di Luca Carofiglio e Mattia Petrosino - foto Valentina Rosati

Modugno, antichi affreschi e mistici cunicoli: viaggio nel santuario Madonna della Grotta
MODUGNO – Un’abbazia che nasconde una preziosa caverna arricchita da affreschi del XII secolo e un cunicolo abitato mille anni fa da San Corrado, patrono di Molfetta. Tutto questo è il santuario Madonna della Grotta: un luogo mistico visitato ogni anno da silenziosi pellegrini e fedeli. Un posto che siamo andati a visitare (vedi foto galleria).

Il tempio si affaccia su strada Madonna della Grotta, la via che conduce da Modugno allo Stadio San Nicola. Un cancello inserito tra due colonne in pietra permette l’accesso al sito, introdotto da un viale su cui giace una pietra miliare incisa con il Chrismon. Si tratta del simbolo composto dalle lettere dell’alfabeto greco che racchiudono il nome abbreviato di Gesù.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo pochi passi ci ritroviamo ai piedi di una bianca abbazia benedettina dell’XI secolo, ristrutturata tra la fine del 700 e gli inizi dell’800, decorata con trifore e merletti e sulla quale si erge un’alta torre campanaria. Al centro fa bella mostra di sé una balconata, lì dove quattro colonne sorreggono tre archi che vanno a formare una graziosa trifora. Le stanze del monastero oggi non sono più abitate da religiosi, ma vengono utilizzate per attività spirituali e per dare accoglienza a gruppi parrocchiali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una porta in legno situata alla base dell’edificio permette l’ingresso nella chiesa, ospitata in una piccola grotta che dà il nome al luogo. Prima di accedere incontriamo l’86enne padre Nicola, colui che da 45 anni guida la congregazione dei rogazionisti, che nel 1974 acquistarono l’intera struttura da un privato. Il sacerdote ci illustra così la storia di questa cavità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Fu abitata dai monaci basiliani sin dal IX secolo – sottolinea - per poi essere presa in “gestione” da parte dei benedettini, che decisero di costruirci sopra l’abbazia. Nel 1125 avvenne poi la svolta. Il monaco tedesco Corrado il Guelfo, diretto in Terra Santa, una volta arrivato in Puglia si ammalò. Chiese così di essere ospitato nell’ipogeo, da dove però non si mosse più: dopo due anni passati da eremita, morì infatti nel 1127. Si trattava di un principe di Baviera che aveva abbandonato tutte le sue ricchezze per abbracciare un severo stile di vita. Un uomo che dopo la morte verrà fatto santo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Entriamo dunque nel luogo di culto, ritrovandoci in un ambiente fortemente suggestivo, per via del basso soffitto, della luce soffusa e della roccia presente su ogni lato. Sullo sfondo è situato l’altare, rivestito da una pala lignea arrivata nel 2010 dal monte Athos, dietro il quale si nasconde, quasi incastonata nella pietra, la statua della Vergine con Gesù deposto. È un'opera della scuola pugliese del 600. Una luce blu contrasta con il bianco della scultura, creando un effetto che mette in risalto tutto l’ambiente circostante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«Quando arrivammo noi, nel 1974 – ci spiega il rogazionista - non c’era nulla di ciò che vediamo: nella grotta trovammo solo la Madonna e due altari. Ma poi una volta buttati giù una serie di muri posticci, scoprimmo le pareti originali e rimanemmo stupefatti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il religioso ci mostra tre colorati affreschi del XII secolo rinvenuti negli anni 70. Il primo raffigura San Corrado, il secondo l'Imago Pietatis (con Gesù dipinto stranamente con gli occhi aperti) e il terzo il Compianto sul Cristo morto. Valorizzati da lumi, rappresentano però solo una parte delle decorazioni che un tempo avvolgevano le pareti dell'ipogeo. 

Sul pavimento originale composto da tessere a mosaico, sono poi disposte dodici panche. Al di sotto delle prime due si trovano le tombe che conservavano i resti di san Corrado e di un altro frate. «Le ossa non ci sono più – ci spiega don Nicola -. Il sito infatti alla fine dell’XIII secolo fu abbandonato dai benedettini e così nel 1303 i molfettesi ne approfittarono per arrivare qui e trafugare le reliquie. Le spoglie sono ancora oggi conservate nella Cattedrale di Santa Maria Assunta di Molfetta, paese che ha fatto di San Corrado il suo patrono».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma dove visse l’eremita nei suoi anni di permanenza qui? Il prete ci indica un arco e una finestrella semi-murati che affacciano su uno stretto cunicolo: il luogo dove quasi mille anni fa il santo passò gli ultimi suoi giorni. Per visitarlo usciamo dalla chiesa e varchiamo una porta adiacente, quella di una cappella costruita nel 1910.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui, tra varie statue e uno degli altari rinvenuti dai rogazionisti nel 1974, una porta interna permette l’accesso al mistico cunicolo. Ci ritroviamo così in un ambiente raccolto, dove per due anni il religioso mangiò, dormì e pregò. «Sulla destra c’è una pietra levigata  - ci fa notare il sacerdote -: si pensa sia stata utilizzata dall’eremita come giaciglio. Oggi su di essa sono posati alcuni rami d'ulivo e una croce».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta ora che uscire, anche se le sorprese non sono finite. Una volta fuori raggiungiamo un giardino situato praticamente all’interno di lama Lamasinata, l’ex fiume che affianca l’abbazia. Tra statuette di angeli e alberi sempreverdi si profuma un’aria pura, in una natura rimasta immacolata. «Ci piace dare accesso a quest’area – conclude il pastore – con la speranza che una volta qui si venga presi dal desiderio di visitare la Madonna della Grotta, un posto sacro e meraviglioso».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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