di Gaia Agnelli e Marianna Colasanto

Le salumerie storiche di Bari: «Prodotti di qualità per battere la concorrenza dei supermercati»
BARIPunti di riferimento di ogni quartiere della città, deliziano i palati dei baresi con prelibatezze come salumi, formaggi e sottaceti, pur vendendo anche generi essenziali quali pane, acqua e ortaggi. Parliamo delle salumerie, piccoli locali che soffrono sempre più la concorrenza dei fornitissimi supermercati ma che continuano in alcuni casi a “resistere”, grazie alla qualità dei prodotti offerti e al rapporto di fiducia con la clientela.

Nel capoluogo pugliese quattro di queste attività hanno addirittura superato i settant’anni. Si tratta dell’Antica Salumeria da Nicola, classe 1930, la coetanea Gastronomia Melfi, l’Alimentari Sciacovelli del 1944 e la Visaggio Salumeria fondata nel 1947. Siamo andati a trovarle (vedi foto galleria).

Iniziamo il nostro viaggio dall’Antica Salumeria da Nicola, che ha sede a Bari Vecchia al civico 17 di Strada Bianchi Dottula, nei pressi di Largo Albicocca. Entrando, al di là di una testa impagliata di cinghiale, vi sono espositori di vini, taralli e pasta.

Gli interni richiamano lo stile rustico degli storici edifici del quartiere: dalle volte a botte pendono due vecchie scalette e dei lampadari in vimini, mentre il pavimento è a chianche. Il locale, ristrutturato nel 2000, ha riportato alla luce il suo “cuore antico”, tra cui le pareti in pietra e il pozzo nella nicchia, che facevano parte del settecentesco Palazzo Macario.

Ovunque spuntano cimeli: fotografie, una radio vintage, anfore per i forni pubblici, portaprosciutto degli anni 50. Davanti a noi il bancone espone in bella vista mortadella, fesa di tacchino, speck, bresaola e salame. Su una trave posta in alto, invece, sono appese delle salsicce “a catena”.

«Tutto nasce ai primi del 900, quando il mio bisnonno Violante aprì in questi spazi una pasticceria – ci racconta il 48enne proprietario Nicola La Pesara, che veste rigorosamente un camice bianco –. Nel 1920 sua figlia Cecilia la adibì a latteria e infine a salumeria».

Negli anni 60 la nonna passò al timone a Vito, padre di Nicola, che insegnò il mestiere all'attuale gestore sin dalla sua nascita. «La mia culla era dietro il bancone – sorride l’uomo –. Ho fatto a lungo il garzone, fino a quando nel 2000 diventai il titolare».

«Qui per i clienti è sempre stato come stare in famiglia – interviene Rosa, moglie di Nicola –. Ogni mattina continuano a venire le stesse persone a comprare il latte fresco, anche in pigiama. Conosciamo i gusti di tutti e loro basta infatti chiedere “il solito”. Il panino più gettonato è quello con mortadella e provolone ma ne facciamo anche di più elaborati, vedi quello con capocollo, burratina, pomodori sott’olio e vincotto di fichi».

Un lavoro di fantasia insomma, combinato con un’atmosfera amichevole che è difficile trovare al bancone dei “nemici numero uno” delle salumerie: i supermercati.

Anche se per Nicola la vera arma segreta di queste attività è il rapporto qualità-prezzo. «Scegliamo prodotti ricercati e li vendiamo a un costo concorrenziale – dice –. Magari incassiamo meno ma ci teniamo stretti i clienti che si fidano di noi e dei nostri consigli: cosa che raramente avviene nelle grandi catene».

Ci spostiamo ora nel quartiere Picone, in viale Salandra 29, dove dal 1947 si trova la salumeria Visaggio. Il titolare però non è interessato all’intervista, così continuiamo il nostro viaggio nel rione Madonnella. Qui, alle spalle dell’Albergo delle Nazioni, “sta di casa” al civico 39 di via Dalmazia la salumeria Sciacovelli.


Varcato l’ingresso vediamo alla nostra sinistra il bancone con in mostra provolone, scamorze, formaggi a pasta fusa e speck, pancetta a strisce, prosciutto cotto e crudo, bresaola. Dall’altra parte ci sorride il titolare 64enne Vito Sciacovelli.

«Tutto nasce nel 1944 con mia nonna Maria e suo figlio Gino, commerciante di frutta, che le suggerì di aprire un negozio di generi alimentari – racconta –. Si stabilirono al civico 32, poi negli anni 60 ci trasferimmo tutti al 33 e infine nel 1985 al 39, senza mai spostarci da questa strada».  

«Inizialmente c’era grande povertà. Gli avventori si presentavano con le tessere annonarie che davano diritto a merci razionate – riferisce l’uomo –. Ma col dopoguerra e il boom economico arrivarono tanti clienti, tanto che io dovetti lasciare l’Università per aiutare nell’attività mia madre Ippolita».

Oggi i tempi sono tornati più duri a causa della spietata concorrenza dei supermercati, ma Sciacovelli ha ancora una grande fortuna. «I nipoti dei clienti di nonna Maria si riforniscono da me: un “sodalizio” lungo tre generazioni che in alcuni casi è diventato una grande amicizia – ci confida –: si tratta di persone così fidelizzate che ci consentono di non abbassare le serrande».

Il nostro tour termina sempre su via Dalmazia, ad angolo con via Gorizia, dove si trova la salumeria Melfi. Sulla destra ci accoglie con scaffali di vini, latte e acqua, a sinistra invece un’affettatrice vintage affianca il bancone pieno di scamorza, giuncata, burratine, provolone, stracciatella. Sullo sfondo si stagliano mensole di vari generi alimentari, mentre da una trave sul soffitto pende una coscia di prosciutto crudo.

«Negli anni 30 mio nonno Lorenzo aprì una drogheria qui di fronte che poco dopo trasformò in salumeria: la prima del quartiere – spiega il titolare 52enne Donato Foggetti –. Poi la gestione passò a mio padre Giovanni che nel 1948 si spostò accanto a questa sede, al civico 141, intestando il locale a mia madre Ninetta Melfi».

Lì Donato, che aveva cinque anni, si avvicinò al mestiere coi suoi fratelli maggiori Mimmo e Lorenzo per poi passare alla gestione nel 1985, anno in cui avvenne il trasferimento negli spazi in cui ci troviamo.

«Papà ci insegnò la tecnica per riconoscere un buon prodotto – afferma Mimmo –. Si infilava l’osso del cavallo nella coscia di maiale e, una volta estratto, lo si annusava: se odorava di carne cruda non era pronto per diventare un prosciutto. Per il parmigiano invece usavamo un mattarello, ossia un “cavatappi” da inserire nella forma per valutarne la stagionatura».

Storie personali che si intrecciano con quella di Bari. «Negli anni 70 vendevamo solo merce economica come panini e coppate – rammenta Donato –. Poi il quartiere cambiò e in questa strada vennero ad abitare avvocati, commercialisti e dottori che chiedevano champagne, tartufo e salmone: beni costosi che però potevano permettersi».

Tutt’ora molti degli acquirenti sono i professionisti residenti in zona e il loro potere d’acquisto è il segreto della longevità dell’esercizio. «Ritiriamo prodotti pregiati per i clienti che preferiscono spendere qualche euro in più – spiega –. Perché l’unico modo per “resistere” è diversificare l’offerta rispetto ai grandi magazzini, i quali riescono a essere più concorrenziali rispetto a noi. Tanti colleghi questo non l’hanno capito e così sono stati costretti a chiudere, spesso per essere assunti e “inglobati” proprio dagli odiati supermercati».

(Vedi galleria fotografica)


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  • francescoquarto - come al solito complimenti per i vostri articoli che rivelano una quantità di storie, persone, e tutto quanto, di Bari e non solo. per quanto riguarda le salumerie, penserei anche alla "De Carne", mi pare nel pieno del Murattaiano, via putignani, se non ricordo male. a me particolarmente cara perché babbo era affezionato cliente e quando tornava dal lavoro, la sera, recava sempre con sé un fagottino con qualche prelibatezza. dal mio rione mi riesce scomodo anche se vorrei visitarla per la profusione di specialità esotiche, non necessariamente forestiere ma provenienti da tutte le regioni della nostra Italia maestra di gastronomia! saluti francesco quarto
  • Vito Petino - SALUMERIE DELLA MIA INFANZIA (tratto da Prendere la vita a calci) I miei ricordi salumai della prima infanzia e sino all'adolescenza girano attorno a quattro salumerie, due nel murattiano d'allora, e due nel nuovo rione Japigia. Le prime tre in verità vendevano un po' di tutto, tanto da avere la scritta GENERI ALIMENTARI, dipinta a mano su pannello di legno a mo' d'insegna sopra la grande porta d'ingresso a due ante, pure in legno, insegna artigianale illuminata la sera da due faretti laterali. Le quattro scritte erano personalizzate soltanto dall’indicazione della categoria commerciale, il più delle volte seguita anche da un nome. Avevo pochi mesi nel 1945 quando mi madre ci portava, io nella carrozzina e mio fratello ancora in pancia, nel negozio di GENERI ALIMENTARI DA MARIA, nel vecchio edificio ad angolo della via Carulli, dove abitavamo, e via Abbrescia. Maria di Carbonara, o Carnarese, come tutti la chiamavano, e il marito erano proprietari di fondi agricoli, nell'allora frazione alle porte di Bari; terreni gestiti da altri familiari, nei quali venivano allevati animali, come polli e maiali. Da quei fondi ricavavano legumi e frutta secca, dall'allevamento, con sistemi artigianali, trasformavano le carni animali in prosciutti, e altri salumi, prodotti assolutamente genuini che vendevano nell'esercizio da cui mia madre faceva spese. Altri generi alimentari se li procuravano da aziende pugliesi. Infatti ogni mattina ricevevano latticini e mozzarelle fresche, formaggi, riso, pasta. Il pane era esclusivamente di Carbonara, cotto nel loro forno di campagna. E senza tema di concorrenza con il vicino mercato scoperto di bancarelle dello stesso genere. Mia madre faceva spese, che Maria pesava prodotto per prodotto sulla bilancia Mongelli posta sul banco di vendita, per poi incartare ogni merce, usualmente sfusa, in carta doppia marrone per legumi, carta azzurro intenso per pasta riso e altri cereali, e carta oleata per sottaceti e sottolio, mentre io e mio fratello, un po' più grandi, ci divertivamo a salire e scendere dalla bascula della Berkel messa a terra difronte al bancone, facendo arrabbiare mamma e gridarci dietro da Maria, che sollecitava il marito a usare maniere energiche, e lui invece, bonario, diceva "Lassl fa, so pccninn e s'anna sfuà". Accanto alla bascula erano accatastati sacchi di iuta più grandi di noi con dentro lenticchie, fagioli e ceci, e noi saltandoci spesso sopra per affondare nei sacchi i nostri corpicini, ci portavamo a casa, nei vestiti e su capelli e pelle le cimici dei legumi. All'epoca era l'inconveniente delle lavorazioni artigianali, poco controllate igienicamente, ma mai nocive. Era tipico a quei tempi che i mariti, mangiando pasta e legumi con i microscopici insetti estranei, apostrofassero le mogli "C m si fatt iosc, past e lndecchij ch la carn?" Appena a casa per me e mio fratello andava peggio. Prurito insopportabile, grattate profonde fino a consumarsi le unghie e pelle arrossata a macchie, cambio d’abiti e mia madre a darci una dura lavata a striglia nel galettone in legno con lo spazzolone e sapone sanitario. Nel 60 l’edificio ad angolo fu abbattuto per la realizzazione dell’attuale palazzo a sette piani. Di Maria non abbiamo saputo più nulla. Altro esercizio simile fu quello di famiglia. Mio nonno Vito nel 1950, stanco della sua professione di “pittor decorator” condotta nel locale di via Piccinni 104, chiuse i battenti e col ricavato aprì in via De Rossi angolo Putignani, ripeto la dicitura sempre dipinta a mano da lui stesso, la scritta SALUMERIA sopra e sotto GENERI ALIMENTARI. Ma durò poco più d’un paio d’anni per aver dovuto cambiare casa, da via Villari a via Bitritto, dopo il convento di Santa Fara, in aperta campagna. L’unico ricordo che mi torna spesso a galla di quella estemporanea attività del nonno è la sua avarizia da vecchiaia. Non è che si andasse spesso da lui, così lontano da casa per una spesa quotidiana, ma delle poche volte che siamo stati mi resta indelebile la scena del nonno distratto a servire un cliente, e mia nonna Isa che di nascosto ci portava nel retro per un panino alla mortadella, e noi che svicolavamo veloci fuori col panino in tasca per mangiarcelo a sua insaputa. Nel 1954 ci siamo trasferiti a Japigia, e sino al 60 la nostra prima fornitrice di cibarie fu una signora avanti con gli anni che insieme al marito conduceva il negozio sul viale, proprio ad angolo con la stradella Messapia chiusa dalla ferrovia, non ancora attraversabile in quel punto dal sovrappasso pedonale discendente in via Imperatore Traiano, costruito molti anni dopo. La scritta che campeggiava sull’ingresso riportava GENERI ALIMENTARI sopra e sotto DA GRAZIELLA. È qui che mia madre, seguendo l’esempio di molte casalinghe del rione popolare con stipendio fisso, imparò a utilizzare il libretto della spesa mensile, con pagamento in unica soluzione alla fine di ogni mese. Molto pratico ma dispendioso, se non si teneva sotto controllo il proprio libretto con la copia di quello in mano a Graziella, che approfittava delle dimenticanze o sbadataggini di molte signore per fare la cresta. Ma non è che nei sei anni che ci siam serviti da lei si sia arricchita. E nel 1960, persa Graziella per fine attività, proprio difronte nel nuovo edificio appena costruito, aprì la SALUMERIA DA FRANCO, con scritta sempre su due righe. Il metodo dei due libretti a debito e credito era ormai generalizzato, con la differenza che il proprietario era molto più furbo della signora Graziella, e qualche proprietà dalle creste era riuscita a farsela. Caratteristica comune delle piccole attività di quartiere quando si entrava era l’intenso odore, amalgamato sino allo stordimento, di mortadella salumi e formaggi, impregnato in scaffalature mobili e banconi regolarmente in legno massello di quegli angusti locali, anche se tutti con altezze di 5 metri, meno il locale più moderno di Franco che raggiungeva quasi i 4 metri e una lunghezza doppia dei precedenti locali. La fine di queste attività di vendita al minuto non è dovuta solo all’apertura indiscriminata di supermercati prima e iper dopo, ma anche alle mutate abitudini dei cittadini che vi si servivano. Prendiamo a esempio le due attività di salumerie fornitissime di prodotti speciali e particolari del centro murattiano, DE CARNE, una al corso Vittorio Emanuele e l’altra in via Calefati angolo Cairoli, all’avanguardia per circa quattro o cinque decenni nei gusti dei baresi più abbienti. Ma l’incremento dell’età media di vita e le condizioni di salute dei vecchi clienti residenti in centro che, per conservarsela, si son guardati bene di evitare le abbondanti abbuffate passate di grassi e carboidrati, hanno ridotto gli acquisti a piccole sbocconcellate di cibo che, mentre riuscivano bene a riempire gli stomaci ridotti e i portafogli degli anziani, non riempivano più le casse delle due attività in abbondanza come una volta. I loro giovani figli intanto emigravano nei grandi appartamenti e ville di periferia. E la crisi è servita…
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