di Giulia Mele - foto Nicola Lasalandra

Sacre vesti e antichi mestieri: a Bitetto c'è il particolare Museo della Devozione e del Lavoro
BITETTO – Attrezzi agricoli, arredi domestici, ricostruzioni di antiche botteghe e persino le vesti e le urne in cui fu conservato per secoli il corpo di Giacomo Illirico. Sono alcune delle molteplici testimonianze storiche presenti nel Museo della Devozione e del Lavoro di Bitetto: un’esposizione che offre un’immersione nella vita quotidiana del popolo pugliese del passato, mostrando al visitatore anche cimeli appartenuti all’amatissimo patrono della cittadina in provincia di Bari. (Vedi foto galleria)

Situato all’interno del Santuario del Beato Giacomo, il particolare museo fu inaugurato nel gennaio 2006 su iniziativa dei frati francescani del convento e del professore Lino Sivilli. A partire dal 1985, nei locali che in origine ospitavano le celle dei frati e le cucine del monastero, i religiosi cominciarono infatti a custodire ultensili datati tra il Settecento e i primi anni del 900. Si trattava di oggetti donati loro dai bitettesi e dei paesi limitrofi nel corso dei secoli e non più utilizzabili a causa dei cambiamenti sociali e storici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Animati dalla volontà di valorizzare il significativo patrimonio raccolto come testimonianza di mestieri ormai del tutto scomparsi, i frati decisero così di rendere visitabile al pubblico questa importante collezione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una mostra (comprendente un totale di 16 sale espositive) che noi abbiamo perlustrato, accompagnati dal parroco del santuario Vincenzo Dituri e dal presidente dell’Archeoclub di Bitetto, Luisa Palmisano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo dunque in via Beato Giacomo, strada su cui staglia l’omonimo monastero. Attraverso un varco alla destra del portale d’ingresso si accede al chiostro del complesso, lì dove si apre l’entrata al museo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una volta dentro si viene catapultati indietro di secoli. Il nostro sguardo viene infatti immediatamente catturato dalle rappresentazioni di una cucina costellata di antiche pentole, paioli, stadere e altri recipienti in rame, oltre che da una tipica abitazione ottocentesca comprendente una camera da letto e un soggiorno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In quest’ultima stanza è possibile notare due manichini abbigliati con costumi tipici dell’epoca di re Ferdinando IV di Borbone ideati dalla studiosa Rita Faure e realizzati dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo avere oltrepassato una una tradizionale cantina, principale luogo di ritrovo e socializzazione maschile, giungiamo in quella che, secondo la storia, sarebbe l’originale cella in cui viveva Beato Giacomo Illirico. Qui c’è anche un manichino ritraente il frate abbigliato con la veste del suo Ordine: è in ginocchio davanti a un’immagine della Vergine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Accanto vi è invece la bellissima ricostruzione di un’aula scolastica tipica degli inizi del 900, con tanto di banchi in legno e biblioteca. Mentre le sale successive sono tutte dedicate agli antichi mestieri. Si va dalla bottega del sellaio e calzolaio a quella del fabbro e del cestaio, passando per il vasaio, il barbiere e il carradore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Le due sale che visitiamo ora sono invece dedicate al lavoro femminile. La prima è un ambiente domestico in cui due manichini raffiguranti massaie sono intenti a lavorare la pasta. La seconda è un laboratorio di tessitura dedicato alla produzione di abiti sacri. Al centro vi è infatti un grande telaio ottocentesco che fa bella mostra di sé, assieme a macchine da cucire, filarelli per trattare la lana e riproduzioni di vestiti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguiamo per giungere a quello che può considerarsi il fulcro del museo. Si tratta della stanza dedicata al faticoso lavoro agricolo, testimoniato dai numerosi attrezzi per coltivare la terra che occupano i muri: zappe, aratri, rastrelli, picconi e falcetti. A occupare la scena vi è inoltre un grande traino ottocentesco usato dai contadini per il trasporto degli attrezzi e dei frutti dei loro raccolti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questo è anche il luogo dove viene rappresentata la Grotta della Natività del presepe vivente, messo su durante il periodo natalizio da attori che interpretano dal vivo le vecchie occupazioni. Sono visibili due statue ai fianchi di una culla in legno a raffigurare la Sacra Famiglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giungiamo infine nella sala più grande, adibita interamente alla conservazione di oggetti di devozione popolare provenienti da collezioni private o donati da altri conventi, tra cui ex voto, reliquiari, statue, opere d’arte e libri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La nostra attenzione viene però catturata da un elemento particolare: un antico e logoro abito francescano conservato all’interno di una teca di vetro. Si tratta dell’originaria veste con cui venne conservato il corpo del Beato fino al 1986, anno in cui fu sostituita con l’indumento indossato attualmente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Più avanti notiamo altri due elementi di grande interesse: le urne che custodirono per secoli le spoglie del Beato prima di venire sostituite dal reliquiario risalente al 1913. La prima, datata 1587 e realizzata in legno di abete, fu un dono del nobile Francesco Carafa, come si può evincere dalle lettere riportate sul fianco della cassa. La seconda, del 1650 e realizzata in ebano laminato d’argento, un regalo di Giangirolamo Acquaviva, famoso conte di Conversano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il Museo della Devozione e del Lavoro è visitabile gratuitamente prenotandosi al numero 080 9921063.

(Vedi galleria fotografica)


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