di Raniero Pirlo

Bbastenàche, pedresìne, checozze, uàcce: ecco l'origine dei nomi delle verdure baresi
BARIAmínue, bbastenàche, checozze, cim de cole, uàcce, pedresìne, prequèche. Se ci sono dei termini baresi lontani anni luce dal suono e dalla forma italiana, quelli sono gli appellativi aspri e duri con cui vengono chiamate le varie tipologie di frutta e verdura. Particolari nomi dall’origine millenaria, che nulla hanno a che fare con la dolcezza della lingua del Belpaese, ma che invece raccontano di un passato fatto di dominazioni e distanza territoriale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I termini che derivano dal greco – Per secoli, fino al 326 a.C., Bari fece parte della Magna Grecia. Tuttavia fu soprattutto durante il secondo periodo bizantino (876-1071 d.C.) che la città assorbì la cultura ellenica dopo essere diventata sede di un importante Catepanato, la massima espressione politica dell’Impero romano d’Oriente. E fu quindi probabilmente in quegli anni che la lingua locale accolse alcuni vocaboli di origine greca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un esempio è la parola che indica la mandorla, regina della frutta secca pugliese, che in barese si dice amínue. Deriva infatti dal greco amygdàle (ἀμυγδάλη). Curiosità: anche la lingua italiana ha preso in prestito questo antico termine, non però per chiamare un seme ma una parte del sistema nervoso dalla forma, appunto, simile a una mandorla: l’amigdala.  

Anche l’onnipresente prezzemolo trae origine da una parola greca: in barese si chiama infatti pedresìne e deriva da petrosèlinon (πετροσέλινον), letteralmente “sedano che nasce tra le rocce”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E poi c’è il cavolfiore: la cime de cole. Il termine cole in realtà ha lo stesso etimo di cavolo in italiano, derivando dal tardo latino cāulum, ma che a sua volta è riconducibile al greco kaulòs (καυλός), che significa “stelo” o “gambo”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


È anche greca l’origine di prequèche, la percoca, la varietà della pesca tipica della Puglia e della Campania. A Bari però, per un curioso esempio di paretimologia, si indica con prequèche anche lo svarione, l’errore: in questo caso però per l’assonanza con l’espressione latina qui pro quo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I termini che derivano dal “latino perduto” Nel variegato dialetto barese sono presenti parole che pur derivando direttamente dal latino si discostano completamente dall’italiano. Si tratta di casi in cui il vernacolo del capoluogo pugliese, per via della marginalità territoriale della città, ha conservato radici latine che altrove sono andate perdute.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un esempio è la carota. In barese si chiama infatti bbastenàche, direttamente dal latino pastĭnāca, che al tempo indicava proprio la diffusa radice. Oggi invece il termine “pastinaca” in italiano indica un altro tubero simile alla carota ma di colore chiaro e dal sapore più dolce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un altro nome di verdura che proviene dal latino “perduto” è checozze, la zucchina: un incrocio delle parole cŭcŭtĭa e cŏchlĕa. La cŭcŭtĭa indicava un frutto o un ortaggio, probabilmente la zucca, mentre cochlea significava letteralmente “chiocciola”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Direttamente dal latino apium proviene poi il sedano “barese”, ovvero u uàcce. Il termine sarebbe acce, ma da sempre è stato pronunciato unendolo con l’articolo “il” (u in dialetto). E così u acce è divenuto pian piano uàcce: quell’immancabile verdura che, assieme al finocchio, al ravanello e alla bbastenàche, va a formare la “crudités” barese, il cosiddetto sopataue.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 


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Raniero Pirlo
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  • Emanuele Zambetta - Mai scrivere "uàcce" se privo di relativo articolo o preposizione articolata. La parola – "sola sola" – diventerebbe "jàcce" (proprio come "ècchje/jècchje" e tantissime altre nello stesso contesto), ovvero avente iod prostetico. Erratissimo non menzionare la prostesi, tipica del barese. La "u" di "uàcce" – che rafforzerei per una pronuncia più realistica – tecnicamente si definisce "propagginazione": u/du/pu/cu/o/do uuàcce/uuècchje/uuore/uuache ecc. Senza dilungarmi, col mio sistema scriverei così le altre parole dialettali succitate: "bbastenache" (coesiste con "bbastenáche"), "pedresine", "cime de cole", "checòzze", "prequéche", "sopatàuue", "amìnue" (perché mai l'accento acuto in quest'ultima?).


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