di Claudio Mezzapesa

Dagli "uno-due" con Tovalieri alla staffetta con Guerrero: Protti racconta il Bari di Materazzi
LIVORNO - «Voglio credere che oggi ci sia ancora spazio per uomini e sportivi come me». Parole del 54enne Igor Protti (nella foto), uno dei giocatori più amati nella storia del Bari. Spirito di squadra, sacrificio, senso di appartenenza e attaccamento alla maglia, erano questi i valori incarnati dall’attaccante riminese, simbolo del romantico calcio di una volta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lo “Zar” (così come veniva soprannominato per via del suo nome “russo”) era dotato di grande forza fisica e velocità e aveva la capacità di “vedere” la porta come pochi. Fu protagonista del Bari di Materazzi che venne promosso nella massima serie nel 1993/94 e in quattro stagioni con i biancorossi totalizzò 112 presenze condite da ben 46 gol. Nell’ultima fu anche capocannoniere in A (a pari merito con Signori): anche se le sue 24 reti non bastarono a evitare la retrocessione della squadra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E così dopo Bergossi e Perrone abbiamo intervistato Igor, che oggi riveste il ruolo di club manager dell’Unione Sportiva Livorno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Partiamo con i ricordi dall’estate del 1992, quando passasti dal Messina al Bari…

Quando arrivai in Puglia il Bari era appena retrocesso in B e aveva fretta di tornare nella massima serie. Purtroppo però il primo anno non andò benissimo. L’allenatore era il quotato brasiliano Sebastião Lazaroni, che fu però esonerato a metà campionato. Al suo posto arrivò Beppe Materazzi, il quale pose le basi per quella che sarebbe presto diventata una squadra vincente. Nella stagione successiva infatti vennero presi tanti giovani: alcuni provenienti dalla serie C, come Mangone, Pedone e Ricci, altri che arrivavano direttamente dal settore giovanile biancorosso, tra cui Amoruso, Bigica e Tangorra. Con l’aggiunta di gente più esperta come me, Tovalieri, Barone e Joao Paulo, si creò così un mix perfetto che ci portò direttamente in serie A. Fu una promozione inaspettata e per questo ancora più bella, oltretutto conseguita giocando un bel calcio: veloce e spumeggiante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A causa di un infortunio in quella stagione saltasti però parecchie gare…

Sì, nel novembre del 1993 mi feci male al ginocchio durante un Cesena-Bari, rompendomi il crociato collaterale mediale. C’è da dire che tre mesi prima avevo anche perso mio padre. Questi due colpi avrebbero potuto abbattere chiunque, ma io non mollai: fu un momento difficilissimo ma con l’energia che mi ha sempre contraddistinto reagì e tornai in campo più forte di prima. E comunque con 6 gol contribuii anch’io a quella promozione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tu e Tovalieri formaste una coppia di attaccanti letale. Memorabili erano i vostri scambi, i triangoli e gli “uno-due” così rari da ammirare nel calcio di oggi…

Io e Sandro avevamo un ottimo rapporto non solo in campo ma anche fuori. Ci capivamo al volo, anche solamente con uno sguardo e arrivavamo in porta spesso scambiandoci il pallone di prima. Un qualcosa che nel calcio moderno si vede raramente: ai giocatori viene chiesto soprattutto di coprire bene gli spazi. Ma penso che questo sia normale: nei ventuno anni in cui ho giocato il mondo del pallone non ha mai smesso di cambiare. Anche se a volte, per migliorare, sarebbe opportuno guardarsi indietro, per fare tesoro del buono che c’è stato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Avevi un rapporto speciale anche con Materazzi…

Sotto tutti i punti di vista. È l’allenatore che più mi ha seguito durante le mie avventure calcistiche. Quando avevo 16 anni e mezzo mi fece esordire in Serie C a Rimini, la mia città natale. Poi lo ritrovai a Messina e infine a Bari. È una persona a cui devo tanto e alla quale sono sempre stato molto legato, anche dal punto di vista umano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Però Materazzi fu criticato dai tifosi quando nel campionato 1994/95  di serie A ti mise spesso in panchina preferendo Miguel Angel Guerrero come spalla di Tovalieri.


Sì, il colombiano aveva fatto tanti gol l’anno precedente in Patria e la società e il mister decisero di puntare su di lui. Diciamo però che ci fu un’alternanza tra me e Guerrero come n.11. Quell’anno dovetti accettare la staffetta, ma la stagione successiva, anche approfittando del fatto che Miguel arrivò in ritardo dalla Copa América, giocai la prima partita contro il Napoli. Segnai subito il gol del vantaggio dopo 5 minuti, poi ne feci un altro a Torino nella seconda giornata, tripletta contro la Lazio e una rete a Piacenza alla quarta. Insomma dopo 6 gol in 4 partite non ci fu storia: quando Guerrero tornò capì che sarei stato io il titolare di quella maglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Guerrero però portò a Bari il famoso “trenino”. Ma è vero che la versione barese nacque da un’interpretazione sbagliata?

Lui ci disse che in Colombia si celebravano i gol camminando “a quattro zampe” verso la bandierina, così noi curiosi decidemmo di imitare quell’esultanza. L’occasione giusta arrivò il 25 settembre 1994 in un Padova-Bari. Pedone segnò, andò alla bandierina e gli altri si accodarono. Però a fine partita Guerrero ci disse che avevamo sbagliato: solo l’autore del gol avrebbe dovuto mettersi in quella posizione, mentre gli altri sarebbero dovuti rimanere tutt’intorno. Il “trenino della felicità” nacque quindi per sbaglio, ma piacque così tanto che continuammo a farlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’ultimo anno a Bari fu segnato dalla retrocessione in B ma anche dal raggiungimento da parte tua del titolo di capocannoniere con 24 gol in 33 partite.

Fu un’annata strana. Materazzi venne esonerato e subentrò Eugenio Fascetti. Con lui mi trovai però subito bene: oltre a essere un allenatore molto capace, era anche un’ottima persona, schietta e diretta. Nonostante questo e nonostante i miei tanti gol, retrocedemmo. Fu un campionato molto complicato. E dire che io e Kennet Andersson insieme segnammo la bellezza di 36 reti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In quella stagione segnasti un memorabile gol contro la Cremonese…

Era il 14 aprile del 1996, ci giocavamo tutto in quella partita. Pioveva molto, il campo era quasi impraticabile e andammo sotto. Ma pareggiamo grazie a una mia rete e poi arrivò il raddoppio a pochi minuti dalla fine dell’incontro. Ricevetti un pallone sporco in area e tirai praticamente cadendo. Il terreno rese quel pallone insidioso e il portiere si allungò per respingerlo con il piede di richiamo. A quel punto, stremato, mi rialzai con uno scatto di reni e pensai di tirare di nuovo, ma davanti a me avevo quattro difensori più il portiere. Non c’era spazio, nessun angolo di porta libero. Allora mi portai fino al vertice dell’area di rigore e caricai il destro: il pallone partì con grande forza e contro ogni previsione andò a infilarsi all’incrocio dei pali. I tifosi, inizialmente increduli, esplosero di gioia. Amo quella rete perché rappresenta alla perfezione il modo che avevo di giocare e di vivere il pallone, fondato sulla grinta, sull’andare oltre i miei limiti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma c’è ancora spazio per giocatori come te nel calcio di oggi?

Voglio credere di sì. Il senso di appartenenza, lo spirito di squadra, il sudore, la corsa, l’impegno quotidiano sono valori importantissimi che ogni atleta dovrebbe possedere. Dal mio punto di vista bisognerebbe saper dire di “no” a qualche soldo in più, dando la priorità ai legami, all’affetto e all’attaccamento alla maglia. Anche oggi che sono club manager del Livorno cerco di trasmettere al gruppo, ai ragazzi, quello in cui credo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A Bari sei stato amatissimo: che rapporto hai con questa città?

Sono legato a Bari: mi è rimasta nel cuore. Nei quattro anni che ho trascorso in Puglia si è instaurato con i tifosi un rapporto di grande stima e amore reciproco che resiste tutt’ora. Sono andato via nel 1996 però ogni volta che torno (almeno due, tre volte all’anno) ho sempre la sensazione di ritrovarmi a casa. Sono orgoglioso di questo legame e non posso che ringraziare i baresi dell’affetto che mi hanno sempre dimostrato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel video (al minuto 2.21) il gol di Igor Protti nella sfida contro la Cremonese del 14 aprile 1996:



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