di Federica Calabrese e Giancarlo Liuzzi - foto Antonio Caradonna

Ville, masserie e ipogei: è l'antico e desolato mondo che si svela tra Santa Caterina e lo Stadio
BARI – Ville ottocentesche, masserie secolari, profondi ipogei e stradine che si insinuano all’interno di campi solo in parte coltivati. È il selvaggio e desolato mondo racchiuso tra quattro grandi arterie del capoluogo pugliese: la statale 16, strada Santa Caterina, la provinciale 110 Modugno-Carbonara e via Bitritto. Un quadrilatero che versa in un totale stato di abbandono, pur essendo situato all’ombra di due “colossi” dello shopping e dello sport baresi: il centro commerciale di Santa Caterina e lo stadio San Nicola (anch’esso circondato da edifici secolari quali Villa Lamberti e Masseria La Monaca).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo quindi andati a visitare quest’area, utilizzando come guide il volume “Picone e Poggiofranco” a cura di Giulia Perrino e le ricerche storiche di Stefano Serpenti e Gaetano Cataldo. (Vedi foto galleria)

Il nostro viaggio (vedi video) parte proprio dal centro commerciale, sorto all’inizio del nuovo Millennio in una zona segnata da lame e natura rigogliosa. Da qui imbocchiamo strada Santa Caterina, via lunga 3,5 chilometri che corre al confine tra i quartieri Stanic e Picone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dirigendoci in direzione sud, superiamo il cavalcavia che sovrasta la statale 16 e dopo circa 200 metri imbocchiamo una rotatoria che sulla sinistra ci immette in una strada chiusa costeggiata dalla campagna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In lontananza scorgiamo il primo tesoro del quadrilatero: il prospetto di Masseria Costantino, dimora fortificata a tre livelli eretta tra il XVI e XVII secolo, sulla quale spicca un comignolo a punta. Per raggiungerla svoltiamo a destra su strada privata Fratelli Costantino e, subito dopo, ci avviamo su un sentiero che ci porta davanti allo stabile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La struttura appare divisa in più proprietà: l’una abbandonata, con porte scardinate e vetri rotti, l’altra più pulita e curata, con lo spiazzo prospicente sgombro da erbacce tagliate di recente. Attraverso un arco tufaceo bianco accediamo al cortile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci troviamo così in un ambiente arricchito da aiuole con cespugli di rose, alberi da frutto e arbusti che nascondono la facciata dell’edifico padronale: quest’ultimo, seppur visibilmente in disuso, conserva i suoi tratti seicenteschi. La palazzina in tufo ha un impianto a torre sul cui prospetto si aprono due ingressi a piano terra e uguali balconi al piano superiore, al quale si arriva tramite una scalinata laterale in pietra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lasciamo questo luogo e riprendiamo strada Santa Caterina. E dopo cento metri, sulla sinistra, ci imbattiamo nella masseria che dà il nome alla via. Posta su due livelli, faceva parte di un antico complesso rupestre trecentesco di proprietà ecclesiastica, il cui fulcro era rappresentato da una chiesetta ormai scomparsa dedicata alla Santa omonima.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il fabbricato, in abbandono, è chiuso da un muro di cinta e da un cancello. Oltre i massicci pilastri in pietra che segnano l’ingresso riusciamo però a scorgere una serie di locali e depositi al piano terra che affacciano su una corte interna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dall’altro lato della carreggiata invece, nascosta dalla incolta vegetazione e da erbacce, si intravede una struttura in blocchi di tufo alta circa due metri con un piccolo arco di accesso. È una delle due “porte” dell’ipogeo Santa Caterina, un vasto insediamento sotterraneo del quale tutt’ora non si conosce l’esatta grandezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lo stesso è infatti ostruito da macerie derivanti da frane e materiale di risulta, ma pare si estenda per decine di metri nel sottosuolo, proseguendo su due corridoi costellati da una serie di stanze a pianta regolare con vari laboratori.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


L’insediamento, del quale riusciamo a intravedere solamente il grande vano centrale, è documentato sin dal 1266, ed è stata un baluardo dei Cavalieri Gerosolimitani, antico ordine religioso cavalleresco nato nel periodo delle crociate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ritorniamo ora sulla strada principale e dopo 50 metri ci imbattiamo in una malmessa cancellata arrugginita, soglia d’accesso all’ottocentesca Villa Santa Caterina, disabitata e attualmente in vendita. Da un varco riusciamo a distinguerne i due livelli sovrapposti separati da una balconata con ringhiera in ferro. Il piano inferiore, contraddistinto da mattoni regolari color ocra, custodisce il portale in legno, mentre il superiore è scandito da tre porte finestre ad arco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lateralmente alla villa è presente una piccola cappella conclusa sulla sommità da un timpano triangolare. Nel giardino, che circonda tutto l’edificio, notiamo anche una graziosa struttura decorativa in pietra col suo andamento circolare ad archi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lasciamo il sontuoso immobile e, tornando indietro imbocchiamo strada Caratore del Carmine, viuzza che dopo qualche decina di metri ci porta davanti al prospetto grigio e bianco di Masseria del Seminario.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Costruita intorno al 1764 faceva parte dei beni appartenenti alla diocesi, ed è tutt’ora di proprietà di un ente religioso. Di pianta quadrangolare, si innesta su due piani separati da una cornice marcapiano. Domina il prospetto del livello inferiore un grande portone ligneo fiancheggiato da due finestrelle rettangolari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sul timpano del finestrone centrale del secondo piano è possibile scorgere un’epigrafe coperta da cavi elettrici: riporta in latino la menzione dell’anno di fondazione e la sua funzione di seminario per i giovani baresi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguiamo sul sentiero che costeggia campi coltivati e uliveti per raggiungere quello che rappresenta, grazie ai suoi 1500 metri quadri esplorati, il più grande sito sotterraneo di tutto il territorio barese: l’ipogeo del Seminario.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il complesso un tempo era collegato con il vicino ipogeo Santa Caterina e con altre grotte formando un unico e vastissimo casale rupestre, riportato in alcune fonti antiche col nome di Vulpiclano. La sua costruzione risalirebbe al V secolo con successivi ampliamenti tra il VII e l’VIII secolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Attraverso un varco in un muretto a secco ci facciamo così strada tra gli alberi fino alla larga imboccatura della grotta. Una scaletta in pietra permette di scendere per cinque metri lungo la parete rocciosa e raggiungere l’atrio di accesso coperto da folta vegetazione.

Si giunge così in un grande laboratorio dal quale si diramano lunghi corridoi che conducono a un’infinità di archi, locali, depositi e ambienti concatenati tra loro che formano un labirinto sotterraneo. Un vero e proprio “mondo” che merita però un articolo a parte (che pubblicheremo presto).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma le sorprese non finiscono qui. Sul finire di strada Santa Caterina, a ridosso della provinciale Modugno-Carbonara, nel cantiere ancora in attività del complesso residenziale “Baridomani”, è infatti presente l’ipogeo Milella. Scavato sui fianchi di una preesistente dolina carsica, è composto da una serie di vani interrati che si snodato attorno a lunghi e stretti corridoi, estendendosi su una superficie di diversi metri quadri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non vi è possibile accedere perché “rinchiuso” tra le recinzioni del cantiere edile, ma dall’esterno è visibile la sua superficie in pietra. Scavato in età protostorica, vide una frequentazione umana fino all’età medievale. A quest’ultima epoca risalirebbero la chiesa absidata interna, le arcate a tutto sesto che compongono il soffitto e i pochi lacerti di pitture che ne costellano ancora le pareti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)

Nel video (di Gianni De Bartolo) il nostro viaggio tra edifici storici e ipogei:



© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita



Federica Calabrese
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Giancarlo Liuzzi
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  • Stefano - Mi riferisco alla masseria Costantino. Anche se con dolcezza avete fatto la fotografia di una situazione che si presenta così perchè facente capo a persone che non riescono a vedere più in la del proprio naso. Premetto che la parte ristrutturata e meglio tenuta, anche se necessiterebbe di un nuovo piccolo intervento di ripresa degli intonaci, fa capo alla mia famiglia. Noi viviamo nel Nord Italia dal 1986. Abbiamo vissuto in quel contesto dal 1970. Nel 2008 decisi di investire un pò delle mie risorse per ristrutturare e mettere a norma la mia porzione. Portai anche Acqua e Fogna con un costo di €30.000. sperando che così facendo anche gli altri comproprietari capissero e operassero nello stesso modo. Ma è stato come lavare la testa agli asini, sapone, tempo e denaro sprecato. Purtroppo dal 2008 in poi non ho avuto occasioni di utilizzare quella porzione ristrutturata, effettivamente utilizzata per 15 giorni. Si pensi che la parte del soggiorno (che Voi non avete potuto visitare, faceva parte della chiesetta di tale struttura. In fase di ristrutturazione ho preteso che lo stile della stessa rimanesse inalterato compresi i capitelli interni colorati all'epoca. Purtroppo da quello che ho visto dal Vostro articolo, quel senso di abbandono di quelle cose che potrebbero essere fiori all'occhiello della Terra di Bari, è molto diffuso e rientra nella cultura dei miei conterranei. Qui dove vivo dal 1986 Vi assicuro che tale trascuratezza non esiste. Quando vengo a Bari per affari non vedo l'ora di ripartire perchè il vedere quelle cose mi fa soffrire edil mio vecchio sangue barese bolle di rabbia. Vorrei essere orgoglioso del luogo in cui sono nato ma devo reprimere quel sentimento. Peccato peccato peccato. Comunque grazie per la Vostra passione nella ricerca di ciò che era bello e potrebbe essere ancora più bello. Grazie.


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