di Nicola De Mola

Il tifo calcistico: come è nato, come si è evoluto, come sta scomparendo
BARI - Curve gremite che creano coreografie, intonano cori o espongono bandiere e striscioni per sostenere la propria squadra rappresentano da anni lo stereotipo del tifo calcistico italiano. In realtà, il fenomeno non è nato con l’arrivo del soccer nel nostro Paese, ma ha seguito nel tempo un lungo processo. Nonostante le prime partite in Italia risalgano a fine ‘800 - primi del ‘900, per tanti anni il concetto di tifo organizzato è stato, infatti, del tutto sconosciuto nei nostri stadi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Anche se proprio Bari, precorrendo un po’ i tempi, può vantare già negli anni ’30 la costituzione di un paio di gruppi di supporter biancorossi: l’Ordine del Galletto e la Banda Pollastri di Ciccillo Pappamosca, che col senno di poi possono essere ritenuti gli antenati dei moderni ultras. È solo negli anni ’50 comunque che, grazie alla popolarità sempre maggiore del calcio, gli stadi italiani cominciano a riempirsi e i tifosi, sventolando le loro bandiere (all’epoca unico segno distintivo), cominciano ad affrontare le prime trasferte per seguire la propria squadra del cuore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel capoluogo pugliese è leggenda il vero e proprio esodo di massa del 1954 a Napoli: 20mila persone che partirono con ogni mezzo per assistere allo spareggio valevole per la promozione dalla IV serie alla serie C, vinto contro il Colleferro. Così come le trasferte a Bologna e Roma nel 1958 per le due sfide contro il Verona, che segnarono il ritorno in A dopo nove anni nelle serie minori. Dietro la loro organizzazione c’era la figura mitica di Peppino Cusmai, allora capo della tifoseria barese, e anche in questo caso quasi un precursore dei tempi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Tra i 20mila di Napoli c’ero anch’io, ero poco più di un bambino - racconta nonno Giuseppe, da una vita seguace dei Galletti - Ricordo anche le partite allo stadio Della Vittoria, la Torre di Maratona (poi abbattuta nel 1972, ndr) che si ergeva sull’impianto e un clima più simile a quello di una festa di paese che a una partita di calcio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ho messo piede allo stadio per la prima volta nel 1960 ed era veramente una festa - conferma il signor Giovanni - Come dimenticare la ressa in quelle gabbie che c’erano agli ingressi e i ragazzini che entravano senza biglietto, intrufolandosi nei cancelletti con gli adulti?».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Negli anni ’60 sugli spalti degli stadi italiani fanno la loro comparsa i primi striscioni, opera dei centri di coordinamento del tifo, che raccolgono al loro interno i primi piccoli club che si erano formati negli anni. La nuova struttura si diffonde rapidamente in tutta Italia sull’esempio dei “Moschettieri nerazzurri”, il gruppo nato grazie a un’idea del grande Helenio Herrera, che voleva maggior seguito in trasferta per la sua Inter.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«Ma non era ancora come oggi, non esistevano le coreografie: ognuno incitava la squadra per i fatti suoi e l’unico momento in cui cantavamo tutti insieme era quando c’era da dare del “cornuto” all’arbitro», racconta ancora il signor Giovanni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma la svolta è dietro l’angolo. Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 cominciano a nascere, prevalentemente nei settori popolari degli stadi, i primi gruppi di Ultras e Fedelissimi. Questi si distinguono dalla vecchia concezione di tifo per l'adozione di elementi del tutto innovativi nel modo di sostenere la squadra e di assistere alla partita, come trombe, tamburi, materiale pirotecnico (sull’esempio delle torcidas brasiliane), sciarpe (elemento tipico del tifo inglese), cori incessanti per tutti i 90 minuti. 

E anche a Bari avviene lo stesso. Nel 1976, grazie all’idea di Franco Marvulli (detto “Florio”) diversi tifosi biancorossi cominciano a riunirsi sulla balconata della curva nord dietro lo striscione “Alè Grande Bari Club Ultras”, poi sostituito da uno con la scritta “Ultras” e il disegno di un teschio di profilo sulle ossa incrociate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Quell’anno militavamo in serie C - ricorda Antonio - Il loro tifo incessante rappresentò una novità nel nostro stadio, il proverbiale dodicesimo uomo in campo. Non credo sia stato un caso se a fine stagione fummo promossi in B».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da allora gli Ultras hanno continuato a seguire nel bene e nel male le sorti del club biancorosso sempre in curva nord (prima al Della Vittoria, poi al San Nicola) sino al loro scioglimento ufficiale avvenuto appena qualche mese fa. Qualche altro gruppo, nato successivamente e sistematosi anche in altri settori dello stadio, continua tuttora a tifare Bari, anche se con un convincimento sempre minore, vista anche la sempre più deprimente situazione dei biancorossi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Più in generale, è evidente come negli ultimi tempi, un po’ per le leggi che nel tempo hanno cercato di limitare il fenomeno ultras (a causa dei troppi episodi di violenza che ne hanno accompagnato la storia), un po’ per la maggiore offerta di partite da parte delle tv, nel nostro Paese si sia registrato un netto allontanamento del pubblico dalle curve e dagli stadi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Gli impianti sempre pieni e l’antico clima di festa, la bellezza, ma anche gli eccessi del tifo, rischiano di diventare ben presto solo un lontano ricordo. 


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