di Luciana Albanese - foto Valentina Rosati

Ruvo, tra San Francesco e Templari alla scoperta di Santa Maria di Calentano
RUVO DI PUGLIA - Un edificio sacro immerso nel verde che conserva preziosi affreschi del 400 e la cui storia viene accostata a San Francesco d’Assisi e ai mitici Templari. É questo il biglietto da visita del santuario di Santa Maria di Calentano, misconosciuto tesoro situato in una contrada di Ruvo di Puglia: un luogo dove la religiosità si fonde con la rigogliosa natura dell'Alta Murgia. (Vedi foto galleria)

Il tempio risale al XII secolo, fu poi ristrutturato nel 400 e infine completamente ricostruito nel 700. Sorge nella frazione di Calentano, terra di masserie, campi coltivati e villette, spesso erroneamente chiamata "Calendano": un errore in cui cade persino Google Maps.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per raggiungerla dal centro cittadino percorriamo la strada provinciale 63 in direzione sud-ovest per 10 chilometri. L'arteria termina in una rotonda della strada provinciale 238: qui giriamo a sinistra e poi, dopo qualche decina di metri, di nuovo a sinistra in via delle Querce Calentano. Guidiamo quindi per 400 metri fino a incontrare il segnale giallo che ci invita a svoltare a destra, dove imbocchiamo il viale che presto ci porterà a destinazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La strada si incunea nella pineta del santuario ed è costeggiata da simboli religiosi in pietra, tra cui una graziosa nicchia dedicata a San Francesco D'Assisi. «Una leggenda popolare - spiega il 39enne don Gaetano Bizzocco, responsabile del complesso - vuole che il famoso santo si sia fermato proprio in quel punto per riposarsi durante un viaggio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo 200 metri la nostra meta appare sulla sinistra. Ne ammiriamo subito la facciata principale, caratterizzata da un basamento che sporge leggermente: risulta scandito da quattro arcate ed è racchiuso da due contrafforti. Qui venivano legati i cavalli dei viandanti. La parte superiore presenta due finestre, sormontate da sei aperture arcuate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutt'attorno a rubare la scena c'è il boschetto: pini, querce, sentierini e pittoreschi muretti a secco infondono una sensazione di tranquillità. «Fu voluta dai monaci basiliani - precisa don Gaetano - che cercavano una zona dove condurre il loro ritiro spirituale».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A poca distanza si erge un altro tributo a San Francesco. «É una statua che lo ritrae mentre "doma" il lupo di Gubbio - evidenzia il prete -, l'animale che secondo la leggenda terrorizzava il paese umbro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dal lato destro della costruzione si dirama un prolungamento murario in cui si apre l'entrata: un cancello introdotto da un quadro a sfondo giallo che ritrae l'Annunciazione della Madonna. Attraversiamo l'ingresso, ritrovandoci nell'atrio. Al centro spicca un pittoresco pozzo, un tempo utilizzato per irrigare l'orto monastico. In fondo si trova invece la costruzione principale, contraddistinta da tre porte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La prima conduce in quella che un tempo era la stalla: sui muri sono infatti ancora visibili gli attacchi per gli animali. La seconda porta ad alloggi ubicati ai piani superiori, mentre la terza è quella che permette di accedere alla chiesa: è sovrastata da un bassorilievo di una colomba, da una targa in marmo che riporta l'anno del restauro e da una finestra con sopra disegnata una croce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Ma soprattutto a destra del portone si trova una nicchia il cui stipite sinistro riporta scolpita una croce templare: è uno dei segni che testimonierebbero, secondo alcuni antichi documenti redatti a Molfetta, la passata esistenza da queste parti di una domus del celebre ordine cavalleresco. Una tesi però contestata da esperti in materia contemporanei, tra i quali lo storico locale Vito Ricci.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Varchiamo la soglia, non prima di aver dato un'occhiata ad un altare in pietra presente sulla destra, utilizzato per le funzioni all'aperto e a un'epigrafe latina del 1860 che rievoca le celebrazioni della festa della primavera (l'attuale lunedì dell'angelo).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«La pasquetta tra l’altro è il giorno in cui il santuario ritorna ai fasti di un tempo – ci racconta don Gaetano -. Un gruppo di statue viene portato in processione: prima in spalla e poi adagiato su un carretto trainato da cavalli per la benedizione dei campi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

All'interno veniamo subito accolti dal gruppo scultoreo: due statuette in cartapesta che raffigurano la Vergine con l'angelo dell'Annunciazione. Poi volgiamo lo sguardo verso l'unica navata dell'edificio, dalle cui volte pende un lampadario risalente al 500. Visitiamo l'ambiente, avvistando ai lati tre altari secondari: il più massiccio è situato nei pressi dell'abside e spicca per le sue ricercate decorazioni barocche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Arriviamo ora di fronte alla tavola liturgica principale, dietro la quale balza all'occhio il pezzo forte della chiesa: l'affresco quattrocentesco della Madonna con Gesù bambino benedicente. Le immagini sono affiancate a sinistra da Sant'Antonio Abate e a destra da San Leonardo, mentre sopra sono disegnati due angeli intenti a porre una corona sulla testa della Vergine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sul lato sinistro si apre poi l'ingresso della sagrestia, quella che originariamente rappresentava la chiesa vera e propria. Al suo interno notiamo una volta con un affresco sbiadito del Cristo Pantocratore vegliato da due angeli e quel che resta del lavatoio usato dai monaci basiliani. C'è anche un'epigrafe che riporta il nome di Rodulfus de Colant, feudatario ruvese vissuto nel XIII secolo, dal quale prende il nome la contrada.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Usciamo dalla sagrestia e giungiamo in quello che era l'orto monastico: un giardinetto oggi impreziosito da piante e alberi curatissimi, che si popola ogni domenica, quando viene celebrata la messa. Un luogo in cui i ruvesi possono rifugiarsi per pregare immersi nel verde, proprio come i monaci di tanti secoli fa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita



Scritto da

Foto di

Lascia un commento


Powered by Netboom
BARIREPORT s.a.s., Partita IVA 07355350724
Copyright BARIREPORT s.a.s. All rights reserved - Tutte le fotografie recanti il logo di Barinedita sono state commissionate da BARIREPORT s.a.s. che ne detiene i Diritti d'Autore e sono state prodotte nell'anno 2012 e seguenti (tranne che non vi sia uno specifico anno di scatto riportato)