Casolari, palmenti e masserie: a Bitetto si nasconde un secolare ma dimenticato mondo rurale
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venerdì 24 settembre 2021
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di Gaia Agnelli e Gianmarco Di Carlo - foto Christian Lisco, Valentina Rosati
Con l’aiuto della Pro Loco Juvenilia Vivetum, associazione che si occupa della valorizzazione del patrimonio bitettese, siamo andati quindi alla scoperta di questo silenzioso mondo rurale. (Vedi foto galleria)
La tappa iniziale del nostro viaggio si nasconde nell’agro a sud-est dell’abitato, confinante con il comune di Sannicandro. Partendo dal centro di Bitetto percorriamo così per un paio di chilometri la Provinciale 90 per poi svoltare sulla Sp184. E dopo circa un chilometro e mezzo imbocchiamo sulla destra una stradina privata sul ciglio della quale troviamo la prima struttura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Si tratta di Torre del Marchese, una maestosa e solenne masseria fortificata che prende il nome da un nobile che la possedette: Nicola De Ruggero. «L’immobile fu però fondato nel XV secolo da Arcamone, vescovo e feudatario di Bitetto», ci spiega il 35enne Michele Mitarotonda, presidente della Proloco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il fabbricato, privo ormai del tetto, si sviluppa su due livelli, di cui il primo ospitava le stalle e gli ambienti destinati a uso agricolo e il secondo (non più accessibile in quanto pericolante) gli alloggi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varchiamo quindi l’ingresso dell’edificio per ritrovarci in una stanza ricoperta da un particolare soffitto a volta su cui sono disegnati dei cerchi concentrici. In un angolo scoviamo un profondo buco parzialmente nascosto da un’asse di legno: è l’imboccatura del deposito dell’olio. Sì perché il luogo ospitava un importante frantoio, la cui presenza è suggerita dalle quattro nicchie per i torchi a vite scavate nel muro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ora proseguiamo a piedi, immergendoci in campagna, sino a giungere davanti a una struttura la cui memoria si è persa nel tempo: nessuno infatti ne conosce nome e storia. Ma si tratta di un fabbricato attraente, circondato da fichi d’india e dotato di una grande apertura ad arco che ci invita al suo interno, rivelando un ambiente con volta a botte purtroppo usato come discarica per cassette, sedie rotte e frigoriferi dismessi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo un altro quarto d’ora di cammino sbuchiamo in strada Vicinale S.Andrea. Qui ci imbattiamo in un complesso formato da due edifici adiacenti: una chiesetta e un palazzotto. Quest’ultimo conserva ancora un balconcino protetto da un’inferriata e una finestra con le ante in legno. Su un architrave è riportato il nome del vecchio proprietario: Josephi Scoppetta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Risale all’800 – dichiara l’82enne Francesco Occhiogrosso, esperto del territorio – ed è noto come il Casino del Comandante, il soprannome dell’autoritario Scopetta. Pare che lui fosse un sacerdote, motivo per cui disponeva anche dell’adiacente chiesetta dell’Assunta».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Entriamo prima nella cappella, che originariamente era arricchita da un dipinto della Madonna di cui oggi non resta che la cornice in gesso. Mentre la residenza conserva ancora al piano terra una mangiatoia e al piano superiore (a cui accediamo tramite una scalinata esterna) un camino logorato dal fuoco, una mensola in pietra e una finestrella che si affaccia sui terreni un tempo del comandante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Riprendiamo ora l’auto per dirigerci dalla parte opposta di Bitetto. Siamo infatti a nord-ovest del centro, sulla provinciale 87 che conduce a Palo del Colle. La percorriamo per circa due chilometri e ci introduciamo in Contrada Chiusura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Superiamo a piedi alcuni uliveti per ritrovarci dopo una decina di minuti dinanzi a un semplice casolare sviluppato su un piano con entrate ad arco. L’ingresso nasconde però spettacolari ambienti: qui è infatti tutto un tripudio di archi e colonne che vanno a unirsi alla volta a botte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Il nome della struttura è Palmento dell’Abbazia – sottolinea Michele –, perchè erano presenti macine per grano e olive. Si tratta di un luogo molto antico, facente parte del feudo del monastero di Santa Scolastica e nominato per la prima volta nel 1189 in un atto notarile. Fu abitato per secoli dalle suore che poi, nel 1747, lo vendettero al barone Vincenzo Noja che lo trasformò in un cortile per i buoi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sul pavimento sono visibili i resti del frantoio: due vasche con buco per il torchio e le canaline di scolo che conducevano alle cisterne sottostanti. Un altro locale (oggi usato come discarica) mostra invece tracce del camino e del deposito che conteneva olio, uva e vino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Risaliamo in macchina per dirigerci sulla Provinciale 67 che porta a Bitritto, a est del centro. Dopo pochi chilometri svoltiamo per uno stretto viale: si tratta di strada vicinale Torre di Luzio, diramazione dell’antica via Traiana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
È in quest’area che si erge, maestosa, l’omonima torre fondata nel 700 dal vicario generale bitettese Giovanni Grazio de Luzio. Si sviluppa su due piani e presenta gli accessi tutti murati. A catturare la nostra attenzione è però una delle due nicchie presenti sul retro: mostra infatti i resti di un affresco che probabilmente ritrae San Nicola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ritorniamo infine sulla 67, proseguendo per quattro chilometri e dirigendoci sulla destra in una stradina che ci conduce davanti a un sito leggendario: il rudere della chiesa di San Marco.
«“Chiesa” perché alcuni ritengono che fosse un cenobio basiliano risalente all’epoca bizantina del VIII-IX secolo – sottolinea la nostra guida –. Anche se c’è chi invece pensa possa trattarsi dell’insediamento in cui vissero i primi bitettesi intorno al X secolo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il luogo è protetto da una recinzione, un varco però permette di avvicinarsi per osservarlo meglio. Notiamo quindi come il suo perimetro sia percorso da varie aperture ad arco, la più grande delle quali ci conduce in vari ambienti in pietra spesso senza tetto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un edificio però è conservato meglio: sembra una chiesetta con la facciata caratterizzata da blocchi di pietra sovrapposti e monofore a forma di arco a tutto sesto. All’interno ci imbattiamo in una stanzetta in cui i raggi solari filtrano timidamente da una stretta finestra. Ma in una nicchia è poggiato un triste contenitore in plastica per il vino, che in un attimo riesce a rompere la magia di trovarsi in un luogo millenario.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Marika Marone - Vedo che qualcosa finalmente si muove!! Nessuno me ne renderà merito ne sono consapevole, ma il mio obiettivo era quello di smuovere le coscienze dei Bitettesi e rendere noti, questi luoghi dimenticati dal tempo che sono memoria storica del nostro passato, delle nostre radici. E spero almeno che il paesaggio sia pulito !!!
- Vito Tricarico - Complimenti a Barinedita per tutti gli articoli che va raccogliendo per descrivere il territorio di Bari e delle città limitrofe. Questo mi ha particolarmente colpito perché conosco i siti descritti. Alcuni li ho visitato nei miei giri in mountain bike, altri insieme all'amico Occhiogrosso di Bitetto. Ho vissuto una simile esperienza un pò di anni fa con PaloLive.it giornale per il quale raccolsi le descrizioni del territorio palese. Non mi stanco mai di ripetere che occorre rendere partecipi i proprietari e gli Amministratori comunali, che possono, alcune volte, intervenire per la salvezza di questi monumenti della storia locale. A Palo del Colle esistono due storiche masserie che meriterebbero l'intervento del Comune per l'acquisto (con pochi soldi) e la messa in sicurezza : Masseria Ferro legata all'esproprio forzato del conte Giangirolamo Aquaviva d'Aragona e Masseria San Domenico acquisita e poi venduta dal nostro Comune dopo le leggi murattiane del 1810 ...