di Vincenzo Drago e Marco Montrone

Calcio: società in rosso, ma il pallone rimane un affare. Ecco perchè
BARI - Possedere una società di calcio da 36 anni, indebitata fino al collo, avere l'occasione di venderla, ma rifiutare puntualmente ogni offerta d'acquisto. È il paradosso della famiglia Matarrese, proprietaria dell'as Bari: una storia che continua con il “no” all'ultima proposta di un passaggio di consegne (la 17esima in 12 anni), quella presentata dagli imprenditori Paolo Montemurro e Luigi Rapullino, rimasti a bocca asciutta dopo due mesi di trattative.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una cosa è chiara a questo punto: i Matarrese, nonostante i proclami («Il Bari è una croce sulla nostra schiena sanguinante: chi vuole salvarlo si faccia avanti») non hanno poi tutta questa voglia di vendere la squadra. E non sono i soli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il club biancorosso infatti non è l'unico ad avere una presidenza che resiste negli anni, nonostante le forti perdite. Nella stagione 2011 - 2012 il calcio professionistico italiano ha registrato un disavanzo di 388 milioni di euro e solo sette società di serie A su 20 hanno chiuso il bilancio in attivo. Una situazione che a prima vista incoraggerebbe la fuga d'ogni investimento dal mondo del pallone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Rimanendo nella massima serie si scopre però che soltanto quattro squadre (Roma, Atalanta, Bologna e Hellas Verona) hanno una leadership "giovane". Tutte le altre appartengono alle stesse società da almeno un decennio, oppure sono state rilevate sull'orlo del fallimento come nel caso di Fiorentina, Napoli e Parma. Qualcosa dunque non torna: per caso gestire una società di calcio, anche se costantemente in rosso, conviene?

Lo abbiamo chiesto a due esperti: Nicola de Giglio, docente di economia aziendale al dipartimento di giurisprudenza dell'Università di Bari e  Luca Veneziani, ispettore Covisoc (Commissione di Vigilanza sulle Società di calcio professionistiche).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Per le aziende del pallone - spiega De Giglio - la maggior parte degli introiti arriva dallo sfruttamento dei diritti televisivi o da quelle rare plusvalenze (per esempio la cessione di Cavani per il Napoli o di Cassano per il Bari) generate dalla compravendita dei calciatori. I ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti allo stadio sono ormai ridotti, mentre risultano pressochè inesistenti quelli procurati dallo sfruttamento del marchio e dalla vendita dei gadget sui quali pesa, tra l’altro, anche il mercato della contraffazione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Tanto per cambiare, il modello da seguire sarebbe la Germania e il suo campionato più importante, la Bundesliga. «Emblematico è il caso del Bayern Monaco - sottolinea il professore - che ha un proprio stadio, l’Allianz Arena, formidabile strumento di profitto. È una struttura che "vive" tutti i giorni dell’anno con i propri negozi, il museo della squadra, gli spettacoli e, da ultimo, le partite della squadra di calcio campione d'Europa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma il calcio italiano non sembra voler investire negli stadi (tranne la Juventus), quindi per le società si prospettano altre stagioni “in rosso”. Eppure i presidenti sono sempre lì, perché?

«La proprietà di una squadra di calcio professionistico, in particolar modo di serie A e B – risponde Veneziani - non può essere valutata con occhio squisitamente “aziendalistico” perché si rischierebbe di sottostimare tutta quella serie di “intangibles” che comunque comportano consistenti vantaggi: il ritorno di immagine, il contesto economico e sociale del quale si entra a far parte attivamente, le occasioni di relazioni interpersonali e non ultima l’enorme visibilità che si acquisisce».        

D’accordo, ma il gioco vale la candela? Questa “pubblicità” non viene a costare un po’ troppo? Le perdite delle società di calcio sono rilevanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Sì, ma le società di calcio rientrano di solito in un gruppo di imprese – avverte Veneziani - e quindi nel loro caso è possibile applicare il cosiddetto “consolidato fiscale”, ovvero quel meccanismo di tassazione che consente di far emergere un’unica pretesa tributaria a fronte di una moltitudine di soggetti passivi. Un esempio potrebbe chiarire meglio: se la società di calcio X ha maturato una perdita di 100mila euro al 31 dicembre 2013 e la sua società controllante Y ha maturato nel medesimo periodo un utile di 200mila euro, quest’ultima pagherà le imposte non su 200mila euro, ma su 100mila. Ovvero le imposte verranno calcolate non sull’intero utile maturato, ma sull’importo decurtato della perdita della società di calcio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ergo, al presidente di una società di calcio non importa granchè della perdita, visto che questa è interamente detraibile fiscalmente. E in compenso la squadra gli permette di avere una grande visibilità, spendibile in qualsiasi momento, specie se si decide di entrare o far entrare qualcuno in politica. E’ l’Italia. E Bari non fa eccezione.


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