Altamura, tra "cattedrali" e "polpi" la discesa nella magnifica Grotta Torre di Lesco
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venerdì 16 ottobre 2020
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di Eva Signorile - foto Antonio Caradonna
La cavità è stata scoperta nel 1951 e da allora non è mai stata visibile al pubblico: troppo piccola e fragile per permetterne l’ingresso a un alto numero di persone. Noi però grazie al nullaosta fornitoci dall’Anas, proprietaria del sito e all’aiuto di tre speleologi del Cars (Centro Altamurano Ricerche Speleologiche), abbiamo avuto accesso a quello che rappresenta un gioiello geologico della Puglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per raggiungere Torre di Lesco imbocchiamo la statale 96 sino ad arrivare quasi all’ingresso di Altamura. Siamo all’altezza di una grossa industria di divani: la Soft Line. Posteggiamo la macchina nell'area antistante la fabbrica e ci incamminiamo lungo uno stretto sentiero sterrato che costeggia la ferrovia, fino a raggiungere dei campi compresi fra due cavalcavia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qui ci viene incontro Giovanni Dinardo, presidente del Cars, che ci invita a iniziare il rituale della "vestizione". Altri due speleologi, Enza Berloco e Vito Tragni, ci passano tute, guanti e caschetti, che indossiamo. Ci inerpichiamo quindi lungo una breve altura per raggiungere una struttura in cemento armato posta di fianco alla statale 96 e protetta da una rete in ferro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le guide aprono un lembo della recinzione e ci fanno passare oltre, su un basamento, lì dove si trova un pesante tombino rettangolare: è il passaggio per raggiungere l'ingresso della grotta. Dobbiamo quindi calarci lungo una scala a pioli per entrare nei meandri della terra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci ritroviamo così in una sorta di tunnel in cemento che ricorda un bunker. Percorriamo il breve corridoio, che ci porta davanti a un pozzo oscuro profondo tre metri. E qui siamo costretti nuovamente scendere, aiutandoci però solo con una corda fissata a una parete e facendoci luce con i faretti presenti sui caschi. Raggiungiamo così la prima parte della cavità e ciò che ammiriamo ci ricompensa della fatica della discesa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ovunque ci sono formazioni geologiche impressionanti e sulle nostre teste pendono fitte strutture calcitiche dalle sfumature dorate. «Noi le chiamiamo "fette di prosciutto"», evidenzia scherzosamente Enza. Il loro colore, in effetti, ricorda proprio quello del rivestimento del crudo. Sono numerosissime e a tratti intervallate da tante piccole e preziose stalattiti in fase di crescita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Capiamo subito di essere nel regno dell’acqua. L’oro blu scorre lentamente lungo le pareti, oppure gocciola dalle stalattiti con lentezza o imperla le “fette” che ci sovrastano, luccicando quando il fascio dei fari la accarezza. Perché è lei che ha creato questo capolavoro nel segreto della Terra, con la viva collaborazione del calcio: le strutture che ci circondano sono infatti figlie dell'unione di questi due instancabili "architetti".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Scendiamo ancora un po' e Giovanni ci indica alcune curiose composizioni globulari biancastre, simili a dei popcorn. «Sono cristalli di aragonite - ci spiega lo speleologo –: un minerale costituito da carbonato di calcio». Il nome nasce dalla regione spagnola dell'Aragona, da cui provengono i primi campioni classificati alla fine del 700.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Scopriamo però presto che dobbiamo scendere ulteriormente. Pur essendo di piccole dimensioni, la grotta è infatti piuttosto articolata, caratterizzata da un ambiente unico che si è sviluppato su livelli diversi. Avanziamo con cautela, fiancheggiando stretti incavi nella roccia e grosse stalagmiti, mentre veniamo sovrastati da “cortine” e stalattiti. Qua e là i faretti illuminano affascinanti scenari misteriosi, nascosti dietro qualche "colonna" o situati in fondo a stretti passaggi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E finalmente raggiungiamo il fondo della cavità, lì dove l'acqua ci riserva la più bella delle sorprese: un piccolo e inaspettato laghetto in cui si riflettono, vanitose, le formazioni calcitiche circostanti. Siamo nella zona più spettacolare di tutta la grotta, non a caso definita "La cattedrale". Un luogo in cui la natura si è sbizzarrita nel creare delle vere e proprie sculture dalle sembianze quasi barocche, con maestose colonne che sembrano reggere l'operatissimo soffitto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lungo la parete scivola poi una ricca "colata" calcitica. «La chiamiamo "polpo"», afferma Enza. A noi però dà più l'idea di un'immensa medusa pronta a prendere vita da un momento all'altro. In un angolo scopriamo anche un'abbondante "fioritura" di stalattiti eccentriche, una delle principali caratteristiche di questo posto. Mentre tutt'intorno è un allegro risuonare di gocce d'acqua che cadono ritmicamente dall'alto e scandiscono il tempo dei nostri respiri.
Osserviamo ancora le pareti e notiamo degli strani segni orizzontali. «Sono il risultato di antichi terremoti - sottolinea Vito -: “cicatrici” che questi eventi traumatici hanno impresso nella roccia». Su alcune di esse si sono però creati rilievi, gobbe e "gocce di pietra", quasi a voler pietosamente coprire lo sfregio. E non sono le uniche “ferite” di Torre di Lesco. Stalattiti e stalagmiti, anche di grosse dimensioni, mostrano mutilazioni delle punte: sono i resti dei furti perpetrati negli anni da visitatori indesiderati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Restiamo a lungo nella cattedrale, godendo dei riflessi dorati delle “statue” intorno a noi. Ma alla fine arriva il momento di andare via. Percorriamo così il tragitto a ritroso, per andare a riemergere da quello stesso tombino che, come una porta per l’aldilà, collega il mondo esterno alle viscere della Terra.
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