di Franco Sicuro

Nascosti nelle grotte pugliesi: vita, morte e miracoli dei monaci bizantini
BARI – Ne abbiamo parlato più volte riferendoci ai tanti ipogei sparsi in terra di Bari, tra cui quelli di via Martinez e di Santa Candida e ultimamente occupandoci della “Laura di Santa Barbara” presente nella campagne di Capurso. In epoche passate, già a partire dal VI secolo d.C, la Puglia è stata abitata da monaci orientali, che facevano di grotte e cavità naturali la propria casa e soprattutto la propria chiesa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'esigenza di vivere nascosti era una conseguenza della disputa iconoclasta del 726 (corrente politico-religiosa che considerava il culto delle immagini idolatrico) che travolse la Chiesa d'Oriente causando veri e propri stermini di monaci e distruzioni dei luoghi di culto e costrinse i religiosi a emigrare nelle regioni meridionali d'Italia. In molti arrivarono in Puglia, «territorio più volte dominato dai bizantini – come ricorda Pasquale Corsi, docente di storia bizantina all'Università di Bari - dapprima con Giustiniano (VI secolo) ed in seconda battuta nel IX secolo, con la riconquista di Bari durata fino 1071, anno in cui ci fu l’occupazione da parte dei Normanni».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

C’erano tre tipi di monaci: gli anacoreti, i cenobiti e i lavrioti. Gli anacoreti (dal greco a-nachoretes, stare appartati) erano coloro che decidevano di vivere nella assoluta solitudine, distaccati dal mondo, dedicandosi alla meditazione e alla preghiera soprattutto nella forma dell'esicasmo, praticato cadenzando il ritmo del respiro. All'interno di questa categoria se ne svilupparono alcune particolarmente eccentriche, quali gli stiliti (coloro che abitavano su una piattaforma situata sulla sommità di una colonna), i dendriti (che vivevano sugli alberi) e i saloí (che fingevano pazzi per essere derisi e allenare così la virtù dell'umiltà).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I cenobiti invece (dal greco koiné bios ovvero vita comune) facevano vita meno isolata e vivevano in comunità guidate da un igumeno e disciplinata da una “regola” dettata dal fondatore: un prontuario di vita ascetica con consigli morali, spirituali e materiali che ricalcavano gli insegnamenti evangelici. Tutti si riunivano per pregare all'interno del katholikon, della chiesetta. Forma intermedia tra anacoreti e cenobiti erano i lavrioti, che vivevano sì da soli, ma non lontano dagli altri, riuscendo così ad avere degli sporadici momenti di vita in comune, generalmente il sabato o la domenica per la preghiera o per condividere il pranzo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


L'insieme delle grotte in cui vivevano i lavrioti costituiva la lavra o laura, i cui esempi più caratteristici a Bari, come abbiamo detto, sono rappresentati dagli insediamenti di Santa Candida e di Santa Barbara. Anche se i monaci più diffusi in Puglia erano i cenobiti. Esempi di cenobio si trovano a Santeramo e ad Altamura rispettivamente con i complessi ipogei di Sant'Angelo e di San Michele delle Grotte. (Vedi foto galleria)

Ma come vivevano questi monaci? Si legge nella “regola di san Pacomio”: “Nelle celle non hanno nulla tranne una stuoia, due tuniche, un mantello di lino, due cocolle, una pelle di capra, una cintura di lino, i sandali e un bastone compagno di viaggio”.  La loro alimentazione era essenziale (generalmente consumavano bacche e verdura cruda) conformemente ad una vita che era per scelta semplice e verteva soprattutto sulla preghiera e sull'educazione alle virtù, l’umiltà su tutte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Accanto a questo prediligevano il lavoro manuale artigianale: erano muratori, sarti e contadini ed infermieri e gran parte del loro tempo era dedicato all'intreccio delle corde da preghiera e alla realizzazione delle stuoie che utilizzavano per partecipare alla messa. In più dipingevano (anzi scrivevano) icone. «Si muovevano in equipe per scrivere icone su legno per le chiese cittadine», ci informa Domenico, 40enne di Ginosa, in provincia di Taranto che ha abbracciato la fede ortodossa diventando uno “ieromonaco” (letteralmente “monaco sacro”).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Altra loro caratteristica – continua Domenico –era la medicina erboristica, sviluppata proprio attraverso il contatto con le erbe curative che vegetavano spontaneamente negli agri attorno agli insediamenti. Ancora oggi infatti si trovano delle grotte dette “del farmacista” dove i monaci preparavano unguenti e farmaci. La medicina erboristica difatti è proprio il frutto di ricerche monastica».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Anche se alcuni monaci a un certo punto abbandonarono la vita nella grotte per cominciare a edificare monasteri in muratura. «Passato il pericolo iconoclasta e quindi a seguito del ristabilimento del culto delle immagini i monaci pian piano abbandonarono le campagne per innalzare monasteri», afferma il professor Corsi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In Puglia sono ancora ben visibili il monastero bizantino di San Pietro Imperiale nei pressi di Taranto, Santa Maria delle Cerrate a Lecce, il monastero di San Nicola di Casole a qualche chilometro da Otranto e Santa Maria de Ferorellis nei pressi di Brindisi. Monasteri che rappresentarono, anche dopo la fine della dominazione bizantina, il motore e il reliquario della tradizione Orientale "emigrata" in Puglia.


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  • Simone - Articolo molto interessante! È proprio vero che non si finisce mai di imparare!


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