Bari, i nonni che praticano il Taekwondo: «Ci divertiamo a sferrare calci e pugni in volo»
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mercoledì 22 maggio 2024
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di Silvia Strisciuglio
Il loro maestro è Giuseppe Dellino, tra i primi negli anni 90 ad aver portato quest’arte marziale nel capoluogo pugliese, che ospita gli allievi nella sua palestra situata all’interno dell’Arena della Vittoria. L’esperto ha aderito al progetto ministeriale “Taekwondo intergenerazionale: lo sport di nonni e nipoti”, organizzato dalla Federazione Italiana Taekwondo.
Siamo così andati a trovare gli attempati ma risoluti sportivi (vedi foto galleria).
Ci troviamo dunque davanti all’Arena della Vittoria, il vecchio stadio del Bari calcio che oggi ospita numerose associazioni culturali e sportive. Varcata la soglia dell’imponente cancellata, ci basta percorrere qualche metro per raggiungere la nostra destinazione: l’A.s.d. Dellino Team.
Davanti all’ingresso blu cobalto della palestra troviamo ad accoglierci il padrone di casa: Giuseppe Dellino. «Insegnare a persone anziane - esordisce - è un’esperienza davvero particolare e stimolante: ognuno di loro è per me una fonte inesauribile di saggezza. Ma è un percorso non privo di difficoltà: c’è infatti chi soffre di dolori alla schiena, chi ha problemi nel movimento delle gambe o chi a usare le braccia. Proprio per poter dedicare la necessaria cura a ciascuno di loro ho così deciso di suddividerli in piccoli gruppi composti al massimo da dieci persone».
Certo, ascoltando queste parole viene spontaneo chiedersi se il taekwondo sia l’attività giusta per chi ha superato una certa età. «I benefici nel praticarlo sono tanti - ci risponde prontamente Dellino -. Quest’arte marziale (che tra l’altro è anche sport olimpico) permette il rafforzamento delle strutture articolari, muscolari e vascolari, il miglioramento delle capacità motorie e cognitive, l’aumento della coordinazione e della velocità di riflessi. Consideriamo in più che prima di iniziare i partecipanti sono stati valutati attraverso diversi test dal dipartimento di Scienze Motorie dell’Università di Foggia».
Non ci resta ora che assistere alla lezione. Ed ecco che vediamo sei “nonni”, tre donne e tre uomini, fare irruzione nel dojang (la sala in cui si svolge l’allenamento) con indosso il dobok, l’uniforme bianca indossata dai praticanti di arti marziali coreane. Hanno tutti un enorme sorriso stampato in faccia quando mettono i piedi sul tatami blu, il materassino su cui si andranno ad allenare.
Chiaro, siamo lontani anni luce dall’idea dell’atleta marziale con fisico scultoreo e sguardo temerario. Ma tra baffi bianchi e chiome fresche di bigodino, l’entusiasmo è tanto. «Ed è bene avvisarvi - ci dice scherzando l'82enne Milena -: se pensate di assistere a una banda di vecchietti che esegue movimenti scoordinati vi sbagliate di grosso. Vi sorprenderemo».
La lezione comincia con l’esecuzione delle forme, una serie di combattimenti prestabiliti contro uno o più avversari immaginari. Disposti in due file parallele gli attempati allievi si cimentano nella parata alta, nella parata media e nella parata bassa: tre mosse fondamentali della disciplina.
Davanti a qualche difficoltà legata alla coordinazione, i nonnetti non si perdono d’animo e, tra una risata e l’altra, eseguono in successione i movimenti. Unendo poi le loro voci nel kiai, suono gutturale che accompagna il momento culminante di un kata (forma) o di un kumite (combattimento), in cui deve essere incanalata l’energia per sopraffare l’avversario.
«In questo modo si è conclusa la prima parte della lezione - avverte Dellino - ma ora inizia il bello. Adesso ci eserciteremo nei colpi, l’essenza del taekwondo». «Questo è il mio momento preferito - gli fa eco la 74enne Elvira –: è davvero liberatorio sferrare calci e pugni in volo».
Ed ecco che i sei si dividono in coppie disponendosi l’uno di fronte all’altro: mentre uno dei due mantiene ferma una racchetta da battito utile per parare i colpi, l’altro sferra calci e pugni, facendo attenzione a non piegare troppo la schiena e a non sforzare eccessivamente le ginocchia, punto dolente per alcuni di loro.
«Mi sento però sicura nell’esecuzione di ogni singolo movimento, perché avviene sotto la stretta supervisione del maestro che conosce tutte le mie difficoltà e i miei problemi muscolari», sottolinea convinta Milena.
«Inoltre al momento non ci dedichiamo ai combattimenti corpo a corpo, ma soltanto alle forme: non escludo però di organizzarne qualcuno in futuro», chiarisce Dellino ricevendo l’approvazione entusiastica dei suoi allievi.
Terminata anche la seconda fase dell’allenamento, la lezione giunge al termine con il tipico saluto del taekwondo: il Charyót Kyong-nye, che ha la funzione di ringraziare il compagno senza il quale non sarebbe stato possibile migliorarsi.
«Non vediamo l’ora di ritornare qui», affermano all’unisono i nonni prima di salutarci. «Praticare attività fisica divertendosi non è per niente scontato - aggiunge il 64enne Michele -. E poi riunirsi in palestra è anche un modo per socializzare».
Perché è evidente come il taekwondo rappresenti per questi anziani un efficace antidoto non solo per i dolori muscolari, ma anche per la solitudine. «La maggior parte degli anziani è sola ed esce raramente di casa - chiarisce Dellino -. Questo impegno settimanale si rivela così un’opportunità per fare una passeggiata, vedere gente nuova ma, soprattutto, per rendersi conto che la vita, dopo 60, 70 o 80 anni può ancora offrire nuove sfide».
(Vedi galleria fotografica)
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