di Claudio Mezzapesa

Dal grave infortunio al trionfo in Mitropa Cup: Perrone racconta il Bari di Catuzzi e Salvemini
OLHAO - «I baresi mi hanno aiutato a superare il momento più difficile della mia carriera: non lo dimenticherò mai». Parole del 61enne Carlo Perrone (nella foto), ex calciatore biancorosso e oggi allenatore della squadra portoghese dell’Olhanense.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Idolo dei tifosi, Carletto fu un’ala destra funambolica abile sia nel dribbling che nei cross. Con i Galletti disputò tre stagioni tra il 1987 e il 1990, totalizzando 71 presenze e 11 reti tra B e A. Contribuì però poco alla promozione nella massima serie del 1989 a causa di un brutto infortunio che lo tenne lontano dai campi per più di 8 mesi. Ma il 21 maggio dell’anno successivo si riscattò, andando a firmare la rete che permise al Bari di aggiudicarsi la Mitropa Cup: l’unico trofeo internazionale vinto dalla squadra del capoluogo pugliese nella sua storia.

Lo abbiamo intervistato.

Sei stato un idolo dei tifosi del Bari tra gli anni 80 e 90. Che ricordi hai di quel periodo?

Mi trasferii al Bari con mia grande soddisfazione nel 1987. Volevo misurarmi in un club che aveva l’ambizione di tornare in serie A: un livello che il Campobasso, la società in cui militavo, non poteva sostenere. Mi ritrovai così in una squadra composta da giocatori dalla grande tecnica individuale: avevamo un’ottima intesa e ci temevano tutti, proprio per la nostra qualità. Giocavamo sempre con l’ambizione di vincere contro qualsiasi avversario.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In quella squadra c’erano tra gli altri Loseto, Maiellaro e Carrera. Ma è con Fabio Lupo che nacque un rapporto speciale, vero?

Sì e questo per le sue doti, sia tecniche e umane, che si sposavano perfettamente con le mie. Era un “corridore”: recuperava mille palloni ma possedeva ottime capacità di inserimento. Andava a chiudere tutti quegli spazi che magari io e Maiellaro, avendo caratteristiche più offensive, lasciavamo scoperti. Un calciatore importantissimo per gli equilibri della squadra: lo consigliai io a mister Catuzzi, che nell’estate del 1987 stava cercando un centrocampista con determinate peculiarità. Con lui però legai molto anche fuori dal campo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Hai parlato del compianto Enrico Catuzzi: fu lui a volerti a Bari…

Fece di tutto per avermi, perché le mie caratteristiche erano funzionali alla sua moderna visione del calcio. Parliamo di uno dei pochi allenatori italiani che all’epoca schieravano la difesa a zona. Grazie alle sue direttive c’era sempre una perfetta organizzazione in campo, ma allo stesso tempo il mister ci lasciava grande libertà dalla trequarti in su. Ebbe grande fiducia in me e io lo ripagai con una grande stagione (fui il capocannoniere dei biancorossi con 8 gol). Purtroppo non centrammo la massima serie per pochi punti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’anno successivo invece il Bari andò in A: c’era Salvemini in panchina. Ma tu collezionasti solo poche presenze a causa di un grave infortunio.

Fu l’anno più brutto della mia carriera. Il 24 agosto 1988, in Coppa Italia, contro il Napoli di Maradona, subii infatti un fallo da parte di Alessandro Renica che mi causò la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Rimasi fermo otto mesi e mezzo. Sarei potuto essere uno dei titolari di quella fantastica squadra che riuscì a centrare la serie A: quella di Maiellaro, di Di Gennaro, di Monelli e Scarafoni. Ma fui costretto a guardare le partite dalla tribuna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


I baresi però ti furono vicini…

Venni letteralmente coccolato dai tifosi. Le persone mi portavano la colazione a casa e in ogni partita veniva scandito il mio nome: qualcosa di incredibile. Il loro affetto mi aiutò a tornare più forte di prima. E non dimenticherò mai l’ovazione da brividi che accompagnò il mio ritorno in campo il 14 maggio 1989, durante un Bari-Taranto. La mia esperienza, per quanto difficile, mi diede la possibilità di conoscere a fondo i baresi. È per questo che a distanza di tanti anni continuo a essere legatissimo a questa città e a questo pubblico meraviglioso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nella massima serie però non trovasti molto spazio (solo 15 gare su 34 da titolare), subentrando spesso solo a partita in corso: quale fu il problema?

Salvemini l’anno prima, senza di me, aveva trovato un certo equilibrio tattico e divenne quindi difficile inserirsi. Chissà, forse pensava pure che non sarei più tornato agli stessi livelli dopo l’infortunio. Ma alla fine della stagione mi presi una bella rivincita andando a segnare la rete che permise al Bari di aggiudicarsi la Mitropa Cup contro il Genoa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Parlaci di quello storico trionfo.

Fu un incontro memorabile. Il mio gol arrivò all’undicesimo del primo tempo. Mi infilai in uno spazio lasciato libero dai difensori del Genoa: Terracenere vide il mio movimento e mi lanciò davanti al portiere, che scavalcai con un tocco da sotto. Fu la rete decisiva che consentì ai Galletti di vincere l’unico trofeo della propria storia. Alzai la coppa al cielo da capitano: ricordo ancora l’ovazione dei tifosi e le lacrime al momento della premiazione. Quella del 21 maggio 1990 fu la mia ultima gara in biancorosso e l’ultima partita ufficiale del Bari nello Stadio della Vittoria. Un epilogo fantastico che mi è rimasto impresso nella memoria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torni spesso in Puglia?

La città di Bari, come ho detto, è rimasta nel mio cuore: qui tra l’altro è nata anche la mia seconda figlia. Purtroppo però non ho la possibilità di tornarci spesso perché ormai vivo in Portogallo. Ma quando mi è capitato di passare dalla Puglia i tifosi mi hanno sempre accolto con grande affetto e passione, come se fossi andato via il giorno prima.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In Portogallo vivi ad Olhão, città in cui alleni la squadra locale. Parlaci del tuo nuovo ruolo.

Sono il mister dell’Olhanense, che milita nel terzo livello del campionato portoghese. Una squadra che, un po’ come il Bari, ha un certo blasone anche se negli ultimi anni è finita in categorie che non le competono. Quando sono arrivato la società mi ha subito ben accolto, chiendomi di riportare il club dove merita, ovvero nella massima serie. È un’occasione molto importante per me, nonché la prima all’estero. Alleno un gruppo molto giovane che mi sta dando grandi soddisfazioni: attualmente siamo primi in classifica. Devo dire che mi sto trovando molto bene in questo mio nuovo ruolo. Vedere i ragazzi che ti seguono, che danno tutto in campo, che lottano per la società e per i tifosi, mi inorgoglisce. Il mio calcio, almeno da questo punto di vista, non è cambiato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel video il gol di Perrone nella finale di Mitropa Cup vinta dal Bari contro il Genoa il 21 maggio 1990:


 


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