di Gaia Agnelli

Le origini del suo nome, il degrado, la rinascita: è la storia di Pane e Pomodoro
BARI – È definita la “spiaggia dei baresi”, perché frequentata per tutto l’anno da bambini, adulti e anziani, dato che rappresenta uno dei pochi accessi cittadini al mare, sicuramente il più vicino al centro. È il ritratto dell’amata Pane e Pomodoro, struttura balneare presente sul lungomare Armando Perotti dal 1997, ma in realtà da sempre esistita, seppur non come la conosciamo oggi. (Vedi foto galleria)

L’area su cui sorge porta infatti quel nome da tempo immemore. Pare derivi dal fatto che un tempo qui erano coltivate delle piante di pomodoro: chi veniva a farsi il bagno ne approfittava per cogliere i rossi frutti farcendo così il proprio panino. Prima si trattava di un’insenatura con poca sabbia, composta più che altro da pietre e terriccio, che veniva però battuta da tanti baresi provenienti soprattutto dai quartieri Madonnella e Japigia.

Poi dagli anni 70, con la realizzazione della strada costiera, anche Pane e Pomodoro (come l’intero lungomare sud di Bari) divenne pian piano preda del degrado più completo. La zona fu trasformata in ricettacolo di rifiuti di ogni genere e frequentata unicamente da coppiette e clienti di prostitute per consumare rapporti sessuali in auto

Questo sino alla metà degli anni 90, quando il tratto di costa venne dotato di un arenile (grazie al riporto di tonnellate di sabbia) e di aree verdi e fu quindi inaugurato un vero e proprio “lido” aperto a tutti. Da quel momento Pane Pomodoro, allargandosi verso corso Trieste e dotandosi anche di pontili, bar, attrezzi ginnici e giostrine, è diventata un punto di riferimento per bagnanti, runners, amanti degli sport acquatici, vecchietti che giocano a carte e anche stranieri. È qua infatti che studenti Erasmus e crocieristi e turisti giunti nel capoluogo pugliese da mezzo mondo, fanno sosta in estate per abbronzarsi e rinfrescarsi.

Il tutto nonostante l'annoso problema dello scarico fognario, causa di inquinamento ogni volta che si scatena un temporale. Il punto è il troncone fognario presente in via Matteotti: quando piove molto, le acque bianche vanno a finire in quelle nere della fognatura, i depuratori non ce la fanno a sostenere il carico e quindi le paratie degli scarichi del “troppo pieno” si aprono e i liquami finiscono in mare. A quel punto scatta il divieto di balneazione, che viene rimosso solo dopo qualche giorno, quando dalle analisi viene stabilito che ci si può nuovamente tuffare in acqua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma torniamo all’origine del curioso nome della spiaggia. «Io me lo ricordo ancora il contadino che aveva il suo campo nei pressi del litorale: si chiamava Girolamo – afferma il 77enne barese Vito Petino, assiduo frequentatore della zona sin dagli anni 50 -. Noi ragazzini venivamo dal quartiere Japigia e, dopo aver comprato una rosetta dal panificio Caricola, oltrepassavamo i binari grazie al ponticello che da via Messapia porta su viale Imperatore Traiano. Arrivati sull’Adriatico facevamo tappa alla “campagna” di pomodori, dove il “cozzalo” ci regalava i frutti rossi che spalmavamo sul pane dopo averlo inzuppato nell’acqua salata».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Negli anni 50 tra l’altro la spiaggia fu affiancata sul lato sud dal Gran Lido Marzulli: uno stabilimento all’avanguardia che, composto da seicento cabine, poteva in realtà definirsi un vero e proprio villaggio turistico. Una struttura che fu però abbattuta nel gennaio del 1957: al proprietario non fu infatti rinnovata la concessione dell’uso del suolo perché il Comune voleva realizzare, in quel punto, la larga strada costiera che avrebbe collegato Bari a San Giorgio. 


Gli anni 60 furono poi gli “anni d’oro” di Pane e Pomodoro. In alcuni video presenti su Youtube si vedono intere famiglie popolare il basso litorale. Notiamo donne, uomini e bambini che si abbronzano sul bagnasciuga per poi tuffarsi tra le onde del mare. «La settimana di Ferragosto era la più intensa – ci dice ancora Petino –. Pur di assicurarsi il posto, c’era chi dormiva in spiaggia con le tende per interi giorni».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma la situazione cambiò quando iniziarono i lavori per la realizzazione del tratto asfaltato del lungomare sud. Di lì a poco la zona fu presa d’assalto da delinquenza e prostituzione e Pane e Pomodoro si trasformò in una distesa dove parcheggiare l’auto e consumare rapporti sessuali. Il tutto tra rifiuti di ogni genere e grossi topi in cerca di cibo.   

Un degrado da cui in realtà il lungomare sud fatica ancora oggi ad emergere. Buona parte del “quartiere” è infatti ancora caratterizzato dalla presenza di “donnine”, di palazzi occupati da rom, di strutture lasciate a marcire, di ville e case abbandonate. Anche se i lavori per la variante “collo d’oca” del nodo ferroviario, che porterà entro il 2025 allo spostamento di gran parte del tracciato su cui viaggiano i treni, potrebbe “riallacciare” questo pezzo di Bari al resto della città, liberandolo dal suo perenne isolamento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel frattempo però la zona di Pane e Pomodoro è stata salvata. Grazie, come detto, alla “bonifica” dell’area che ha portato alla realizzazione della spiaggia attuale. Del resto anche la parte prospicente l’arenile, fino a qualche anno fa dominata da saracinesche abbassate e locali chiusi, sembra stia rivivendo con l’apertura di nuovi esercizi commerciali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Oggi a dare accesso al lido vi è un ingresso sormontato da un cartello a forma di onde sulle quali è inciso il nome di Pane e Pomodoro. Si entra così in una sorta di “piazzetta” dotata di panchine e fontanelle e dominata dal chiosco del bar (attualmente chiuso per beghe legali).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Alla sinistra si sviluppa la distesa di sabbia protetta dai frangiflutti, lì dove i baresi piantano gli ombrelloni e stendono i teli colorati, i turisti ammirano lo skyline del centro storico e gli sportivi si cimentano nel surf, nel sup e nel kite. Arenile che è circondato da bassi alberi che regalano ombra ambita durante le giornate più calde.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A destra invece si dispiega la parte verde dello stabilimento, in cui tra piccoli giardinetti si distinguono il pontile in legno spesso usato per fare yoga all’aperto, il tavolo da ping-pong di pietra e gli attrezzi ginnici per il corpo libero. Ancora più in fondo, superato il “pesce mangia plastica” per i rifiuti, vi sono le giostrine: altalene e scivoli che vengono utilizzati dai più piccoli, il tutto mentre i loro nonni giocano a carte di fronte al mare, ripensando a quando qui c’era solo tanta desolazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)

Nel video: la spiaggia di Pane e Pomodoro nell’estate del 1963:



© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita



Gaia Agnelli
Scritto da

Lascia un commento
  • Stefano - Beh! in parte la storia di quella zona l'avete scritta Voi. La verità sarebbe un'altra. Io sono barese di nascita ma vivo al Nord da oltre 40 anni. In Tutta quella zona sino a S.Giorgio, dove io vivevo in una villa con la mia famiglia, erano presenti diversi Lidi (citato il Lido Marzulli) e diversi ristoranti. La prostituzione era quasi assente. La mia rabbia mi porta a dire che: il padre Eterno da il pane a chi non ha i denti. Questo vale per i miei ex concittadini che governati da una classe politica incompetente hanno lasciato che tutta quella zona, che potrebbe diversamente essere sfruttata dal turismo (che porta i soldi), cadesse nel più alto degrado. In quella zona noi ragazzini andavamo a fare il bagno ed allora non vi erano le possibilità di mobilità e di alimentazione di oggi e così ci portavano fette di pane e un pò di pomodori e metà mattinata si mangiava PANE E POMODORO. L'abbandono e la distruzione di quel littorale, avvenuti negli 80/90 hanno indotto molti concittadini compresa la mia famiglia a cercare altri luoghi. Io in Lombardia e mio padre nel Veneto. Ma nel mio cuore quel passato è rimasto vivo e mi genera sempre rabbia. Bah! non so se pubblicherete quanto da me scritto.
  • Vito Petino - STORIA DELLA SPIAGGIA DI PANE E POMODORO (vissuta dai ragazzi che hanno realizzato il sito originario nei primi anni 50 a sud del vecchio Lido Marzulli, e successivamente da due di quei ragazzi che, in qualità di consiglieri del comune di Bari, avviarono l’iter burocratico relativo al nome da dare all’attuale spiaggia) Premessa Gli artefici che realizzarono nell’estate del 1954 la spiaggia di Pane e Pomodoro a sud del muro di cinta del vecchio lido Marzulli, da tutti subito nominata “Panepmdor”, furono i piccoli ragazzi dieci-dodicenni della Quarta Traversa di Japigia, oggi racchiusa nel quadrilatero delle strade viale Japigia, via Magna Grecia, via Peucetia e via Daunia. Fra questi in primis il dottor Pasquale Abrescia, poi agronomo della Regione Puglia e consigliere comunale, e io, Vito Petino, poi geometra e consigliere circoscrizionale di Japigia-Torre a Mare. Ma i nostri ruoli istituzionali, successivamente conseguiti, influirono in qualche misura nella successiva fase di dare un nome alla spiaggia a nord dell’attuale doppia carreggiata, tratto del lungomare Perotti, che termina dove una volta iniziava il lido Marzulli, a sud del quale c’era la nostra Panepmdor originaria. Pane e pomodoro sud Un salto indietro sino al 1954, ed entriamo nella storia della spiaggia anche io e i miei compagni della mitica Quarta Traversa di Japigia che, fra le altre cose, contribuimmo fattivamente a realizzare il campo da calcio di via Magna Grecia, dove per anni si sono disputati accaniti tornei gestiti dall’Uisp di Vincenzo Lanza. In quell’anno, proprio il giorno d’inizio primavera, la nostra famiglia si trasferì nel nuovo quartiere. Ho avuto, quindi, il privilegio di far parte di quei ragazzi di Japigia anni ’50, ben educati e appartenenti a famiglie di brava gente, quasi tutte con un solo stipendio. Anche se a dirla tutta eravamo ragazzi che della strada avevamo fatto la nostra casa, ma non nel senso odierno, di ragazzacci di strada. La marachella più grossa che si commetteva era quella di infilarsi sotto il fil di ferro spinato delle campagne intorno alle nostre case per “rubare” finocchi, fioroni, mandorle, gelsi o qualche altro frutto maturo, che consumavamo sul posto, se non inseguiti dai contadini, che non andavano mai oltre lo spaventarci. A quel tempo il nucleo originario del quartiere era interamente composto di case popolari, suddiviso in Quattro Traverse, ognuna consegnata dall’Ina Casa ai singoli assegnatari, rispettivamente nell’arco degli anni dal ’51 al ’54, e distribuite lungo tutto il viale Japigia, dalla Fiat all’attuale via Daunia, allora inesistente, come inesistenti erano le vie Peucetia e Magna Grecia che completavano il perimetro della nostra Traversa, circondata su tre lati dal verde agricolo. Fummo dunque gli ultimi ad occupare la parte più a sud di quel gruppo originario di case popolari nel nuovo rione. Arrivati tutti a prendere possesso delle case nuove a marzo del 54, nessuno dei nostri genitori si preoccupò di ritirare il nulla-osta dalle vecchie scuole per farci proseguire l’anno sino a giugno negli istituti più vicini alle nostre abitazioni nuove. Fu perciò la più lunga e stupenda estate della nostra vita. Vacanze da marzo a ottobre mai nessun alunno le aveva avute; di contro quell’anno si ebbe il maggior numero di bocciature alle elementari. Ma la gioia provata in quei mesi valeva bene una bocciatura. Trascorrevamo le giornate fra partite di calcio, giochi di comitiva come “staccio”, “palla mazzaridd”, “nascondino” con la partecipazione delle ragazzine con le quali, soprattutto di sera, nascevano approcci che ci davano i primi sobbalzi al cuore; caccia grossa a lucertole e scorzoni, a poveri uccellini nei prati intorno alle nostre case; eravamo cattivi, selvaggi, noi adolescenti d’allora con indifesi animaletti; e infine il passatempo più bello per l’intera estate, i bagni a mare. C’era all’epoca poco distante dalle nostre case il lido Marzulli. La prima volta che ci trovammo di fronte al classico portale d’ingresso, con ai lati due colonne, capimmo subito che si trattava di roba per ricchi. Per entrare nel lido, bisognava pagare. Ma quasi tutti appartenenti a famiglie alquanto numerose, non avevamo la possibilità di spendere. Qualche volta lo si aggirava clandestinamente da baresi portoghesizzati. Noi della Quarta Traversa, come ho anticipato, avevamo cominciato le vacanze sin dall’arrivo nelle case nuove in marzo. Quindi già da mesi avevam preso la strada del mare. Percorso il campo di erbacce intorno alla stazione diroccata di Parco Sud, attraversando poi il fascio di binari e scavalcando la staccionata di cemento che divideva la ferrovia da via Imperatore Traiano, era questa la via più breve che dalle nostre case in dieci minuti ci conduceva dietro al Lido Marzulli, dove l’accesso al mare era libero e con una sicura distesa di sabbia, che arrivava sin quasi al Canalone, oltre il quale s’affacciava sul mare il ristorante Transatlantico. Dal Canalone alla risacca marina, a sud della recinzione del Marzulli, dove noi avevamo creato la nostra spiaggia libera, vi era un campo di pomodori. Proprietario di quel fondo era un certo Girolamo. Lo chiamavamo “u lech d G-lorm u chzzal”, un fondo di terra e sabbia, più sabbia che terra. Il contadino, ogni giorno sudando sotto il sole cocente, arava, seminava e annaffiava di continuo le piantine con acqua di pioggia raccolta nel pilone di cemento al centro del campo, che fungeva da grande serbatoio di quell’acqua, poi distribuita nei solchi arati, per far crescere grandi i pomodori rossi e dolcissimi. Prima di andare a mare, noi ragazzi e ragazze, con qualche lira avuta o presa a casa, passavamo dal Panificio Japigia di Nicola Caricola, sul viale, per comprare una rosetta. Io, mio fratello Lilli, Pasquale Abrescia e suo fratello Nicola, al panino preferivamo dividerci le quattro pagnotte che componevano il mezzo chilo di pane a forma di quadrifoglio. Come companatico acquistavamo gianduiotto o formaggino triangolari. I ragazzi con qualche soldino in più, fette di mortadella e provolone. Appena sulla spiaggia, liberandoci, sempre di corsa, di magliette, zoccoli di legno, pantaloncini, o gonne le ragazze, si entrava in acqua tutti insieme sollevando di proposito schizzi giocosi per bagnarci subito. Si usciva dal mare soltanto quando le dita delle mani erano completamente raggrinzite e bianchissime. Con le mani ancora umide ognuno prendeva il suo panino e companatico pronto ad addentarli con l’amore della fame infantile. Un giorno d'agosto di quel gioioso '54, a me capitò di rimanere a pane asciutto essendo stato derubato del gianduiotto dalle formiche. Il primo morso non ne voleva proprio sapere di andare giù. Mi guardai in giro e vidi i grossi e rossi pomodori già belli e maturi nel campo lì vicino; fu un gesto istintivo raccoglierne uno, sciacquarlo nel mare per liberarlo da terra e sabbia, spiaccicarlo succoso nel panino che ci facevamo tagliare prima da Vincenzo il ragazzo del panificio, e mangiarlo con maggior piacere per non aver pagato il companatico. Da quel giorno tanti di noi, anche per tenersi in tasca qualche soldo, presero l’abitudine di mangiare il panino del Panificio Japigia col pomodoro di Girolamo il contadino innaffiato con acqua di mare, allora di una trasparenza e freschezza da lago alpino. Girolamo se ne accorse, ma non ci cacciò. A evitare che tanti di noi gli rovinassero il terreno coltivato, ogni giorno vicino a una pietra del fondo ci faceva trovare avvolti in carta di giornale una ventina dei suoi e nostri amati pomodori. Diventò naturale, perciò, la mattina quando ci radunavamo nel cortile delle nostre case, domandarci e risponderci. - Mario, vin a mmar? - Addò? - A Panepmdor. Così è nata, non la leggenda, ma la vera storia di Panepmdor dove, fra le altre cose, sono nati i nostri primi amorini. Rina, Gildarosa, Lia, Pupetta, Rosetta, Giulia, Antonietta, Ninetta, Silvia, Annetta, e tante altre ormai nascoste negli anfratti della memoria. Quanti bei fiori freschi e odorosi c’erano nel prato della nostra verde età, e fragranti come il nostro pane e pomodoro. Amori infantili innocenti, tanto da permetterci, ogni giorno sulla strada del ritorno, di soffermarci nel casello ferroviario abbandonato oltre i binari per spogliarci tutti nudi, maschietti e femminucce, a cambiarci i costumini bagnati per indossare gli abiti asciutti. Il lido Marzulli? Ogni tanto si dava una sbirciatina soltanto per vedere le sofisticate ragazze della Bari bene, concludendo che nessuna aveva la genuinità e la bellezza naturale, senza fronzoli, delle nostre ragazze. Se non fosse stato per Quaroni, noi oggi avremmo ancora la costa sud di Bari così com’era allora. Sarebbe bastato continuare a incanalare il traffico su via Imperatore Traiano, così come si era fatto prima. La via vecchia di Mola è rimasta tuttora invariata dal Canalone a San Giorgio, presso l’uscita dell’attuale circonvallazione per il lungomare. L’arteria a doppia carreggiata dall’attuale Pane e Pomodoro plagiato al Canalone, voluta dal suo piano, in pratica non è servita a smaltire il traffico sulla strada litoranea. Gli dà, sì, un certo respiro solo nel tratto Perotti Trieste, ma nel seguito, restringendosi la strada, torna a essere asfittico. Comunque la collettività non ne ha beneficiato granché, spegnendo per sempre nello stesso tempo i nostri sogni di adolescenti con la scomparsa del lido e la propaggine della spiaggia di Panepmdor a sud. Ma con i nostri occhi di ragazzi a stipendio fisso, quello del papà, in realtà vedevamo il lido come miraggio nel deserto per abbindolare i più ricchi. Il lido Marzulli ebbe vita breve. Il nostro Panepmdor invece tirò avanti sin dopo l’inizio dei lavori stradali dell’arteria a doppia carreggiata. Pane e pomodoro nord Anni dopo andavo spesso a trovare il dottor Pasquale Abrescia nel suo ufficio della Regione al primo piano; ufficio che gli ho sempre invidiato, perché vi si godeva una delle più belle viste sul nostro splendido mare. L’ultima volta che sono stato da lui nel Palazzo dell’Agricoltura, dove svolgeva mansioni di agronomo, era giugno del 2008. Guardavamo la gente che affollava Pane e Pomodoro attuale, quando nei nostri occhi passò tutta la vicenda burocratica di quel nome riciclato per la spiaggia realizzata e strutturata, così come oggi è, dal Comune alla fine degli anni 90. Ricordammo la nostra Panepmdor più a sud, e realizzammo in quel momento di essere stati fra il gruppo di ragazzi che “fondarono” la spiaggia dal nome originale. Il dottor Abrescia era stato Delegato Sindaco per il rione Japigia per un decennio, prima che fossero istituite le circoscrizioni a Bari. È stato negli anni 80, lui Consigliere Comunale, io Circoscrizionale per Japigia-Torre a Mare, che l’amministrazione De Lucia cominciò a pensare a un progetto per una spiaggia libera attrezzata, lì dove, come negli anni 50 noi più a sud, la gente del popolino cominciò ad occupare nei mesi estivi, per abbronzarsi e immergersi in acqua, la striscia di sabbia creatasi fra la strada a doppia carreggiata ultimata e il mare. Allora come in passato, da Japigia veniva gente con quella che è la tradizionale colazione da mare della gente con pochi soldi, il pane col pomodoro. Il dottor Abrescia, impegnato dalle sue pratiche d’ufficio, mi suggerì di preparargli una relazione con la nostra storia di ragazzini, che avrebbe portato in commissione per proporre alla nuova spiaggia il nome di Pane e Pomodoro. Non è che io avessi tempo da perdere, ma con la mia libera professione di geometra, fra cantieri e studio, avevo più libertà d’azione, e misi giù l’istanza, che altri poi provvidero a portare avanti, sino all’approvazione in consiglio del nome definitivo da dare alla spiaggia. Anni dopo scrissi alla Gazzetta per far riconoscere la nostra iniziativa storica a merito di tutti i ragazzi di quella meravigliosa estate del 54, che poi eran quelli che giocavano a calcio nel cortile interno alle palazzine I, L e H, chiamati “I ragazzi del campo Bianco”, per il fondo in polvere di tufo di quel campetto irregolare come la pista di un autodromo da formula 1. Ed eccoli quasi tutti i ragazzini d’allora divisi per palazzine in senso orario sulla planimetria, allegata con alcune foto d’epoca. Palazzina I/1 Nicola e Gino Botta, Gianni Nicola e Gino Mastrangelo, Peppino e Romano Fiore, Giovanni Costantino, Francesco Fernando e Carmelo Angelico, Ninni e Mimmo Langianese, Pinuccio Cafagno; palazzina I/2 Attilio e Vito Schepsi, Feluccio Peppino Mimmo Romeo Maurizio Silvana e Flora Clarelli, Giusy e Marco Caputo, Rosanna e Massimo Ranieri, Giampetruzzi, Danese, Vincenzo e Raffaele Clarelli, cugini dei precedenti; palazzina I/3 Gigi e Tonio Melcarne, Michele D’Urso, Nicola Pasculli; palazzina I/4 Nicola Paparella, Saverio Vincenzo Mimmo e Nicola Lisco, Mimmo Maria e Franco Cesario, Peppino Mimmo Michele Angelo Anna Annoscia, Langianese, Mimmo Varrese; palazzinaa I/5 Alberto Ninetta Rosetta Tagliola, Tonino e Michele Dentico, Gildarosa Dabbicco, Mimmo Tommaso Rina e Tonia Cellamare, Vito e Michele Petino, Enzo Manzo; palazzina I/6 Lorenzo e Franchino Castelletti, Michele Lorusso, Pasquale Carella, Federico Padovano, Agnello e Giorgio Zoppo; palazzina L/1 Giovanni e Rosetta Ruggero, Giovanni Attolico, Sabino Mongelli, Pasquale e Nicola Abrescia, Gino e Annetta Lorusso, Enzo e Mario De Bellis; palazzina L/2 Michele e Nicola Galletta, Gianni Di Bari, Lello e Gino Pignatelli, Gianni La Carbonara; palazzina L/3 Nicola Cazzorla, Pierino Coletta, Saverio Chimenti, Pinuccio e Mario Scolozzi; palazzina H/1 Toruccio Silvano e Nicola Rinaldi, Nicola e Gino Zambetta; palazzina H/2 Lello Lillino e Gianni Fiore, Feluccio e Mario Minerva. Qualche nome è sfuggito, ma anche loro hanno contribuito a creare Panepmdor. Ho visto Pasquale Abrescia il 6 settembre del 2008, giorno del suo compleanno. Non pensavo fosse l’ultima volta che ci abbracciassimo. Due mesi dopo è venuto a mancare. Caro Pasquale, quegli anni indimenticabili non si scordano più…
  • Gianvito - Il logo è stato creato da me ma potrei raccontare tanto
  • Vito Petino - Caro architetto Spizzico, so bene che lo studio del logo è suo. Seguimmo tutta la vicenda, io quale consigliere di Japigia-Torre a Mare, e il dottor Pasquale Abrescia come consigliere comunale, che portò in commissione la nostra istanza per proporre il nome di Pane e Pomodoro alla spiaggia, quale riconoscimento di paternità a quei ragazzini della quarta traversa di Japigia, che ne idearono istintivamente il nome ruspante di Panepmdor a quel tratto sabbioso dietro il muro di cinta sud del Lido Marzulli, secondo quanto riportato nel racconto dell'epoca. Quella sua scritta in similonda, piacque istantaneamente a tutti. Un saluto doveroso a te, architetto...


Powered by Netboom
BARIREPORT s.a.s., Partita IVA 07355350724
Copyright BARIREPORT s.a.s. All rights reserved - Tutte le fotografie recanti il logo di Barinedita sono state commissionate da BARIREPORT s.a.s. che ne detiene i Diritti d'Autore e sono state prodotte nell'anno 2012 e seguenti (tranne che non vi sia uno specifico anno di scatto riportato)