di Gaia Agnelli - foto Antonio Caradonna

Salti, acrobazie e corse in città: sui rollerblade alla scoperta dei "Pattinatori di Bari"
BARI – Sfrecciano per la città sulle ruote luminose dei loro rollerblade, alternando corse, acrobazie e salti, mentre dai loro zaini fuoriesce un’incalzante musica hip-hop. Parliamo dei “Pattinatori di Bari”, un’associazione sportiva dilettantistica che dal 2014 anima le strade del capoluogo pugliese.  

Composta da una sessantina di iscritti, questa “crew” ha attirato nel tempo centinaia di appassionati che, pur non essendo soci, si uniscono spesso al gruppo storico per gareggiare, “passeggiare” e addirittura fare volontariato. Una realtà “underground” (di fatto illegale seppur completamente pacifica) legata a doppio filo con altre attività che si praticano per strada, quali il writing, la breakdance o lo skateboard.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo dunque andati a trovare i pattinatori in uno dei loro luoghi preferiti:  piazzale Lorusso, il largo situato nella zona di San Marcello dove il giovedì si tiene il mercato all’aperto. (Vedi foto galleria)

Appena arrivati ci ritroviamo davanti a una ventina di giovani. Sono vestiti con magliette dai mille colori, indossano rollerblade luminosi ed “emettono” musica hip-hop ad alto volume, grazie a delle casse sistemate nelle loro borse. (Vedi video)

Si stanno riscaldando prima di partire per il “Freeride”, appuntamento che prevede un lungo giro per Bari toccando luoghi quali Parco 2 Giugno, Pane e Pomodoro e via Sparano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A venirci incontro sono il 43enne Claudio Trombetta, presidente dell’associazione, e le due amministratrici Federica Cardascia, 24 anni, e Luana D’Amico, di 37. Claudio ci racconta della nascita del gruppo. «Ho sempre avuto la passione per gli “street sport” – afferma -, ma tranne in rari casi ho sempre portato avanti queste attività da solo. Fino a quando, nel 2008, grazie all’appena nato Facebook, mi sono imbattuto in un una pagina di pattinatori. Li ho contattati subito e insieme abbiamo organizzato il primo incontro ufficiale di skaters. All’inizio eravamo in tre, ma poi pian piano siamo cresciuti sino a dar vita nel 2014 all’associazione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Oggi agli appuntamenti organizzati dai Pattinatori intervengono decine di appassionati. Ci sono bambini e anziani, anche se la maggior parte (sia uomini che donne), ha un età compresa tra i 30 e i 45 anni. C’è chi è alla prime armi (e frequenta i corsi tenuti dall’associazione nel parco Don Tonino Bello di Poggiofranco) e chi invece, come Girolamo, ha vinto addirittura il campionato regionale junior di corsa sui rollerblade.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Fulcro degli incontri è la succitata “Freeride”: un giro per Bari che può prevedere vari livelli di difficoltà. Si va dall’impegnativa e veloce “Fast Ride” che prevede un percorso anche di 20 chilometri, a quella più facile e lenta che si ferma ai 10 chilometri di “passeggiata”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«I nostri raduni – sottolinea il presidente - hanno lo scopo di farci divertire: sulle rotelle noi stacchiamo la spina e ci sentiamo completamente liberi. Alla fine del giro tra l’altro ci fermiamo sempre in un locale per berci una birra: è un nostro rito».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma è arrivato il momento di conoscere qualche altro skater. Ecco ad esempio il 25enne Antonio, che osserviamo mentre è in procinto di effettuare un salto spericolato. Dopo una notevole rincorsa resta sospeso in aria, superando così l’ostacolo rappresentato da cinque coraggiosi compagni distesi per terra. «Vengo da Barletta – ci dice il giovane – e questo gruppo è il mio “porto sicuro”. Sono con loro da due anni e mi sento come se fossi in una famiglia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La 40enne Porzia al contrario è intenta a sistemare i rollerblade ai suoi piedi. «Mi sono unita all’associazione da poco – ci racconta -. Pattinavo da bambina, ma avevo chiuso da tempo le mie rotelle nell’armadio. Fino a quando ho scovato i ragazzi su Facebook, decidendo così di indossare nuovamente le mie vecchie “scarpe con le ali”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutti gli altri sono invece impegnati a dare spettacolo in bilico sulle loro calzature luminose. Li ammiriamo mentre eseguono “tricks” (esercizi acrobatici) quali lo “slide” (frenata in scivolata), la spaccata, lo “step over” (camminata incrociata), la “backwards” (camminata all’indietro) e slalom quali il “fish” (con i piedi uniti), il “cross” (con i piedi incrociati) e “one leg” (a una gamba).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
«Siamo specializzati nell’“inline” – spiega Claudio –: prevede l’uso di rollerblade con le rotelle disposte su un’unica fila, proprio per agevolare il “freestyle”, le improvvisazioni. In particolar modo abbiamo un’impronta molto “urban” e “aggressive”, ovvero ci divertiamo a saltare e schivare gli ostacoli che gli spazi urbani comportano: scale, muretti e panchine sono i nostri “nemici”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un’attività questa vietata però dal Codice della strada. «Bari è indietro anni luce rispetto alle altre città internazionali – afferma il presìdente -, anche se finora le forze dell’ordine hanno sempre chiuso un occhio nei nostri confronti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

D’altronde l’associazione ha da sempre svolto un ruolo sociale oltre che ludico. Ad esempio collabora con realtà quali RetakeBari, Motus Project e il Club Sommozzatori, con le quali, grazie all’ecosostenibilità e alla velocità dei loro rollerblade, si occupano della cura e la pulizia della città. Così come è attiva la partnerhip con Avanzi Popolo, l’organizzazione che agisce contro lo spreco di cibo: i pattinatori girano tra gli alimentari della città per raccogliere le eccedenze di cibo, che poi vengono consegnate alle parrocchie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma è arrivato ora il momento di partire. L’orologio segna infatti le 21: il Freeride sta per iniziare. E così, dopo averci salutato, i nostri amici si allontanano velocemente, lasciando nell’aria l’eco della loro musica hip-hop.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)

Nel video (di Gianni De Bartolo) il nostro incontro con i Pattinatori di Bari:



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Gaia Agnelli
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  • Vito Petino - CHI CORRE CON I ROLLERBLADE E CHI INSEGUIVA UNA PALLA DI GOMMA Di corse in città dietro un pallone la mia generazione ne ha fatte per milioni di chilometri che un solo sistema galattico non riesce a eguagliare. Questi sport estremi odierni erano ancora sulla Luna. Abbiamo vissuto l’epoca in cui il calcio era l’unico sport che anche i più poveri potevano permettersi. Stessa maglietta, pantaloncini corti e scarpe da passeggio e via di corsa a rincorrere una palla di gomma. Abitavo in via Carulli e i primi “campi” sono stati piazza Balenzano davanti al Distretto Militare, la Pineta del Lungomare con le panchine che fungevano da porte, la dirimpettaia Rotonda dove spesso la palla finiva in acqua creando l’occasione di farsi anche un bel tuffo d’estate; d’inverno si pregava un pescatore che ce la ripescasse con la sua canna, o un barcaiolo nei pressi. Il cortile dell’Incis in via di Crollalanza era più esiguo ma si giocava lo stesso, salvo l’intervento del cerbero portinaio Raffaele. Altri teatri di gioco i giardini della Piramide tronca (su cui si faceva carambolare la palla a mo’ di sponda da biliardo per aggirare l’avversario) alle spalle della Camera di Commercio, così la chiamavamo noi ragazzi, mentre i grandi ne vedevano la prua di una nave, giardini dove le panchine avevano la stessa funzione che alla Pineta. Più sporadicamente si giocava in piazza Luigi di Savoia e nei giardini Umberto. E ancora, il piazzale del Flacco, intorno agli spiazzi dello Stadio della Vittoria e intorno alla Fiera, in piazza Risorgimento a disturbare il sonno glorioso degli eroi che avevano fatto l’Italia, sentimento vivissimo allora nei nostri cuori di freschi scolari elementari. E altri slarghi di periferia, piazzetta San Marcello in via Re David, pzza Madonnella davanti alla scuola Balilla, piazzale del Porto, pzza San Pietro sulla Muraglia, pzza Garibaldi, pzza Massari nei giardini davanti all'Intendenza di Finanza, corso Mazzini di fronte alle costruzioni basse dove c'erano fabbri, falegnami e altri artigiani nello slargo che arriva sino all'attuale mercato coperto, pzza Disfida di Barletta davanti alla stazioncina della "Ciclatera" che portava i ragazzi alla vecchia colonia di Fesca, il campetto di San Girolamo nelle case popolari. Poi c’erano le due occasioni sacre delle processioni della Madonna Addolorata il venerdì che precede le Palme, e del 13 giugno quella di Sant’Antonio, entrambi alloggiati nella chiesa col nome del Santo. Io con tanti miei coetanei, per voti richiesti da familiari, partecipavamo alle due manifestazioni vestiti con l’abito talare che la confraternita ci imponeva. Quando si giungeva nella Basilica di San Nicola, sia per l’imminente Pasqua che a giugno, dove i Santi venivano deposti per la pausa lunga, quasi tutti ci rifocillavamo con un sostanzioso panino alla mortadella e provolone. Finita in fretta la frugale colazione, noi confratelli giovanissimi, tutti in divisa, organizzavamo partite nei giardini sotto la Muraglia, contro squadrette di Barivecchia. Ci alzavamo la veste bianca, arrotolandola in cinto, e dalli a correre su quell’erbetta morbida. Insomma, si giocava dappertutto, dove c’era uno spiazzo libero o in mezzo alla strada, veri palcoscenici dove si imparava a tirare i primi calci. Bastava una palla di gomma per scatenarci, senza pensare alle "mazzate" del Babbo quando si tornava con le scarpe rotte, se invece erano le ginocchia a sbucciarsi uno sputo sopra e si continuava a giocare, a casa poi si disinfettava con lo spirito rosso che bruciava sino a farci saltare e uno "sparatrach" per tenere la benda sulla ferita. Raramente è capitato di fratture ricomposte e ferite ricucite al pronto soccorso. Tenete presente che in quell'epoca le auto non sapevamo manco cosa fossero, salvo carrozze e carri a cavallo, piazze e vie erano liberissime per sfogare la nostra passione in ogni angolo di Bari. Avemmo casa nuova a Japigia, la palla di gomma divenne Superflex e i gol in cui insaccavamo quel pallone erano porte fatte con due pietre o le cancellette degli scantinati che si affacciavano in molti cortili di quelle case popolari appena costruite. L’unico problema erano i vigili che ci rincorrevano per sequestrarci la palla. Ma durò poco. Appena il Superflex si trasformò in pallone di cuoio, le nostre scorribande cominciarono a interessare campetti periferici più regolari che organizzavano tornei gestiti dalla UISP. Dal Vailati mio primo campo calpestato con scarpette tacchettate, situato dove ora c’è la scuola San Filippo Neri in viale Salandra, mentre allora tutta l’area era una cava in cui poi fu realizzato il campo per tornei rionali, al campo di Japigia in via Magna Grecia, con dietro un campetto più piccolo sino a via Peucetia, altro campo in via Peucetia dove ora ci sono i negozi bassi del bar Foresta, campo davanti alla chiesa di San Francesco a Japigia (dove in una gara il portiere Pppin u’ czzal, detto anche Pppin la vest per un pantaloncino tanto grande e lungo da parere una gonna, prese a pugni l’arbitro Pasquale Abrescia, non ancora dottore, che gli aveva fischiato un rigore contro), campo vecchio Teatro Tenda su via Caldarola e l’altro in via Padre Pio a Japigia (entrambi detti del Maresciallo Peppino Frasca, che ne aveva altri sparsi nelle periferie baresi), campo in fondo al vialone dietro le Casermette. Abbiamo giocato anche dal Morcavallo sul Lungomare oltre piazza Gramsci col suo fondo in polvere nera di carbone (davanti al suo muro di cinta s’infrangevano le onde del mare; poi, una volta riempita di sassi e altro materiale la superficie per costruire la strada a due corsie sul lungomare, hanno costruito sul suolo del vecchio campo di carbone il palazzo col ristorante Onda Blu ora chiuso, e di fronte l’attuale Panepomodoro su una superficie, compresa la strada, allora occupata dall’acqua), al campo dell’Oratorio del Redentore in polvere bianca di tufina. E tanti altri in ogni quartiere di Bari. Lo stesso Redentore che aveva un altro campo nell’ala dei Salesiani ricoperto con mattoncini da marciapiedi, dove si giocava rigorosamente con le scarpette di gomma. E ancora, il campo della Centrale del Latte, campo davanti al Cotugno, campo Paccione, la Moscia, Canalone di Michele Portoghese, l'Angiulli di via Napoli GIL, poi spostata in via Crispi dove oggi sorge il palazzo del Tribunale, campo del Cimitero di via B. Buozzi, presso le Case Popolari di via Crispi, il glorioso Campo degli Sport di corso Sicilia angolo Sabotino, il Campo Rossani tra cotso Sicilia e via Giulio Petroni. E tantissimi altri che mi tornano in mente come i grani della corona di un rosario. Il campo di Torre Tresca, campo Marzulli proprio affianco al lido verso sud. Molti di noi, da atleti formati, hanno poi girovagato l’Italia giocando su campi di serie superiori. All'epoca non esistevano scuole calcio, non avevamo soldi per comprare abbigliamento sportivo e quindi si giocava con quello che si indossava quotidianamente. Tutti noi ragazzi abbiamo trascorso una infanzia meravigliosa, irripetibile ed inimmaginabile per i giovani d'oggi...


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