di Carlo Maurantonio - foto Antonio Caradonna

Bari, tra ipogei e masserie viaggio nella nascosta e degradata Lama Fitta
BARI – Una lama “nascosta” e degradata, che a differenza degli altri 8 ex fiumi della città, è stata soppiantata per la maggior parte del suo corso da edifici, strade e coltivazioni. Del tratto barese di Lama Fitta, antico corso d’acqua che partendo da Adelfia andava a sfociare nei pressi di Pane e Pomodoro non è infatti rimasto molto. Eppure, anche se questo sito non si caratterizza certo per natura selvaggia e alte pareti rocciose, vale una visita, visto che al suo interno è possibile rinvenire straordinari ipogei e nobili seppur decadenti masserie.

Come detto il fiume nasceva ad Adelfia e dopo aver attraversato Valenzano, passava per Ceglie, Carbonara per arrivare infine a Bari. La parte “cittadina” costeggiava il percorso di via Fanelli, per poi arrivare in zona Parco 2 Giugno/Campus e terminare la sua corsa sul lungomare.

Per scovare ancora qualche segno della lama, decidiamo di far partire il nostro viaggio da via Martinez, antica e breve strada che si sviluppa alle spalle del Circolo tennis, tra Carbonara e Carrassi. Da corso Alcide de Gasperi giriamo così su strada Terzo Scambio che ci porta sulla via predetta. Dobbiamo però camminare per circa 500 metri tra un schiera di villette per incontrare finalmente sulla sinistra il verde della Fitta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ad accoglierci ulivi, alberi di fico, muretti a secco e una retina di metallo, che delimita l’argine del “canyon”, alto comunque solo un paio di metri. All’altezza di una malmessa costruzione troviamo un passaggio che ci permette di scendere nell’alveo dell’antico fiume. Il nostro viaggio comincia da qui. (Vedi foto galleria)

Ci dirigiamo così verso un vigneto, di fronte al quale si trova il più grande dei tre ingressi dell’ipogeo Martinez, uno dei più significativi presenti in città e l’unico a presentare al suo interno una chiesa “orientale”. Il sito risale all’VIII-IX secolo e ospitava un cenobio: una comunità di monaci dediti alla vita comune.

Entriamo nella cavità, notando come sia sostenuta da impalcature in ferro, atte a sostenere il soffitto a rischio crollo. Sulla sinistra troviamo sei giacigli a forma di arco scavati nella roccia. Sono ancora ben visibili gli scalini che permettevano ai religiosi di salire sui propri “letti” e delle parti di pietra più alte utilizzate come cuscino. Le pareti sono ricche di incisioni di croci, tra cui alcune latine e altre greche, con i bracci uguali. 

Accanto al cenobio si trovava la chiesa, il cui ingresso è ormai crollato: grossi massi ricoprono infatti tutto l’ambiente rendendolo inesplorabile. Non ci resta così che lasciare l’ipogeo per risalire su via Martinez, che ci conduce a un incrocio da cui parte un’altra “arteria” di nostro interesse: strada La Grava. La via, in forte pendenza, si sviluppa parallelamente alla precedente, scendendo nell’alveo della lama e andando poi a “sfociare” su via Fanelli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Dopo pochi metri incontriamo sulla destra una prima masseria: la Stevanato, imponente e bianca struttura ristrutturata. Nel 2004 scavi archeologici effettuati alle spalle dell’edificio hanno evidenziato la presenza di un pozzetto rituale riferibile all’età neolitica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un po’ più avanti sulla sinistra si trova invece un secondo ipogeo, denominato La Grava. Saliamo sul muretto a secco che delimita la carreggiata e scoviamo all’ombra di un grande fico d’india l’accesso alla struttura sotterranea. Ma la vegetazione troppo fitta rende impossibile visitarlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ritorniamo quindi sulla via maestra sulla quale 300 metri più avanti sulla destra si affaccia l’ottocentesca Villa Lopez, oggi completamente abbandonata e ricoperta di rampicanti. Due colonne, circondate completamente dall’immondizia, delimitano l’entrata. La superiamo e raggiungiamo l’ingresso della villa: una porta ribassata che conduce a locali semi ipogeici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le prime stanze che osserviamo sono semplici, privi di qualunque decorazione. Una scalinata in pietra ci porta poi al piano superiore, lì dove regna il caos: la pavimentazione è ricoperta da tegole di legno e da mattoni e le finestre sono murate. Sulle pareti scritte di ogni tipo. Attraverso una scala in legno messa lì da qualcuno riusciamo a raggiungere il terrazzo di questa antica ma fatiscente struttura. E da su possiamo osservare l’intero percorso della lama che stiamo esplorando.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una volta scesi ci imbattiamo nel casino della masseria: un elegante edificio con il tetto rosso a falde spioventi che ha avuto sicuramente più fortuna del fabbricato principale.  “La Villa” infatti è stata recuperata e adibita a locale serale e ospita da tempo la discoteca “Mulata”. Sul muro esterno è ancora visibile un’edicola votiva che racchiude l’immagine della Madonna posta in una nicchia di vetro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo ormai arrivati in via Fanelli, su cui sbuchiamo avendo sulla sinistra il cavalcavia della tangenziale. Qui la lama di fatto scompare: per ritrovarla dobbiamo percorrere 750 metri verso il centro cittadino per andare a incontrare la cosiddetta “zona delle casermette”. Giriamo così a sinistra su via Alberotanza, strada che dopo aver curvato permette di ritrovare sprazzi della lama perduta: qualche ettaro di vegetazione che cresce indisturbata. 

Accanto alle mura dell’inutilizzata Caserma Milano troviamo un vecchio cancello spalancato che ci conduce su un sentiero che scende lungo il corso dell’ex fiume.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui tra alberi di fico, carrubi e sterpaglia, giace un pezzo di terra nascosto, lì dove sono però presenti vecchi boccioni, vasi, tegole di legno, mattoni rossastri, tubi, frigoriferi. Nascoste dalla vegetazione ci sono persino delle baracche, che assurgono a simbolo di una fertile zona di Bari che, tra abbandono e rifiuti, è stata trasformata in una discarica a cielo aperto

(Vedi galleria fotografica)


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  • Roberto - Che bello scoprire e conoscere posti nascosti della città in cui vivi.
  • consuelo lopez - bravissimo! complimenti! non appena posso ci vado seguendo le tue indicazioni!!!
  • Diego Loporcaro - Il Mulata veniva chiamato negli anni '80 "U Castellacc d' Carvnar", lì si svolgevano anche le famose messe nere, come in tante altre ville di Via Fanelli (all'epoca Via Re David) e Corso Alcide De Gasperi (all'epoca Corso Sicilia).


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