di Gianluigi Columbo - foto Francesco De Leo

Il Museo Nicolaiano: quel luogo che ripercorre la storia "sepolta" di Bari e del suo Patrono
BARI – Un luogo sorprendente dove non solo viene raccontata la storia del santo patrono di Bari, ma in cui è possibile ammirare alcuni preziosi reperti provenienti dall’epoca romana, bizantina e normanno-sveva della città. È il Museo Nicolaiano, una collezione poco pubblicizzata ma che svela al visitatore la Bari antica e “sepolta”. (Vedi foto galleria)

Perché l’opera nefasta di Guglielmo il Malo (che rase al suolo la città nel 1156) il succedersi di altre dominazioni, ma anche il disinteresse e il forsennato sviluppo edilizio, hanno cancellato buona parte dei resti della “Bari che fu”, visibili solo in pochissimi siti venuti alla luce grazie a rare opere di scavo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al Nicolaiano si può però ripercorrere la storia del capoluogo pugliese attraverso sculture, capitelli, pergamene e sarcofagi salvatisi nel corso dei secoli, i quali vanno ad aggiungersi ai quadri e agli oggetti sacri che riguardano la figura di San Nicola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per visitare la collezione basta spostarsi alle spalle della Basilica, lì dove in largo papa Urbano II, accanto al grande arco che conduce al lungomare, si trova l’accesso alla mostra, situata all’interno di un edificio sorto alla fine dell'Ottocento al posto dell’antico Ospizio dei Pellegrini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La struttura, che fino al 1977 ha ospitato il Museo Civico, dal 2010 è stata data dal Comune in gestione alla Pontificia Basilica, che a sua volta l’ha concessa all’Accademia Cittadella Nicolaiana, ente che ancora oggi si occupa della direzione museale. E così i tanti oggetti per anni stipati a San Nicola sono stati riordinati per trovare posto qui, dove possono essere mostrati al pubblico in tutto il loro splendore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il nostro viaggio comincia al piano terra, con la sezione dedicata alla Bari romana. Il capoluogo pugliese, fra il 326 a.C. e il 476 d.C. fu infatti parte dell’antica Roma, diventando un municipium, ossia una città capace di eleggere i propri rappresentanti al governo e di darsi leggi proprie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Catturano immediatamente la nostra attenzione due statuette fittili, cioè di terracotta, raffiguranti due donne, donate alla Basilica da un benefattore. «Come si evince dalla loro acconciatura, le donne avevano uno status sociale differente – sottolinea Francesca Canonico, coordinatrice del museo–. Una ha infatti i capelli sciolti, il che suggerisce che fosse nubile, mentre l’altra li porta legati a cono, segno del suo essere una matrona, cioè sposata con un uomo libero».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguendo notiamo un busto di marmo, nerboruto e privo di arti e acefalo: si tratta di una testimonianza barese del culto di Mitra, il dio del Sole. La scultura si trovava nell’area dell’odierna cittadella nicolaiana. Accanto invece si trova un’anfora di media grandezza in origine caratterizzata da un lungo peduncolo posto nella parte inferiore, pervenutoci però spezzato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lasciati i reperti di epoca romana, entriamo nell’area dedicata all’età bizantina. Bisanzio, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, dominò la città a più riprese: dapprima dal 554 al 668, con funzioni “provinciali”, e poi dall’876 al 1071, quando Bari fu elevata a Catapanato, massima espressione politica dell’Impero.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui ci imbattiamo in due opere di marmo. La prima ritrae una leonessa stilofora (portatrice di colonna), che fungeva da ornamento collocato all’esterno del Palazzo del Catapano (che fu abbattuto per far posto alla Basilica). L’animale è rappresentato con una criniera, come se fosse un maschio. «Probabilmente l’autore non aveva mai visto un leone – osserva la nostra guida -. Comprendiamo però il suo sesso dal cucciolo che porta in bocca: simbolo di protezione, scelto per suscitare la benevolenza divina».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La seconda opera è un capitello a stampella raffigurante due scimmie. I primati avevano però in età bizantina un’accezione negativa perchè visti come una cattiva imitazione dell’uomo e quindi opera del demonio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«Nelle chiese romaniche era usanza collocare all’esterno della sculture con accezione negativa e all’interno figure con valenza positiva – ci spiega la coordinatrice –. La parte esteriore della chiesa rappresentava infatti il corpo umano e quindi le sue debolezze, tutto ciò che si trovava all’interno invece rappresentava l’anima e dunque la purezza dell’uomo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giungiamo ora alla parte dedicata al periodo normanno-svevo. Bari fu conquistata dal re normanno Roberto il Guiscardo nel 1071, che ebbe la meglio sui Bizantini dopo tre anni di assedio. Pochi anni dopo, nel 1087, avvenne la traslazione delle ossa di San Nicola da Myra a Bari. Dell’evento è qui conservata un’eccezionale testimonianza: una pergamena del 1175 contenente la lista dei nomi degli eredi dei 62 marinai che trasportarono le reliquie in città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Più avanti ecco la corona normanna di Re Ruggero II, sostituita però temporaneamente da una copia perchè l’originale è esposto nel museo di Mannheim, in Germania. Risalente al XII secolo, vede sulla sua superficie una sottile decorazione con motivo a foglie, che si interrompe sulla fronte per lasciare posto a tre placchette applicate raffiguranti altrettante figure di angeli. Notiamo che il manufatto ha però un diametro troppo grande per essere indossato: è stato ipotizzato che avesse funzione votiva di tipo funerario o funzione liturgica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel 1189, a seguito dell’estinzione della linea maschile della famiglia normanna degli Altavilla, e dopo il matrimonio fra Costanza e Enrico VI, il governo cittadino passò alla dinastia sveva degli Hoenstaufen, di origine germanica, il cui più illustre rappresentante fu il figlio della coppia: l’imperatore Federico II.

Nel museo è conservata proprio una pergamena originale di Federico. Al suddetto atto è legato con un nastro rosso lo stemma ufficiale reale in cera d’api, sul quale si vede l’imperatore che stringe fra le mani un globo e uno scettro: i simboli del Sacro romano impero. L’effigie è particolarmente interessante perché costituisce uno dei pochi ritratti ufficiali dell’imperatore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Saliamo ora al primo piano, dove sono esposte altre opere che raccontano la storia antica della città. C’è ad esempio un sarcofago di marmo della seconda metà del XII secolo appartenente probabilmente a Roberto da Bari, ricco notabile noto per aver firmato nel 1268 la condanna a morte del figlio di Federico II, Corradino di Svevia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Disposte su una parete notiamo invece quattro lastre in marmo. Si tratta di plutei: balaustre rettangolari adibite a dividere in due parti un edificio. Le due poste più in alto sono addirittura di epoca longobarda, del VII-VIII secolo e raffigurano una sfinge e un leone. Quelle collocate inferiormente sono bizantine, dell’XI secolo: finemente lavorate e colorate sia nei motivi che nelle figure, rappresentano un angelo e due grifoni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questo livello dell’edificio è però prevalentemente dedicato al culto di San Nicola. Vicino all’ingresso ci imbattiamo nel quadro che raffigura il Patrono, quello che il 7 maggio viene posto sul peschereccio che parte da San Giorgio per arriva al porto vecchio di Bari dove viene “raccolto” dal corteo storico e condotto sino alla Basilica. La preziosa immagine risale al 1627 (l’aureola sopra il capo è però dell’800) ed è firmata da “Simplicius”, dal latino simplex (semplice), parola che si usava all’epoca per indicare un artista che non voleva apparire.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il viaggio prosegue con un altro importante reperto: il pastorale dell’abate Elia, prelato promotore della costruzione della Basilica. L’oggetto è di avorio e di legno e gli fu conferito quando divenne arcivescovo della diocesi di Bari e Canosa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nella collezione non possono mancare le bottiglie di vetro contenenti la manna, liquido proveniente direttamente dalle ossa del Patrono che viene raccolto il 9 maggio di ogni anno. I contenitori, che raffigurano colorate scene della vita del santo, sono stati dipinti dall’artista Michele Montrone , attivo tra la fine dell’800 e l’inizio del 900.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’ultima chicca della mostra è il piano interrato, che custodisce particolari oggetti votivi. Tra questi i candelabri d’argento donati dal presidente russo Vladimir Putin in occasione della sua visita a Bari nel 2007 e il pastorale di Papa Giovanni Paolo II, offerto dal pontefice nel 1984 quando fu accolto calorosamente nella città di San Nicola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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