di Rosalba Sblendorio - foto Valentina Rosati

A Giovinazzo c'è una "piccola San Pietro": il cupolone rosa di Sant'Agostino
GIOVINAZZO – La si scorge dappertutto, con il suo color rosa pallido e i suoi 50 metri di altezza: è la cupola della settecentesca Sant’Agostino, chiesa situata a Giovinazzo, in provincia di Bari. Tra le più grandi in Italia per dimensioni e “altitudine”, questa calotta rende l’edificio religioso simile a una “piccola San Pietro”. Siamo andati a visitarla (vedi foto galleria)

Il tempio si erge su piazza Sant’Agostino, tra la villa comunale e la stazione. La sua costruzione fu iniziata nel 1754 ad opera dell’ingegnere Giovanni Mastropasqua, ma vide la sua consacrazione e realizzazione definitiva solo nel 1846. Fu il figlio di Giovanni, l’architetto Giuseppe, a realizzare il cupolone, voluto dagli agostiniani per affermare la loro “supremazia ecclesiastica” sui domenicani. Sant’Agostino divenne così la più alta struttura cittadina, sicuramente più imponente di San Domenico, che si affaccia sulla vicina piazza Vittorio Emanuele.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La chiesa, adiacente all’ex convento degli agostiniani ora adibito a scuola, è in stile neoclassico. Presenta una facciata simmetrica divisa in due parti da un cornicione che culmina con un timpano triangolare. Il prospetto, di un particolare color rosa, è scandito da paraste bianche con capitelli.

Su tutto domina però l’enorme cupola, caratterizzata da arconi che sorreggono la struttura e con un tamburo circondato da finestre e coppie di semicolonne ioniche. Termina con una “lanterna” su cui si staglia la croce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta ora che entrare per andare alla scoperta di Sant’Agostino. Superato il portale in bronzo, ci ritroviamo in una chiesa a croce greca iscritta in un quadrato: un ambiente elegantemente ristrutturato, dove a farla da padrone sono i marmi e le pareti colorate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al centro della navata principale, sulle nostre teste si staglia il cupolone, i cui pennacchi sono decorati con affreschi dell’artista Giuseppina Pansini. Dipinto in celestino, è arricchito nella parte sommitale da decorazioni floreali e da una tonalità che vira sul grigio scuro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Alla fine della navata ecco l’altare in marmo, dalla tinta verde, gialla e bianca. Sopra la cattedra si staglia la volta rosa che copre il catino absidale, caratterizzata da un piccolo “occhio della Provvidenza”, simbolo caro ai massoni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Del resto anche l’elegante coro ligneo situato dietro l’altare presenta “misteriosi” segni che fanno riferimento all’antico Egitto. Si va da disegni che richiamano faraoni e sfingi, a sculture in legno di felini che osservano fieri il visitatore. Pure il pulpito riprende i motivi di questo particolare e inedito coro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma è arrivato ora il momento di salire sul tetto dell’edificio. Dopo aver oltrepassato una cappella laterale che riproduce la grotta della Madonna di Lourdes, simile a quella ospitata nella chiesa di San Giuseppe a Bari, ci avviciniamo all’ingresso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui, don Massimiliano, 36enne parroco di Sant’Agostino, ci apre una porticina situata a sinistra, lì dove ci attendono delle scale in pietra strette e ripide che ci portano fin su.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E una volta arrivati in cima, possiamo ammirare finalmente da vicino la grande cupola: una costruzione maestosa e austera che guarda Giovinazzo dall’alto, schernendo la più antica ma sicuramente più “bassina” San Domenico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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