Il barese Elvio Carrieri candidato al Premio Strega: «Narro della demolizione del Murattiano»
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venerdì 16 maggio 2025
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di Olga Festa
Elvio sarà quindi in gara con il suo “Poveri a Noi”. Il libro narra la complessa amicizia tra due trentenni: Libero e Plinio, sui cui pesa il senso di colpa del primo, “reo” di non aver aiutato l’amico coinvolto in una violenta rissa ai tempi della scuola media. Un rimorso che lo accompagnerà per tutta la vita e che si affiancherà a un senso di colpa collettivo: quello della Bari che ha permesso la demolizione della gran parte degli edifici storici del quartiere Murat, “svenduto per costruire due appartamenti in più”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A ispirare l’autore nella stesura del suo primo romanzo è stata anche Barinedita, che attraverso svariati articoli ha denunciato il “delitto architettonico” perpetratosi a partire dal Dopoguerra nel capoluogo pugliese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Abbiamo così intervistato Carrieri.
Partiamo dal Premio Strega: ti aspettavi di essere tra i finalisti?
No, di certo non me l’aspettavo: è stata una grande sorpresa. Sono orgoglioso per questa nomination e per la motivazione della candidatura. L’artista Valerio Berruti, che mi ha proposto per lo Strega, ha infatti detto che il mio libro è «profondo per le sensazioni che riesce a risvegliare, per l’ironia e il sarcasmo a volte snobistico dei dialoghi, ma anche per la speranza che la cultura e le idee possano sempre salvarci».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La cultura, quella classica e quella barese, è in effetti molto presente nel tuo romanzo.
Principalmente la cultura classica, in particolar modo Petronio, che ritorna più volte in “Poveri a noi”, ma anche Dante e Leopardi, che fanno parte del mio bagaglio culturale. Mi sono invece avvicinato tardi alla tradizione barese e al suo dialetto e più in generale alla storia della città. Mi interessava poco e tendevo anzi a considerarla quasi un elemento eccessivamente popolare. Crescendo poi, mi sono invece appassionato al passato di Bari e alla sua lingua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come è avvenuta questa scoperta?
Passeggiando per le strade del quartiere murattiano a un certo punto mi sono chiesto perché non ci fosse alcuna coerenza architettonica, perché il rione ottocentesco apparisse come una commistione di stili accostati senza criterio. E da lì è partita la mia ricerca storica, portata avanti grazie all’aiuto di mio nonno che, da barese doc, mi ha raccontato dei trascorsi del capoluogo pugliese, proprio come fa nel romanzo il nonno di Libero. Questo è il principale, se non l’unico, aspetto autobiografico del libro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oltre ai racconti di tuo nonno quali sono state le fonti della tua ricerca?
La storia della demolizione degli edifici storici del murattiano non è molto conosciuta, perciò anche a livello di documentazione c’è poco. Sicuramente sono stati preziosi gli articoli di Barinedita, tra cui quello che racconta dell’abbattimento dell’Ex Palazzo della Gazzetta. Ho poi scoperto un saggio molto interessante: “Concreto”, di Nicola Signorile, che cita esplicitamente non solo la questione delle permute postbelliche e del Piano Regolatore, ma anche un racconto di Pier Paolo Pasolini. L’artista infatti, giunto a Bari nel 1951, paragonò la zona della Stazione a un “quartiere della Roma Piemontese, come i Prati”. Pensare che proprio quella parte del murattiano, un tempo molto elegante, è una di quelle che è stata più deturpata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Credi che la “rimozione della storia” abbia in qualche modo cambiato la coscienza collettiva barese?
Sì, la coscienza del cittadino barese è stata probabilmente alterata in qualche modo: noi non sentiamo di abitare in una città che può vantare anche un’importante storia “moderna”. Diamo infatti per scontato che, oltre il centro normanno-svevo della città vecchia, non ci sia altra architettura d’epoca. E questo influisce sulla percezione che il barese ha di sé. Da qui nasce la sindrome del “brutto anatroccolo” che si nutre nei confronti del resto del Sud, quella che impedisce ad esempio di sentirci alla stregua di Napoli, Catania o anche Lecce. E tutto ciò parte proprio dal disastro architettonico che ha avuto luogo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un fenomeno, quello dell’abbattimento di edifici storici a favore della costruzione di nuovi palazzi, che è però ripreso negli ultimi anni. Si continua quindi a sbagliare…
Tutto ciò è assurdo, anche considerando il fatto che Bari è divenuta una città turistica. Ma il turista cerca autenticità: perciò anche solo in una logica di profitto (che è di fatto il motivo per cui si abbatte), andrebbe preservato quel poco che rimane.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Foto di copertina di Gaia Velli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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