Bari, ''ce nge n'am'a scì sciamanìnne?'' E' traccia della dominazione saracena
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mercoledì 1 febbraio 2017
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di Annarita Correra
La lingua – Basta pensare alla tipica omissione delle vocali del dialetto per capire quanto la lingua locale sia stata influenzata dal mondo orientale. Del resto sono tanti i termini del vernacolo barese derivanti dall’arabo, almeno secondo l'autrice Maddalena Malcangio che ha scritto un libro sull'argomento ("La Puglia nel periodo dei saraceni"). Ad esempio terrise (“soldi”) proviene dall’arabo tari. Tavute (“bara”), da tabut. O ancora zacquare, parola usata per definire una persona sciatta, deriva da saqqa. Anche il verbo “andare” che in dialetto viene tradotto in scì proviene da namsci. Ed è a questo punto "arabo" il famoso scioglilingua barese Ce nge n’am’a scì, sciamanìnne. Ce no nge n’am’a scì, no nge ne sime scènne. Anche l’espressione mafisce feluse (“non ho soldi”) caduta ormai in disuso ha origini orientali, come i cognomi Melo e Morisco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La cucina - Gli arabi introdussero anche nella cucina importanti novità, importando in tutto il Sud Italia piatti ancora oggi molto diffusi come la parmigiana (la cui versione con il pomodoro fu però il risultato della successiva dominazione spagnola), il torrone (chiamato copète), la pasta e il latte di mandorle e la tridde (pasta realizzata con farina e prezzemolo da condire con il brodo). Dai saraceni i baresi impararono anche a essiccare l’uva e la pasta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il commercio e il ricamo – I baresi sono da sempre un popolo basato sul commercio, qualità che però riuscirono ad affinare proprio grazie ai saraceni. Da loro impararono infatti a cimentarsi con il cambio delle monete che arrivavano dall’Oriente, come i bisancii saracenati e i tareni saracenicorum, iniziando a usare come unità di misura per la compravendita la carrafa, il rotolo e il corato. Assimilarono anche dai saraceni l’arte del ricamo e la tecnica di coltivazione del cotone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’architettura – A Bari non sono rimaste costruzioni risalenti al periodo di dominazione saracena, poiché la città è stata più volte distrutta e ricostruita nel corso dei secoli, anche se alcune strutture di epoca successiva presentano elementi architettonici che rimandano a simboli arabi. Il motivo? Si tratta di segni lasciati dagli scalpellini islamici rimasti in città che di nascosto vollero legare la loro fede a edifici dove comunque sarebbero stati celebrati riti cristiani.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E’ questo l’esempio della Cattedrale di San Sabino, edificata proprio nel punto dove durante la dominazione saracena sorgeva la moschea di Bari, poi abbattuta. Coloro che alla fine del XII secolo edificarono la Cattedrale conservarono la cupola ottagonale, forma geometrica che ricorre spesso nella religione islamica, così come sembra che tra i bassorilievi che adornano la cupola siano nascosti i versi della fathia, una preghiera islamica. La fascia che sovrasta il rosone dell’edificio è poi abbellita da arabeschi tipicamente orientali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Anche la Porta dei Leoni della Basilica di San Nicola è impreziosita nella parte superiore da foglie, fiori e animali fantastici che ricordano motivi tipici dell’arte araba. E poi c’è il mosaico che adorna il pavimento dell’abside, lì dove sembra ripetersi il monogramma realizzato attraverso l’intreccio delle lettere che formano la frase “Allah è grande”. Un vero e proprio messaggio subliminale che gli artigiani arabi vollero lasciare in un edificio deputato al culto della cristianità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il nostro viaggio alla ricerca delle testimonianze saracene termina in strada Quercia n.10, sempre a Bari vecchia, dove in un’architrave si trova la statua detta “Cape du Turchie”. Secondo la leggenda rappresenterebbe la testa dell’emiro Mufarrag mozzata dalla “Befanì”, una strega cattiva che il governatore saraceno aveva avuto l’ardire di sfidare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Annarita Correra
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I commenti
- Vito De Frenza - "Terrìse" per "denaro" deriva dalla Lira Tornese, o Lira Turonensis che è stata la moneta francese dal medioevo fino alla rivoluzione, e che è stata di uso comune a Bari e nell'Italia Meridionale per tutto il periodo angioino. Il termine viene dalla città di Tour, nella cui zecca detta moneta veniva battuta. Scire, che in barese significa andare, deriva fin troppo chiaramente dal latino "ire", verbo dal medesimo significato.
- Pierluigi - Molto interessante, ma mi restano forti dubbi proprio sulla locuzione in titolo. E' molto più verosimile che il nostro scire ( sci') venga da un tranquillissimo IRE latino ( andare) - Tradotto maccheronicamente : si nos habemus ire, (nos) imus " corrisponde nella costruzione e nella sostanza a "ce ( si) n'ge n' ( nos) ham'a ( habemus) sci, ( ire) , sciamaninne ( nos imus)"
- gaetano vignola - Concordo con i commenti di De frenza e Perluigi: per la Cattedrale e la Trulla bisogna ricordare la distruzione della prima Cattedrale Bizantina di Bari
- Luigi Grillo - La parmigiana è stata introdotta dai saraceni, un po' in tutto il meridione, lungo secoli di scorrerie e commerci. Nello specifico, tavut viene da tabut, ma passando dallo spagnolo ataùd, lingua che ha lasciato impronte sulla nostra cultura di ben altra portata
- michele - Complimenti per il nuovo articolo con riferimenti storici sconosciuti ai più. Lettura piacevole e leggera. In bocca al lupo!
- Antonio - …Inoltre, se per omissione delle vocali (?) si intende la cosiddetta “e” muta – o atona – detta “schwa” dai glottologi, essa si ritrova in tutti i dialetti meridionali ed è di molto chiara derivazione indoeuropea… E, da molese, la scrivo nel modo barese: “Ce nge n’ama scì sciamaninne, ce na’nge n’ama scì, nan ge ne sime scènne,,
- ros - l' attribuzione dell' influsso sul cibo al periodo di dominazione diretta saracena è discutibile, anche se il forte influsso della cultura nord-africana è innegabile. Le cartellate, ad esempio, sono diffuse in tutto il maghreb fino al marocco.
- Giuseppe - Si citano "arabeschi tipicamente orientali", è l'Arabia in Oriente? Come si definiscono in storia dell'arte gli "Arabeschi"?
- Antonio - Tutti filologi con gli articoli degli altri ;)
- Giuseppe Cassano - L'articolo è un ottimo punto di partenza e ringrazio l'autrice. 1) Tornando al tornese, è stato in uso nel regno delle due Sicilie sino al 1861 (vedi sulla nota enciclopedia on line). I tornesi si trovano facilmente e a poco prezzo nei negozi di numismatica (io ho monete di 1, 2 e 5 tornesi). 2) La "e" sorda in fine parola andrebbe scritta, come l'ottimo Antonio ci ricorda. Ora sarebbe tutto più facile se si usasse una lettera apposta, e mi permetto di suggerire "ə" (Unicode +0259).
- Dome - L'espressione n'am'a scì non c'entra nulla con l'arabo NAMSCI, essendo completamente neolatina. Letteralmente significa "ne abbiamo a andare": N' significa NE AM'A significa ABBIAMO (latino habemus) A , nel senso di DOBBIAMO (come nell'italiano HO DA+infinito) SCI è forma apocopata di SCIRE, che significa ANDARE e deriva dal latino IRE: si veda la variante gire (https://www.etimo.it/?term=gire).