di Mariangela Dicillo

Da Juanne ammine 'u chiappe alla Cape du turchie: le leggende di Bari Vecchia
BARI - Le mura del borgo antico di Bari, i suoi abitanti più anziani, le loro voci, custodiscono leggende tramandate negli anni, nei secoli. Alcune hanno un’origine storica, reale, che però poi è sfociata nella fantasia. Siamo andati a Bari Vecchia per raccogliere tre storie “cult” nate tra le sue vie e per fotografare i luoghi raccontati nelle leggende (vedi foto galleria). Ecco quindi le leggende di “Juanne ammine 'u chiappe”,  “U' carabiniere senza cape” e della “Cape du turchie”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Juanne ammine 'u chiappe- È la storia macabra di un uomo che si dice essersi impiccato all'età di trentanni, in seguito a problemi familiari ed economici. Si racconta che se ci si reca in quella che sarebbe stata casa sua, sotto un arco di Piazza dell'Odegitria,  nei pressi della Cattedrale e si grida: “Juanne ammine 'u chiapp!” (Giovanni lancia il cappio), dall'alto scenderà la corda che lui stesso ha utilizzato per uccidersi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il signor Cosimo, che vive a Bari Vecchia da 60 anni, ci dice: «Quando ero piccolo andavo sempre con i miei amici sotto casa di “Juanne”, ma nel momento in cui doveva scendere la corda fuggivamo a gambe levate».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutti a Bari Vecchia conoscono questa leggenda, anche se Michele Fanelli, esperto di tradizioni baresi, spiega che “il cappio” non sarebbe quello utilizzato da Giovanni per uccidersi, ma quello usato dall’uomo per catturare i cani. «Da quel che so io Juanne era un accalappiacani – svela Fanelli -. Tuttavia, non mi sorprende che ci siano più versioni della storia, è un fenomeno abbastanza comune, soprattutto quando le leggende sono molto antiche».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

U' carabiniere senza cape - È la classica storia d'amore travagliata che, in questo caso, non si risolve con un lieto fine. I protagonisti sono un carabiniere e una ragazza di Bari Vecchia, il cui padre, criminale, le impediva di frequentare il ragazzo per via del suo lavoro “legale”. Dopo continui litigi, l’uomo decise di far tagliare la testa al giovane. Si narra però che il corpo senza testa del carabiniere vagò per il borgo antico, fin quando non riuscì a raggiungere la dimora dell’amata, cadendo senza più rialzarsi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La casa della ragazza è individuabile in piazza Incuria, lì dove la signora Rosa ci confessa: «Quando eravamo ragazzine volevamo tutte sposarci un carabiniere che ci amasse come quello della storia. Sognavamo un amore travagliato e passionale».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La cape du turchie - La vicenda, seppur con i suoi risvolti fantastici, ha riferimenti storici ben precisi: la dominazione saracena a Bari negli anni compresi fra l'840 e l'870. Riguarda la sfida che il governatore Mufarrag lanciò la notte tra il 5 e il 6 gennaio, quella dell'Epifania, alla “Befanì”, una figura cattiva contrapposta a quella della befana buona. Questa donna malefica girava tutta la notte per la città segnando una croce con la pece sulla porta di quelli che dovevano morire e decapitando con la sua falce quelli che ostacolavano il suo cammino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Mufarrag alla “Befanì” non ci credeva e reputava i baresi creduloni che avevano paura di tutto. Decise quindi di andarla a cercare per dimostrare ai cittadini che la storia era falsa. Ma purtroppo per lui, la incontrò. Al saraceno fu tagliata la testa (la Capa du turchie, appunto) che rotoló in giro per le stradine di Bari, fino a posarsi in via Quercia n°10, dove ora si trova ancora, in un architrave, "pietrificata" (c'è infatti una scultura che ricorda la vicenda). Da questa storia è nato un detto popolare: “Per non perdere la faccia, ci rimetti la testa”.


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  • Pasquale D'Attoma - Salve. Vorrei sapere se fosse possibile contattare l'autrice dell'articolo Mariangela Dicillo. Grazie


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