di Giancarlo Liuzzi - foto Rafael La Perna

Saloni dipinti ad olio, chiesette e raffinati gazebo: a Bari è nascosto il mondo di Masseria Arbinetto
BARI – Un raffinato e antico complesso nascosto nelle campagne cittadine che sfugge agli occhi dei baresi, ma che cela al suo interno una chiesetta decorata, sale con eleganti pitture ad olio e terrazze con raffinati gazebo. È questo il ritratto di Masseria Arbinetto, edificio del XVI secolo posto tra via Bitritto e strada Santa Caterina che, a differenza di tante altre strutture rurali presenti sul territorio, risulta ben conservato mantenendo quasi inalterato il suo aspetto originario. (Vedi foto galleria)

Come detto, seppur situata a due passi dal centro, la masseria è praticamente invisibile. Percorrendo però via Bitritto e superata la chiesa di Santa Fara, è possibile notare sulla destra due colonne in pietra che recano una targa con su scritto “Arbinetto”. Stesse colonne che si trovano su strada Santa Caterina. Qui, lasciatisi alle spalle i capannoni del centro commerciale e imboccata l’antica strada rurale, si stagliano sulla destra due pilastri che recano i nomi di Arbinetto e Lattanzi, quest’ultimi gli originari proprietari della struttura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le alte strutture sono lì a indicare l’accesso alla tenuta agricola, raggiungibile attraverso un viottolo che si inoltra nella silenziosa campagna, tra alberi di ulivo e mandorli in fiore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una passeggiata che ci porta davanti al massiccio muro perimetrale che circonda la masseria. In esso si apre un raffinato portale arcuato in pietra, con bugnato a cuscinetto, sovrastato da uno stemma a volute: raffigura tre mezzelune crescenti tra due stelle e al di sopra volti di putti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Questo è l’emblema dei Lattanzi, la famiglia a cui apparteneva mia madre, che per secoli ha posseduto il complesso», ci dice l’84enne proprietario Antonio Fenicia, che con la sua famiglia utilizza la masseria come luogo di riposo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

È il signore a parlarci della lunga storia dell’Arbinetto. Venne edificata a metà del 500 come masseria fortificata con funzione agricola, al centro di un enorme terreno che si estendeva per centinaia di ettari comprendendo anche altri edifici vicini. Alla fine dell’800 venne restaurata dai Lattanzi che ricostruirono anche una chiesetta partendo dall’originale struttura cinquecentesca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La facciata della cappella si trova accanto all’ingresso principale del complesso. Si presenta di colore rosso, delimitata da due bianche lesene e contraddistinta da un portale architravato con timpano in marmo. Quest’ultimo è sovrastato dalla scritta dedicatoria “Regina del Santissimo Rosario” sulla trabeazione e da un decoro a volute.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Accediamo all’interno del tempio che si mostra con pareti chiare e impreziosito dall’elegante soffitto a volta unghiata voluto dai Lattanzi nel 1894 (come ricordato da un’iscrizione affissa sul muro). Al centro è raffigurato Gesù che regge uno stendardo circondato da decori blu a fiore e da simboli religiosi: bastoni pastorali, fronde di palme, mitre e crocifissi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La parte inferiore della volta è contraddistinta invece da una serie di venti velette recanti effigi di santi su sfondo dorato. Al centro dell’ambiente si trova l’altare in marmo chiaro, sovrastato da un dipinto della Madonna del Rosario, con ai due lati delle lastre in pietra che ricordano la costruzione dell’originaria cappella avvenuta nel 1567.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Usciamo dalla chiesetta e varchiamo ora il portone in legno della masseria che ci conduce in un vasto piazzale pavimentato con chianche, dominato dal prospetto bianco e rossiccio a due livelli dell’edificio principale. Al piano terra si trovano una serie di locali tecnici tra cui la cantina che ospita ancora delle grosse botti di legno e i conteggi dell’uva prodotta e venduta a fine 800, scritti direttamente sulle pareti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ma qui si produceva anche l’olio – sottolinea Antonio mentre ci indica l’antica macina in pietra posizionata in un angolo dello spiazzo -. La masseria rappresentava infatti uno dei frantoi più grandi del territorio». Attraverso una porta in ferro accediamo a uno spazioso ambiente voltato a botte con una serie di nicchie sui lati, adibito un tempo a questa attività.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«Durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale tutta la mia famiglia si rifugiava qui – ricorda il proprietario -. A noi bambini veniva detto che erano fuochi d’artificio per tranquillizzarci. Ricordo anche lo scoppio della nave Henderson nel 1945 che fece tremare i vetri della masseria».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dal frantoio ci spostiamo nelle vecchie stalle dove è posato un antico carretto in legno con un contenitore per trasportare l’acqua. Sulla parte destra del piazzale si trova invece un giardino murato adibito ad agrumeto dove, tra arance, limoni e mandarini, razzolano alcune galline.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta ora che percorrere una lunga scala che ci conduce al piano superiore della struttura. Tramite una porta in legno con vetrate colorate accediamo a un grande salone, abbellito con divani e mobili d’epoca. «Non è però l’arredamento originale – ci spiega Antonio -. Nel 1980 la masseria fu abbandonata e la proprietà divisa tra noi eredi. Nel 1987, dopo aver rilevato la parte di mia sorella, cominciai a ristrutturarla, ma nel frattempo purtroppo alcuni muri erano crollati e molte cose erano state rubate, persino l’intera scala che conduceva al primo piano».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A salvarsi furono fortunatamente i pavimenti originali, con colorati decori geometrici, e i dipinti ad olio ottocenteschi che abbelliscono ancora i soffitti di alcune delle stanze.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In una, a destra del salone centrale, osserviamo vedute campestri, anfore con fiori e clipei con i ritratti di alcuni componenti dei Lattanzi. La parte centrale, delimitata da una cornice dorata intrecciata, mostra una scena celestiale con una sinuosa figura femminile centrale ispirata alle Muse. Da questo ambiente si accede a un grazioso terrazzino con un’elegante fontana in pietra, abbellita da due scherzosi putti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Raggiungiamo ora la parte più caratteristica dell’abitazione: la suggestiva sala da pranzo. Si presenta interamente decorata, sia sulle pareti che sulla volta, con minuziose vedute di paesaggi dalle differenti ambientazioni, alternate a raffigurazioni di uccelli di diverse specie. Restiamo letteralmente incantati a osservare i tantissimi particolari presenti: scene di caccia, coppie a passeggio vicino a fiumiciattoli, navi e pescatori tra pavoni, beccacce, pernici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Altri volatili li troviamo invece dipinti sul soffitto, intenti a “svolazzare” all’interno di una struttura lignea adornata di fiori, che simula una voliera. Sui lati della stanza scoviamo anche un piccolo focolare, celato da un’anta in ghisa. La sala è collegata con la cucina che conserva ancora il pavimento a chianche e l’antico piano cottura in muratura, arricchito da maioliche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci spostiamo infine sull’ampia e soleggiata terrazza da dove riusciamo a scorgere il piccolo campanile della chiesetta. Ed è qui che si nasconde l’ultimo gioiello della masseria: un grazioso gazebo con tre cupolette. È ispirato alle kaffeehaus, piccoli edifici diffusisi nei giardini dell'aristocrazia europea a partire dal 700, usati per gustare caffè, tè e cioccolata in tazza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si compone di una struttura centrale con tettoia esagonale sovrastata da una bandieruola segnavento e due tettoie spioventi ai lati, adornate con una verde merlatura metallica. Due colonne rosse, con volti in pietra demoniaci, introducono all’ambiente coperto dove si svela un’incredibile sorpresa. L’interno della cupola, composto da pannelli in legno, è infatti finemente dipinto con raffinati paesaggi: residenze nobiliari, eclettici edifici arroccati su collinette, silenziosi laghi e montagne innevate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E da qui su possiamo allungare lo sguardo verso la città, per scorgere oltre i campi coltivati, la cupola della chiesa di Santa Fara circondata dai moderni complessi residenziali in costruzione. Il “nuovo” che avanza, osservato dal silenzio campestre della secolare Masseria Arbinetto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Giancarlo Liuzzi
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Rafael La Perna
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  • Rosanna - Bellissima ma si può visitare?
  • Giovanni - Grazie Barinedita per avermi data la possibilità di vedere le bellezze nascoste della mia città. Sono ultranovantenne e ho trascorso i primi anni della mia vita nel villino ex-postelegrafico di mio nonno. Ho girato mezzo mondo con le navi, ma la mia città la sto scoprendo solo durante la mia vita di pensionamento grazie a Voi.


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