dal centro, eppure sembra di essere in qualche contrada nobiliare delle campagne pugliesi. Siamo andati a farci una passeggiata (vedi anche foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Imbocchiamo via Amendola. Dopo aver superato la parte più popolare del quartiere San Pasquale e prima di arrivare al Campus universitario ecco sulla nostra destra partire l’inconfondibile via Ulpiani: si riconosce perché in salita, cosa alquanto insolita in una città estremamente pianeggiante come Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Subito sulla sinistra incontriamo la prima sorpresa del nostro viaggio. Si tratta della chiesetta di Santa Maria dell'Assunta: una struttura bassa e bianca, edificata su una grotta adibita a cripta. Il breve spazio tra la recinzione e l’accesso è occupato da un giardinetto punteggiato da bassi alberi d’agrumi e dominato da un alto pino. Dall’alto, incastonata in un timpano posto sul tetto, la statuina di una Madonna sembra benedire coloro che passano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui oggi ha sede l’associazione “famiglie per i tossicodipendenti”. «L’edificio fu costruito alla fine dell’800 per poi essere sconsacrato nel 1910 – ci racconta il presidente Giuseppe Romanazzi - . Fu quindi abbandonato, per poi essere preso in gestione e riconsacrato nel 1980 da quattro suore della congregazione di Madre Teresa che l’hanno occupato per una quindicina d'anni, lasciandolo in seguito alla Caritas».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questa chiesa è stata protagonista di un'importante storia un po' dimenticata: il 16 maggio del 1982 fu visitata da Madre Teresa di Calcutta in persona. La religiosa all'epoca venne trovare le sue consorelle e sembra che qui, all'interno della cripta, passò anche la notte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Attaccata alla chiesetta si trova una palazzina di inizio 900 a due piani. Difficile capire però di che colore fosse un tempo: uno stucco bianco-grigiastro la ricopre fin dove resiste, ma un po’ ovunque la pietra con cui è stata costruita si affaccia ormai con prepotenza. Spicca però il verde a tratti brillante delle persiane. Una finestra del primo piano è aperta, ma nessuno risponde al citofono.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Continuiamo il nostro percorso: sulla destra si ergono tre condomini, mentre sulla sinistra si trova l’accesso secondario di una grande struttura. Si tratta di villa Maria Luisa, meglio nota come villa Sbisà. Si affaccia su via Celso Ulpiani solo per una porzione del suo enorme parco: il suo ingresso è in realtà su via Amendola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Fu costruita intorno al 1919, anno in cui la signora Maria Moletta, in Sbisà, acquistò il terreno su cui poi l’abitazione venne realizzata. Ora appartiene all’Università di Bari ed è sede di un dipartimento della facoltà di Agraria. La villa, a pianta rettangolare e su tre livelli, ha i muri bianchi, delineati in rosso. Si caratterizza per un’imponente scalinata che conduce all’entrata con terrazzo, bordata da due balaustre che curvano dolcemente verso la base e sormontate dalle statue di un uomo e di una donna in abiti campestri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Se la costruzione appare nel complesso ben tenuta, purtroppo non si può dire altrettanto del bel giardino che un tempo la circondava. Una vegetazione lussureggiante è cresciuta quasi incontrollata: il raffinato acanto domina gli spazi che può e dei vialetti e delle aiuole di un tempo si intravede ormai ben poco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Abbandoniamo ora la dimora per ritornare su via Ulpiani, dove incrociamo sempre sulla sinistra quella villa La Rocca di cui abbiamo già parlato in un altro articolo. Rossa e profilata in giallo, con la caratteristica di possedere un torrino posto in alto, sorge qui dal 1878, quando fu eretta da industriali di origine tedesca: i Marstaller. All’epoca il suo nome era “Villa Maria” che cambiò in “La Rocca” nel 1920 al momento dell’acquisto da parte dell’omonima famiglia barese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Anch’essa oggi è patrimonio dell’Università di Bari e nasconde, nel cuore del grandissimo parco in cui è immersa, uno splendido giardino delle rose in cui trovano posto oltre 350 specie di questo fiore di ogni forma e profumo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A malincuore lasciamo questo paradiso in terra per ritornare sulla nostra strada maestra che da questo punto in poi, dopo aver incrociato sulla destra via dei Mille, si fa ancora più stretta e ombrosa. Gli alberi degli edifici affacciati infatti debordano dai muri in pietra andando a ricoprire il cielo sopra via Ulpiani. Il tutto in una città come Bari dove “verde” sembra quasi una parola straniera.

Sulla destra costeggiamo il muro perimetrale della comunità educativa per minori “Annibale di Francia” (ex Villa Grassi) e poco più avanti sempre sulla destra ci imbattiamo in un portale grigio in ferro, posto tra due pilastri in pietra e colorato in malo modo da alcuni writers. Scrutando tra le inferriate scorgiamo un giovane di colore: quello che abbiamo di fronte è infatti l’accesso posteriore di villa Roth, il cui ingresso principale si trova su via Quarto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La villa, un tempo sede dell’istituto scientifico “Fermi”, è stata abbandonata per anni prima di venire occupata da italiani e stranieri nell’autunno del 2011, per poi essere sgomberata nel 2014. Ora è diventata nuovamente la casa di una cinquantina di africani.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguiamo e a sinistra, al civico 19, un grande cancello verde si impone al nostro sguardo. È fiancheggiato da due torrini che gli fanno da cardini: siamo davanti all’Istituto educativo assistenziale “Madre Arcucci”, dove trovano ospitalità bambini e ragazzi con vissuti difficili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’istituto è alloggiato in un complesso ottocentesco (ex Villa Giordano), il cui parco è confinante con villa La Rocca. Una suora ci consente di entrare per fare delle foto, ma ci avverte: «Solo nel giardino perché qui ci sono molti minori». Dal punto di vista strutturale comunque dell’antica costruzione è rimasto ben poco, avendo subito negli anni numerosi lavori di ampliamento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’entrata la troviamo in fondo sulla destra: qui è vagamente percepibile la struttura originaria, che un tempo aveva una pianta a L. Sono ancora visibili gli archi a sesto acuto che caratterizzavano le finestre e le porte. All’ingresso vi si accede tramite una breve e larga scala scortata da due leoni in pietra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo quasi alla fine di via Ulpiani, in un tratto dominato dai graffiti dei writers che qui hanno potuto disegnare legalmente grazie a un progetto istituzionale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma c’è ancora una storia da ricordare: quella delle vecchie e grandi fabbriche che qui sorgevano all’inizio del secolo, come l’ex lanificio Scoppio o la gloriosa cartiera poligrafica Murari, che per 25 anni ha stampato, unica in Italia, le carte napoletane. Tutte queste industrie sono scomparse, ma i loro stabili negli anni 50 sono stati occupati da istituti scolastici importanti come il Panetti e il Romanazzi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E proprio nel vocio e nelle risate dei ragazzi che escono da scuola si conclude il nostro viaggio in via Celso Ulpiani, di certo una delle strade più “inedite” di tutta la città. 

(Vedi galleria fotografica)


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Eva Signorile
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  • francesco quarto - una incredibile nostalgia mi ha preso leggendo il bell'articolo e le immagini. ho fatto lo scientifico al Fermi che, tra i sessanta e i settanta, era sito propio in quella strana e tortuosa strada. gli ultimi anni di liceo proprio nella cosiddetta succursale, che dovrebbe corrispondere a villa Roth. quante "battaglie"! occupazioni!, scioperi! scaramucci con la polizia che veniva a scacciare gli occupanti, e forse anche con i fascisti (ma di questo non ho vera memoria). un sacco di bella gente è venuta fuora dal Fermi (me compreso ovviamente!). Mi subito venuta la volgia di ripercorrere, dopo tanti e tanti anni, quella strada, slow foot, lentamente e con volutta. sempre grandi meriti a bari inedita e ai suoi giovani reporte!


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