Bitetto, dita trafugate e alberi miracolosi: la storia del Beato Giacomo e del suo santuario
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martedì 31 agosto 2021
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di Giulia Mele - foto Valentina Rosati
Il religioso trascorse infatti gran parte della vita nella cittadina pugliese, indossando l’abito da giovanissimo e svolgendo le umili mansioni di cuoco, ortolano e addetto alla questua. Ma, cosa ancora più importante, qui compì alcuni dei miracoli (gli si attribuiscono oltre 60 guarigioni) che gli valsero la beatificazione nel 1700 (ma non la santificazione per via della non esaustività delle testimonianze).
La storia del santuario ebbe inizio nel 1432, quando papa Eugenio IV ordinò la costruzione di una chiesa con annesso convento per i frati minori osservanti su richiesta dell’arcivescovo di Bitetto. Anche se dal Seicento il complesso subì una serie di “passaggi di mano” e lavori di ristrutturazione che ne modificarono profondamente l’aspetto.
Siamo quindi andati a visitare il luogo di culto, meta di tante storie di devozione, raggiungendolo in via Beato Giacomo dalla Strada Provinciale 87. (Vedi foto galleria)
La sua facciata si staglia in fondo all’arteria, preannunciata da un grande segnale. «Si presenta con due ordini sovrapposti – ci spiega l’architetto Simone De Bartolo –: in quello inferiore si apre il portale d’ingresso architravato con trabeazione mistilinea, in quello superiore spicca il finestrone anch’esso mistilineo tipico dello stile barocco».
Il coronamento presenta dei pinnacoli ai lati e un fastigio “a baldacchino” che racchiude una statua della Madonna in gloria con angeli. Ai lati compaiono altre due sculture, rispettivamente di San Francesco e del beato Giacomo.
L’architrave del portale d’ingresso mostra inoltre un dettaglio interessante: uno scudo che rappresenta l’Illirico in estasi con angeli e in basso lo stemma dell’ordine francescano. «È un dettaglio che ricorre spesso nelle sue raffigurazioni – ci spiega il 40enne padre Vincenzo Dituri, parroco del posto –. Giacomo usava infatti ritirarsi per lunghi periodi in preghiera rivolte alla Vergine, fino a raggiungere uno stato di estasi. Pare sia stato visto più volte sollevarsi da terra».
Ma è arrivato ora il momento di entrare. Partiamo dalla chiesa, il cui interno è a tre navate con volte a botte ornate da stucchi barocchi e scandite da archi ellittici su pilastri. Alla destra del portale notiamo un antico affresco della Vergine inserito una nicchia. «Si tratta dell’unico frammento rimasto della cappella originaria - evidenzia padre Vincenzo -: un’edicola presso cui Giacomo si recava quotidianamente in preghiera».
Notevole è poi il dossale dell’altare maggiore, opera dell’ebanista e frate francescano Giuseppe da Soleto, in bronzo dorato riccamente decorato con un tabernacolo a tempietto e otto tele settecentesche, di cui la centrale raffigura il Perdono d’Assisi.
Ma il principale oggetto del nostro interesse si trova sul lato sinistro della cattedra, ed è la cappella dedicata al beato Giacomo, risalente al 1580. In fondo, poste in una teca in cima a un altare-reliquiario marmoreo, riposano le spoglie del francescano. Rinvenuto straordinariamente incorrotto nella cripta della chiesa a circa vent’anni dalla sua morte avvenuta nel 1496, il corpo del Beato è tuttora oggetto di diversi interrogativi medico-scientifici.
«Secondo alcuni sarebbe stato deposto in un ambiente asciutto che avrebbe favorito la conservazione, ma ciò non può essere vero perché fu rinvenuto nella cripta, che era un luogo umido – ci dice padre Vincenzo –. Un’altra ipotesi è che fosse stato posto in piedi anziché sdraiato, ma a giudicare dalla posizione dei piedi anche questa è una congettura errata. Per spiegare questo mistero non resta che la fede».
Due rampe di scale poste ai lati dell’altare ci consentono di salire su una passerella per osservare da vicino l’Illirico. I resti del religioso appaiono “mummificati” nell’abito del suo Ordine, con le mani incrociate sul grembo di cui la destra priva dell’indice.
Il dito si trova infatti in una seconda stanza a cui accediamo attraverso una porta sulla sinistra. Posto all’interno di una nicchia, è stato inserito in un reliquiario neogotico in seguito a un curioso episodio verificatosi nel 1619.
«La duchessa di Gravina, donna Felice Sanseverino, lo staccò con i denti nell’intento di portarlo con sé – racconta il presidente della Proloco di Bitetto Michele Mitarotonda –. Tuttavia un terribile temporale scatenatosi all’improvviso le impedì di fuggire col maltolto. La nobildonna confessò tutto al guardiano del convento e per scusarsi fece costruire un reliquiario che venne poi sostituito con l’attuale solo nel 1943».
Da allora ogni 27 aprile, giorno dedicato al beato, l’indice viene portato in processione per le strade del paese.
Usciamo ora dalla chiesa per entrare, tramite una porta alla destra dell’ingresso, nel chiostro del complesso. Qui è possibile ammirare gli affreschi raffiguranti episodi di vita del beato e di alcuni santi, ma soprattutto il primo dei due alberi oggetto di devozione popolare: si tratta di un arancio selvatico protetto da una struttura ottagonale a tempietto costruita nel Settecento.
Piantato dallo stesso Giacomo nel 1485, come si può evincere dall’iscrizione latina riportata sull’epistilio, è ritenuto un dono della Vergine. L’Illirico lo rinvenne completamente inaridito tranne che per un frutto che utilizzò per farlo rifiorire. E da allora per 450 anni l’albero diede i suoi agrumi che vennero distribuiti ai fedeli fino alla metà del secolo scorso, quando la pianta seccò definitivamente e ne rimase soltanto il tronco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attraversato un lungo corridoio giungiamo poi nel giardino del convento. Grazie ad alcuni cartelli direzionali, possiamo notare altri angoli d’interesse presenti all’interno del santuario come i luoghi di preghiera della "grotta di Lourdes" e della “cappella dell'estasi”, oltre a una fontana a cascata con la statua di San Francesco.
Qui si trova anche la seconda pianta prodigiosa: un ginepro comunemente noto come “il bastone del beato” che, secondo la tradizione, germogliò proprio dal bastone di Giacomo. I suoi frutti avrebbero avuto poteri curativi, tanto da venire utilizzati per preparare decotti da somministrare ai malati gravi. Anch’esso seccò nel secolo scorso ma il suo tronco si erge ancora nodoso verso il cielo, quasi come se volesse raggiungere colui che l’ha miracolosamente piantato.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Giulia Mele
Giulia Mele
Foto di
Valentina Rosati
Valentina Rosati