di Gaia Agnelli e Mattia Petrosino

Bari, i negozi "senza insegna" del Libertà: «Non serve un nome, qui ci conoscono tutti»
BARI – Non hanno insegna, numero di telefono né pagine social e vengono chiamati dai clienti semplicemente con i nomi dei loro proprietari: “da Rosa”, “da Pinuccio”, “dal figlio di Michele”. Si tratta dei negozi “anonimi” di Bari: attività che non avendo bisogno di pubblicità rinunciano (risparmiando anche sulle tasse) persino alla classica targa posta sulla vetrina. E questo perché sono frequentati esclusivamente da chi abita nelle loro vicinanze. Un quartiere in particolare ne è pieno: il Libertà, “città nella città” di 35mila abitanti che “vive di vita propria”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In questa zona da sempre un po’ difficile e in disparte non ci sono infatti turisti o baresi di altri rioni a popolare strade e piazze, ma solo i residenti, che si servono da piccoli e numerosi esercizi commerciali aperti da gestori nati e cresciuti qui. Fruttivendoli, barbieri, pescivendoli e meccanici dall’aspetto spoglio ed essenziale, che abbiamo incontrato perdendoci tra le vie del Libertà (vedi foto galleria).

Iniziamo il nostro viaggio in via Principe Amedeo, lì dove al civico 529 ci imbattiamo in un negozio di articoli casalinghi. Dietro al bancone, posto tra mille e colorati prodotti, ci accoglie con il suo grembiule blu la 50enne Rosa Grandolfo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Sono “famosa” nel quartiere da quando ero piccola – racconta –, questo perché mio nonno gestiva il panificio che tuttora si trova qui di fronte. L’insegna? Io non ne ho mai avuta una: chi abita in zona del resto mi conosce benissimo. E i clienti vengono da me non soltanto per acquistare, ma anche per scambiare due chiacchiere con la “mitica signora Rosa”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al 474 della medesima via siamo invece pervasi da un profumato odore di mare che proviene dai banchi ricchi di salmoni, calamari, spigole e cozze. Ed ecco che con le mani umide ci sorride il proprietario della pescheria, il 60enne Giovanni Sirago.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Questo esercizio commerciale è sorto con mio padre Michele due anni prima che nascessi io, nel 1959 – ci dice –. Non abbiamo mai posto una scritta all’esterno perché un tempo eravamo una dei pochi pescivendoli del quartiere e non ci serviva certo essere riconosciuti. Pensiero che ho portato avanti anche io, che ormai sono noto solo come “il figlio di Michele”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Continuiamo la nostra passeggiata fino via Indipendenza, dove al numero 26 ci imbattiamo in una falegnameria. È quella del 70enne Sebastiano che lavora qui da 30 anni. L’artigiano ci saluta all’ingresso, caratterizzato da un portone sbiadito dal tempo posto sotto un piccolo archetto grigio scuro. Una volta dentro ci catapultiamo in uno stretto corridoio ai cui lati vi sono numerose tavole di legno e attrezzi come martelli e pialletti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Non sono su internet e non ho un numero di telefono – afferma il signore –. Non ho nemmeno mai sentito la necessità di porre un’indicazione: è costosa ed inutile, dato che sono l’unico falegname in zona».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Camminiamo ora sino a via Nicolai 318, fermandoci dinnanzi a un tendone a righe bianco e verde all’ombra del quale si trovano banchi e casse di verdura. È il negozio della 51enne Milena Santoro, che ci accoglie all’entrata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Qui c’è solo roba di qualità – sottolinea – dato che proviene dalle campagne nelle quali lavora mio marito. Quando aprii, 25 anni fa, c’ero solo io in quest’area ed è per questo che non ho mai avuto bisogno nemmeno di un fisso, perché tanto il mio era il “fruttivendolo del quartiere”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Eccoci adesso sulla lunga via don Bosco: al civico 3 Z, ad angolo con via Nitti lavora il 65enne Giuseppe Di Monte, uno dei barbieri “vecchio stampo” rimasti ancorati alle tecniche e all’arredamento di un tempo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per entrare si oltrepassa una tendina azzurra e grigia dietro la quale intravediamo il proprietario alle prese con la chioma di Dino, uno dei suoi più fedeli avventori. È quest’ultimo a spiegarci il motivo per cui il “parrucchiere” non possiede l’insegna. «Non vuole pagare le tasse – afferma simpaticamente –. Ma la vera ragione sta nel fatto che per prendere un appuntamento con lui basta dire “sciam da Pinuccio”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A differenza però dei due locali precedentemente visitati, Di Monte non è originario del rione, ma proviene da Carbonara. «Nonostante non sia nato qui – dichiara –, il Libertà mi ha “adottato” dall’età di 15 anni, quando aprii il negozio in via De Bernardis per poi spostarmi qui 32 anni fa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In piazza del Redentore, che precede l’omonima chiesa, si staglia invece al 230 l’officina del 66enne meccanico Michele Rizzi. «Non abbiamo mai avuto l’esigenza di farmi pubblicità – ci dice il 34enne figlio Francesco –. Grazie al passaparola dei nostri fedeli clienti, tutti residenti del Libertà, siamo noti come “l’officina del Redentore” e devo ammettere che il lavoro non manca. Siamo infatti agevolati dalla “strategica” posizione del locale che ci ha permesso di diventare un vero punto di riferimento».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Concludiamo il nostro viaggio in via Petrelli, una traversa di via Crisanzio, dove al numero 6 è situata l’ultima delle attività senza nome: il mercatino dell’usato del 71enne Vito Manzari. All’interno, dalle pareti verdi, trovano posto oggetti di ogni tipo: lampadari, orologi, biciclette, quadri, mobili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Mio padre – afferma il 30enne Marco, figlio di Vito - aprì negli anni 70 prima in via Fieramosca e dopo in via Trevisani, sino ad approdare qui. Sono tutte vie di questo rione. Lui è nato qui e non ha mai avuto necessità di farsi conoscere: è parte integrante del grande Libertà».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Gaia Agnelli
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  • Giambattista - Purtroppo sono destinati a sparire , il progresso è informazione e oramai chi vuole essere conosciuto ha bisogno di pagina internet , facebook , instagram telefono e quant'altro , una persona under 30/40 non si sogna certo di girovagare per il quartiere in cerca di un professionista , ma sicuramente và su internet
  • m.p. - Invece il negozio accanto al fruttivendolo, il fioraio, con tanto di insegna, la paga la tassa per l.occupazione del suolo pubblico? A voi le indagini... e chissà quanti negozi così...


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