di Giancarlo Liuzzi

Bari, Santa Candida: la più grande basilica rupestre della Puglia continua a giacere nel degrado
BARI – «E’ da ormai 40 anni che le istituzioni parlano del recupero della chiesa, ma nulla è mai stato fatto e se si continua così, presto non resterà più nulla da restaurare». Sono le parole di Sigismondo Favia, membro dell’ArcheoClub Italo Rizzi di Bari, promotore di un progetto di salvaguardia di Santa Candida, il millenario tempio che sorge sul fianco est di Lama Picone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Parliamo di un sito dalla grande importanza storica-artistica, che con i suoi 120 metri quadri di ampiezza risulta essere la più grande basilica rupestre non solo del barese ma di tutta la Puglia. Fu edificato come luogo di culto tra il IX e l’XI secolo d.C. ad opera di comunità religiose bizantine stanziatesi a Bari, anche se c’è chi pensa che possa essere più antico e risalire addirittura al periodo paleocristiano-altomedievale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una vera e propria chiesa quindi, inserita in uno dei tanti ipogei presenti a Bari: ambienti sotterranei scavati dall’uomo, la maggior parte dei quali situati all’interno delle nove lame cittadine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Eppure Santa Candida continua a giacere nel degrado: non c’è un sentiero adeguato per raggiungerla e la zona antistante l’ingresso è da sempre utilizzata come discarica a cielo aperto. Inoltre, benché oggi protetta da una grata che impedisce l’accesso agli estranei, nel tempo ha subito diversi atti vandalici e graduali cedimenti strutturali che ne stanno minando l’integrità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’ArcheoClub, organizzando visite guidate ed eventi, sta cercando di porre l’attenzione sul decadente stato del luogo in vista di un suo possibile restauro. Anche se è da anni che ci sono progetti di valorizzazione, rimasti però sempre sulla carta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Risale ad esempio al 2006 una delibera regionale che stanziava 700mila euro per il recupero della grotta, ma dopo quattro anni di silenzio si scoprì che il finanziamento non era mai stato erogato e che quindi i lavori non sarebbero mai iniziati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Poi nel 2015 l’amministrazione comunale diede il via alla creazione del “Parco degli ipogei”: un macro-progetto che, partendo da indagini geologiche effettuate proprio a Santa Candida, doveva valorizzare tutti i complessi rupestri del territorio. Ma anche questa ennesima proposta, seppur inserita nel Pug (Piano urbanistico generale), non ha ancora portato nessun risultato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In attesa di una ristrutturazione siamo quindi andati a visitare la basilica, apertaci per l’occasione dall’ArcheoClub, che ha avuto dal Comune la gestione del sito. (Vedi foto galleria)

Per raggiungerla percorriamo via Giulio Petroni e, una volta superato il cavalcavia della tangenziale, svoltiamo a destra su via Carlo Alberto dalla Chiesa. Arrivati in fondo alla strada proseguiamo a piedi sull’ultimo tratto e, percorrendo uno stretto sentiero limitato da piante e arbusti, ci lasciamo il traffico e la città alle spalle e scendiamo nel letto della lama Picone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Sulla nostra destra, nascoste da un rigoglioso campo di ulivi, scorgiamo le baracche di un campo rom qui presente da anni e, a pochi metri di distanza, una distesa di scarti e rifiuti di ogni genere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Voltando lo sguardo a sinistra riusciamo invece a intravedere, oltre le fronde di due alberi di fico, gli accessi della chiesa serrati da una recinzione in ferro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In passato erano preceduti da altri quattro ambienti, distrutti negli anni 70 durante i lavori di costruzione della statale 16. Riusciamo però a identificarli, dopo aver varcato l’accesso, su un pannello presente all’interno che riporta un rilievo del 1965 dello speleologo Franco dell’Aquila.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da questa illustrazione apprendiamo anche la particolare disposizione interna della chiesa: un’ampia struttura a ventaglio con quattro navate e cinque absidi. La pianta trapezoidale, con la base minore verso la porta di accesso, facilitava infatti la diffusione della luce solare all’interno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’intero ambiente, dalle pareti bianche e grigie, si mostra con un intricato quanto affascinante gioco di arcate ripetute. Le navate sono scandite da massicci e tozzi pilastri, alcuni crollati a terra e altri in parte erosi dal tempo, e da colonne con archi a ghiera che sorreggono il soffitto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questo si presenta piano (a eccezione dei vani presbiteriali a botte) e segnato da crepe causate dalle radici della vegetazione sovrastante. In alcuni punti è possibile anche trovare conchiglie fossili conservati nella calcarenite da milioni di anni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulle pareti laterali si aprono invece una serie di alte e strette nicchie aniconiche, cioè prive di immagini sacre. Eppure in passato erano certamente decorate come altre chiese rupestri pugliesi, ma l’incuria del luogo ha portato alla rovina totale degli affreschi. C’è anche chi racconta di aver visto persone, negli anni 50 del secolo scorso, rimuovere le opere dalle pareti per portarli chissà dove.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Ci spostiamo nella navata centrale. Qui, su una colonna, è possibile scorgere una piccola croce latina scolpita all’altezza del capitello. A circa due metri di altezza invece sono presenti dei fori rettangolari contrapposti destinati, un tempo, a sostenere delle travi di legno alle quali venivano appesi dei lumi e dei panneggi liturgici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Più avanti le due absidi centrali sono cinte dal muretto dell’iconostasi, alto circa un metro, che in passato separava l’area destinata ai fedeli (naos) da quella dove i sacerdoti officiavano il rito (bema) circondati da icone lignee con raffigurazioni dei santi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Infine, raggiungendo le nicchie di fondo dell’ambiente, possiamo trovare alcune tracce sopravvissute del glorioso passato della chiesa. Sulle grigie e scure pareti infatti sono ancora evidenti alcuni nomi di santi, scritti in rosso e contornati di bianco. Riusciamo a leggere Geronimo, Tommaso, Giacomo, Erasmo e infine Candida, la santa a cui è dedicato questo incredibile luogo che attende da anni di essere salvato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Giancarlo Liuzzi
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