di Gaia Agnelli

Quando i bambini di Bari giocavano al "pisticchio": il nostalgico baseball dei poveri
BARI – Abbiamo già parlato dei “giochi di una volta”, quelli praticati dai bambini per strada (dalle biglie allo sguincio, passando per la campana a iùn u monde e la lune). Attività ludiche che, assieme al calcio, sono state per decenni i passatempi preferiti dei piccoli baresi, almeno fino all’avvento di smartphone, computer e videogames. C’è però un gioco all’aria aperta che si è “estinto” ben prima che la tecnologia diventasse imperante: parliamo del cosiddetto “pisticchio” (u pestìcchie).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si trattava di un semi-sport (con tutta una sua serie di regole) rimasto in voga sino agli anni 50 del secolo scorso, quando la crescente urbanizzazione e l’aumento del traffico automobilistico cominciarono a ridurre notevolmente le aree in cui era possibile riunirsi e divertirsi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Perché il pisticchio per essere praticato aveva bisogno di spazio, oltre che un terreno adatto – sottolinea Gigi De Santis, esperto di tradizioni baresi -. Protagonista era un legnetto arrotondato lungo circa 10 centimetri e affusolato come un sigaro dal quale il gioco prendeva nome. Quest’ultimo doveva essere colpito a un’estremità con un altro pezzo di legno lungo 35 centimetri e largo 8: la stàcciue (una tavola piatta simile a quella usata per arricciare i polpi). L’obiettivo era lanciare l’oggetto il più lontano possibile, approfittando anche dei rimbalzi che faceva sul suolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un passatempo che assomigliava lontanamente al baseball, lo sport americano in cui si colpisce una pallina al volo con una mazza. In realtà però, nonostante sia stato chiamato il “baseball dei poveri” o “baseball barese”, il gioco ha origini ben più lontane del suo cugino americano, affondando le sue radici addirittura nel XV secolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra l’altro l’attività, che è generalmente conosciuta con il nome toscano di “lippa”, era diffusa in tutta Europa e in ogni regione d’Italia, con denominazioni però diverse: mazzareìd a Bisceglie, màzz ‘e bustìche a Foggia, mazza e pizzarieddhu in Salento, per fare qualche esempio pugliese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma qual erano le sue regole? A spiegarcele è un nostalgico video trasmesso nel 1971 dalla Teche Rai: mostra, tramite riprese in bianco e nero, un’intera partita disputata da quattro ragazzini nel quartiere Stanic di Bari. (Vedi anche foto galleria)

Una giovane voce narrante illustra il momento iniziale del “tocco”, che serviva a sorteggiare chi dovesse iniziare a battere. Solitamente si giocava in due, uno contro l’altro, o in quattro, divisi in coppie. Una volta stabilite le squadre, si disegnava a terra con un gessetto un cerchio dal diametro di un metro chiamato “la stazione”. Era proprio al suo interno che il sorteggiato doveva colpire con la stàcciue il pisticchio, lanciandolo in aria il più lontano possibile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


L’avversario del battitore era il “volante”, che si poteva muovere liberamente nel campo con l’obiettivo di bloccare tra le mani il legnetto. Se riusciva a prenderlo al volo conquistava direttamente il posto all’interno della stazione, ribaltando così i ruoli. Se invece cadeva per terra, poteva raccoglierlo e lanciarlo con le mani nel cerchio. E qui si potevano creare due situazioni.

La prima: il volante faceva centro e guadagnava così il posto del battitore. La seconda: mancava invece il bersaglio, spianando così la strada al suo antagonista. Quest’ultimo infatti aveva a quel punto il diritto di colpire nuovamente con la stàcciue il pisticchio, per tre volte consecutive, lanciandolo il più lontano possibile. Maggiore era la distanza tra la stazione e il punto di arrivo dell’oggetto, più punti si raccoglievano. Per la precisione 5 ogni 5 centimetri, calcolati con la stàcciue stessa, che si poggiava per terra e si utilizzava per definire la lunghezza del lancio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci volevano quindi astuzia, velocità e riflessi pronti. «Era in più uno di quei passatempi che si potevano “costruire” manualmente – ricorda il 76enne Roberto -. Per realizzare gli strumenti con cui sfidarsi bastava modellare un ramo, usare un matterello da cucina o riciclare un vecchio manico di scopa limando le estremità con un coltello».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’attività interessava però quasi esclusivamente i maschietti, dato che l’uso della mazza e del legnetto affusolato volante spaventavano le bambine, che si limitavano a guardare da lontano i propri amici. «Erano gli anni Cinquanta e vivevamo per strada – ricorda l’80enne Giuliana –. Ero piccola e avevo paura di farmi male con quel bastoncino appuntino, così optavo per la campana. Ammiravo però i miei compagni quando armeggiavano con quegli oggetti di legno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un gioco che, come detto, fu sempre meno praticato, fino alla sua completa estinzione avvenuta tra gli anni 60 e 70. Non è un caso infatti che a fare da sfondo ai quattro ragazzi protagonisti del video Rai sia il quartiere Stanic, una zona da sempre poco urbanizzata, lì dove si potevano ancora trovare aree in terra battuta dove far rimbalzare al meglio il pisticchio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una curiosità. Nel tempo la lippa ha trovato un degno sostituto nel calcio, anche se tuttora quando qualcuno non dimostra una particolare destrezza nel tirare il pallone, si usa sbeffeggiarlo con un: «Uagliò, va a scioc o pistìcchie».

(Vedi galleria fotografica)

* con la collaborazione di Marco Gay


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