Putignano, Santa Maria la Greca: la chiesa da cui ha avuto origine il famoso Carnevale
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martedì 3 novembre 2020
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di Giancarlo Liuzzi - foto Valentina Rosati
Il tempio, al suo interno, custodisce una testa d’argento chiusa in una nicchia. In quel manufatto ci sono le ossa del cranio di Santo Stefano, ospitate un tempo presso l’omonima abbazia sul mare di Monopoli. Il 26 dicembre del 1394, durante l’invasione del Meridione da parte degli Ottomani, dal convento benedettino di Monte Laureto partì un manipolo di uomini che andò a recuperare la preziosa reliquia per metterla in salvo da un eventuale saccheggio ad opera dei turchi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Leggenda vuole che, nel viaggio di ritorno a Putignano, il gruppo cominciò a cantare e ballare, festeggiando la traslazione della salma. I contadini delle campagne vicine, vedendo questo corteo, lasciarono il lavoro e si aggregarono ad esso con cibo e bevande. Arrivati in città le ossa vennero depositate a Santa Maria e dal ricordo di questo allegro corteo nacque il celeberrimo Carnevale, celebrato ininterrottamente ancora oggi, a distanza di 626 anni da quel giorno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo quindi andati a visitare questo tempio, aperto purtroppo raramente dalla Confraternita della Santissima Trinità che la gestisce. Un vero peccato, perché al suo interno oltre alla sacra reliquia è possibile ammirare statue in legno del 500, altari monumentali e un’antica icona bizantina. (Vedi foto galleria)
Raggiungiamo quindi la chiesa nella parte nord del centro storico, lì dove in un piccolo slargo di via Santa Maria svetta la sua facciata in pietra bianca restaurata nel 2008, coperta però da un’invadente luminaria non rimossa dopo una recente sagra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il prospetto, diviso orizzontalmente da un cornicione, si apre nel secondo ordine con un finestrone a vetri colorati sulla quale si eleva il fastigio decorato con cornicioni ed eleganti volute. Mentre le due porte laterali all’ingresso principale sono sormontate da due finestre ovali impreziosite da fregi e decori a coppe.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«L’originaria chiesa è del XII secolo – ci illustra Luigi Cino, presidente della Proloco di Putignano -. Successivamente fu ristrutturata più volte sino ad assumere l’aspetto attuale. Le modifiche maggiori si ebbero nel 1771, quando l'impianto originario venne trasformato a croce greca con annessa cupola al centro. In quell’occasione venne anche realizzata la facciata barocca».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’interno è sobrio: eccetto per i variopinti altari laterali e qualche dipinto, le pareti e il soffitto della chiesa si presentano con un tenue color crema segnato a tratti dai decori bianchi delle alte colonne. Queste portano, in una serie di cornici e volte, ai finestroni della cupola dai quali tutta l’edificio prende luce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La struttura di 36 metri per 17 è suddivisa in tre navate. La centrale porta al presbiterio diviso da quest’ultima da un’elegante balaustra in marmo e articolata su due piani collegati da scale. Le laterali invece, divise da arcate, raccolgono altari del 700 di scuola napoletana in marmo policromo con decori e fregi impreziositi da dipinti e statue.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il più appariscente di questi è sicuramente quello centrale della navata sinistra, sovrastato da un’imponente struttura in marmo verde e con intarsi dorati che si innalzano in un timpano dominato da uno stemma con un’aquila e sormontato da un putto. In mezzo fa mostra di sé una statua in legno su sfondo stellato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«È Santo Stefano, primo martire cristiano e protettore di Putignano – ci illustra Luigi -. La scultura è del 1656 e lo raffigura con una palma in mano e tre pietre nell’altra, a ricordare la sua lapidazione. Ma è lì in basso a sinistra che si trova il tesoro più prezioso di questa chiesa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Al lato del monumento, dietro delle candele, notiamo infatti un piccolo altare con colonnine e al centro una testa di argento chiusa in una nicchia. Si tratta della reliquia del santo, quella che come detto ha dato origine al famoso Carnevale di Putignano, una delle più antiche festività di tutta Europa, celebrato ogni anno con i rinomati carri allegorici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Colpiscono poi in un angolo due statue in legno innalzate su un supporto. «È un compianto - dice il presidente -: un gruppo di figure che richiama il momento della morte di Cristo, l’unico presente in tutta la Puglia di quel periodo. Risale al 500 ed è stato ritrovato qualche anno fa nei depositi della chiesa. Ci sono la Vergine con in braccio l’esile corpo del figlio appena deceduto e alla sua destra San Giovanni Battista». Faceva parte del gruppo scultoreo anche una terza figura, Maria Maddalena, smarrita però misteriosamente a inizio del 900.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Raggiungiamo infine l’altare centrale, diviso su due livelli. L’inferiore si mostra con pregevoli intarsi di pietra policroma e arricchito da statue di angeli e festoni scanditi da tre lunette in vetro. Quello superiore, che presenta ancora il pavimento in maiolica del 1751 decorato con motivi vegetali e floreali, si raggiunge attraverso delle scale laterali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ed eccoci davanti alla parte più alta del grande altare, che si innalza tra i due gruppi di canne dell’organo. Al centro del monumento marmoreo si staglia un quadro: mostra la Vergine che veste il “maphorion”, abito greco utilizzato dalle suore di colore violaceo. Ha in braccio Gesù bambino benedicente con in mano un rotolo di carta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Raffigura la Madonna dell’Odegitria – sottolinea Cino -. Si tratta di un’icona bizantina probabilmente del XIV secolo, molto simile al dipinto della Madonna della Madia presente nella Cattedrale di Monopoli. Secondo il racconto approdò sulle coste adriatiche nel 1117, su di una zattera». C’è però chi sostiene che quella di Monopoli sia in realtà la copia e questa l’originale, portata a Putignano dall’abbazia di Santo Stefano assieme alla reliquia di Santo Stefano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Veniamo ora guidati da Donato, il custode dell’edificio, alle spalle della cattedra maggiore. Qui è situata un’altra piccola cappella dove, assieme alla più recente e solenne statua d’oro e argento di Santo Stefano, sono presenti le antiche sculture di San Pietro, San Paolo, Santa Margherita e Santa Caterina d’Alessandria, le quali probabilmente decoravano in passato la facciata della chiesa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma le sorprese non finiscono qui. Ritornando sui nostri passi notiamo una botola in marmo sigillata. Un tempo, aprendola, si entrava in un canale sotterraneo che collegava la chiesa con il convento di San Domenico, situato oltre le mura del centro storico a 350 metri di distanza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E questa è l’ultima chicca di Santa Maria la Greca: un luogo che tra leggende e opere d’arte racconta la lunga e gloriosa storia di Putignano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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I commenti
- Vito Petino - RAGAZZA DI PUTIGNANO VEDEVA LA MADONNA, E IL MIRACOLO SI AVVERÒ (da Prendere la vita a calci) Il sabato sera di quel freddo febbraio ci costrinsero a letto prima del solito. Mamma disse che ci saremmo alzati presto la domenica mattina. Mio padre in settimana aveva letto sulla Gazzetta una storia che da un po’ girava, solleticando la credulità religiosa del popolino. - Probrij iosc, passann da Putignan, sim vist do tren atturn alla stazion na fodd ca non frnev ma’, disse. - Ma iè vver che chedda uagnedd d Putignan ved la Madonn?, intervenne mamma. - Prcé, tu ngi crid? - Fra’, stam sott o cil e nu mraghl iè possibl, mentì mia madre. Non era mai stata assidua frequentatrice di chiesa, nemmeno della nostra parrocchia. Ai nostri battesimi, comunioni e cresime, per non so quale falsa norma religiosa in uso all’epoca, le madri non potevano accompagnare i figli in chiesa. Nei nostri primi anni avevamo visto nostra madre in chiesa solo a matrimoni di nipoti e ai primi sacramenti dei loro figli. E quando capitava che uno di noi si ammalava, pregava per procura. Di solito si rivolgeva a zia Mamma, che viveva con noi, anzi eravamo noi a vivere in casa sua. - Z Marì, ada sci alla chis? Meh, p favor fa na preghir p me a Sand’Andoggn e alla Madonn Addolorat p fa sta bbun u pccninn. Di solito nelle domeniche invernali mio padre non usciva per dedicarsi al suo unico passatempo, la pittura. Piazzava tela, cavalletto, cassetta dei colori e tavolozza vicino la finestra e in un angolo, fra vetro e legno, fissava una cartolina da cui traeva il soggetto per il quadro. Mio padre usciva di casa per andare al lavoro ogni mattina alle cinque, tornando alla stessa ora del pomeriggio. Il tempo di fare l’unico pasto quotidiano e andava a letto per risvegliarsi riposato la mattina dopo. Naturalmente, la colazione mattutina la faceva per strada, fermandosi al bar; e dietro per la seconda colazione più sostanziosa di mezzogiorno si portava la gavetta d’alluminio con primo e secondo; la bottiglia di vino da mezzolitro ben sigillata non mancava mai nella borsa che custodiva il tutto. Quindi gli unici momenti in cui mamma poteva informarlo sull’andamento dei fatti familiari era la sera a letto. Nella stagione buona, con qualche ora di luce in più, si concedeva un paio d’ore da dedicare a noi. No so, dunque, che discorsi abbia fatto mamma a babbo nelle sere precedenti il sabato, vigilia della gita a Putignano, per convincerlo a partire. Certo è che mio padre quella sera, seduto al tavolo, stava controllando le nostre tessere ferroviarie. - Domani facciamo una gita a Putignano, disse stringato. La domenica mattina alle sei sveglia, alle sette e mezza uscimmo di casa, fatto il mezzo isolato che ci divideva da via Emanuele Mola, percorremmo i due isolati che conducevano al passaggio a livello, in fondo alla via, mamma con Elvira in braccio, io e Lilli attaccati alle due mani forti di mio padre. Il canto degli uccelli che svolazzavano nel giardino dell’Istituto Santa Rosa ci salutò al nostro passaggio. L’odore di cucina, che usciva dalle finestre a piano terra del corpo di fabbrica del Distretto Militare, che si allungava da via Tanzi alla via Emanuele Mola, ci entrò nelle narici misto alla fresca aria mattutina. Attraversammo i binari delle Ferrovie dello Stato, ci accostammo a quelli della Ferrovia del Sud Est, seguendoli lungo la stradina sterrata che li costeggiava, per poi curvare verso la stazione della Sud Est di via Oberdan, dove Babbo ci lasciò con mamma per andare a timbrare le tessere di viaggio. - Per convincerlo a uscire ho detto a Babbo che voglio fare un voto alla Madonna per avere una casa nostra. Se non gli dicevo così, quelle tessere non le avremmo mai usate, come ogni anno. E poi una volta tanto abbiamo diritto di uscire tutti insieme. E con questa santa bugia partimmo per Putignano. Il treno era affollato e a ogni stazione successiva saliva altra gente. Da Mungivacca, Triggiano, Capurso, Noicattaro, Rutigliano, Conversano, Castellana, tutti volevano sentire, guardare, possibilmente toccare, la ragazza che sul soffitto della sua stanza vedeva l’immagine di Maria Immacolata. Si arrivò a Putignano stipati. Meno male che mio padre aveva detto a un collega di tenerci due panche tutte per noi, sennò avremmo fatto il viaggio in piedi. Alle nove eravamo nella piazzetta della stazione, cercando di farci largo. Man mano che si avanzava la folla aumentava. Arrivati vicino al porticato di un edificio, mamma sempre con mia sorella di sei mesi in braccio, io e mio fratello con le mani strette nella morsa di quelle di Babbo, non ci riuscì più di andare oltre. Ci fermammo in attesa. A un certo punto dalla folla partì un boato e mia madre che diceva più forte che poteva. - Fra’, Frangh, la vit! Chedda uagnedd vstut d bbiangh, o s-cond pian du palazz dirimbett, iè chedd ca ved la Madonn. S ved pur u soffitt dlla stanz, ma sott non ng sta nsciuna Madonn. Babbo, sempre chiuso nel suo silenzio scettico, al nostro “voglio vedere pure io”, ci prese sulle sue spalle, uno per lato, portandoci al miglior punto di vista del luogo. Dal metro e ottanta di mio padre, più le nostre mezze altezze, stavamo in ottima postazione per vedere la folla sotto di noi e la finestra che mamma ci indicava più vicina. Ma non capimmo proprio nulla dei segni che quella ragazza faceva verso la folla. Un quarto d’ora dopo mia madre disse. - Fra’, ng n ptim sci. Pnzav, c sap c sand aveva iess. Na uagndozza normal. Passeggiamo per il corso, facemmo colazione in un bar del centro e all’una andammo a pranzo in una trattoria vicino la stazione, dove mio padre si fermava, se invitato da qualche superiore, quando era in trasferta. Mangiammo bene e con calma, Elvira dal seno di mia madre. L’ultimo treno per Bari partiva alle quattro del pomeriggio. - Se lo perdiamo, ci tocca aspettare il pullman delle nove stasera. La domenica i treni fanno orario ridotto. Non possiamo arrivare a casa troppo tardi. Io devo alzarmi presto, e voi pure per andare all’asilo. Anni dopo la stessa Gazzetta riportò di nuovo in primo piano, nella pagina di cronaca, una notizia sulla “ragazza che vedeva la Madonna”. “Oggi la signora di Putignano, che quindici anni fa vedeva Maria Immacolata, è felicemente sposata e madre di tre figli”. Il miracolo per lei era avvenuto. E in abbondanza pure…