di Laura Villani - foto Antonio Caradonna

Eleganti sale e incredibili affreschi: è il tesoro nascosto del Palazzo di Città di Bari
BARI - Annunciato da una semplice iscrizione sul suo portone d’ingresso, quasi sfugge all’occhio dei baresi, ricavato com’è nella struttura del Teatro Piccinni e frequentato da giornalisti e politici più che da residenti ed elettori. Eppure Palazzo di Città, la sede del Comune di Bari, nasconde al suo interno quattro elegantissime sale arricchite da incredibili sculture, ritratti e affreschi. Un tesoro sconosciuto ai più che siamo andati a visitare. (Vedi foto galleria)

L’edificio si trova nel murattiano, in corso Vittorio Emanuele ad angolo con via Roberto da Bari. È sede del municipio “solo” dalla seconda metà dell’800. Anticamente infatti il governo barese si riuniva nel Palazzo del Sedile, in Piazza Mercantile, dal quale si trasferì all’inizio dell'XIX secolo nello stabile del vescovo Rosimanno Casamassimi, in quella che è ancora chiamata (appunto) strada Palazzo di Città. Anche quella sistemazione si rivelò però inadeguata, tant’è che nel 1863 il Comune si decise ancora una volta a cambiare “casa”.

Scelse dunque di trasferire i suoi uffici in un' ala del teatro Piccinni, inaugurato nel 1854. Doveva trattarsi di una sistemazione provvisoria, perché all’inizio del 900 si pensò di costruirne un’altra ex novo in via Cairoli, lì dove era stata ospitata la succursale della Banca d’Italia. L’idea fu scartata sia per ragioni economiche sia per non allontanare il municipio da un altro importante centro amministrativo: la Prefettura. Si decise piuttosto di aggiungere un secondo piano alle aree attorno al primo tempio musicale barese per fare spazio al sindaco e ai suoi uomini. I lavori terminarono definitivamente nel 1915.

Oggi il Palazzo si presenta come un prolungamento del Piccinni. L’iscrizione in lettere di bronzo sormonta la lunetta del portone, la quale si apre nella fascia in bugnato color terra della struttura. Accedendo nell’androne, la scena viene rubata da quattro possenti sculture: sono i telamoni del palazzo della Gazzetta, unici superstiti dello scellerato abbattimento dello splendido edificio in stile liberty di cui facevano parte.

Il vestibolo sfocia in un cortile, ma noi ci fermiamo all’altezza di una porticina a destra che ci introduce a una scalinata di marmo. La nostra meta si trova infatti al primo piano, dove un ingressino bianco separa i semplici ambienti amministrativi dalle aree più istituzionali.

Accediamo subito alla Sala Massari. Si tratta di un’ampia “sitting room” in cui trovano posto un basso tavolino, sedie e un appendiabiti-portaombrelli d’epoca. Muri e tendaggi la decorano di un broccato dalle sfumature calde d’ocra  conferendole un’aria rilassata e accogliente: qui si resta in attesa del sindaco o dei consiglieri, vegliati dai ritratti di pugliesi illustri che adornano le pareti.

Costeggiano la seconda delle tre porte-finestre due busti, uno marmoreo di Giuseppe Massari scolpito dal romano Emilio Tadolini e uno bronzeo di Giuseppe Re David in uniforme da ministro, opera dell’irrequieto Filippo Cifariello.

Alla nostra destra, il più bonario bronzo del politico Renato dell’Andro ci separa dal Gabinetto del sindaco, la più “segreta” delle stanze: è infatti difficile che questo piccolo e vissuto ufficio appaia in televisione con la stessa frequenza delle aule della Giunta o del Consiglio.


Qui domina il color oro tenue delle pareti, anch’esse tappezzate di tessuto operato richiamato dalle tende, e l’occhio non può fare a meno di perdersi tra i mille dettagli. Doni e souvenir affollano l’antica consolle, come l’ottocentesca scrivania intagliata di stemmi e sagome, tra cui quella dell’immancabile Barione.

A colpire però è soprattutto il soffitto, affrescato dallo stesso Nicola Colonna del teatro Margherita nei primi anni del Novecento. È facile riconoscere la sua mano guardando i putti che reggono svolazzando lo stemma bianco e rosso cittadino, grappoli d’uva e ramoscelli di ulivo in uno scorcio di cielo azzurro racchiuso da allegorie dei quattro continenti, maschere e festoni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Anche qui, in un medaglione decorativo, riconosciamo un piccolo Barione nel complesso di pitture
che sembrano scolpite grazie a sapienti ombreggiature.

È arrivato il momento di recarci nella Sala di Giunta, dall’altro lato della Massari, così chiamata perché accoglie attorno al suo grande tavolo ovale le giunte comunali, anche se viene utilizzata pure per le conferenza stampa. Sono qui disposti su tre pareti i ritratti dei sindaci defunti della città. La quarta è invece occupata da due alte porte-finestre e una consolle settecentesca con specchiera intagliata a mano nella quale si riflette il lampadario centrale in vetro di Murano.

Da qui entriamo nella Sala Consiliare, un tempo “sala del teatro”, giudicata dallo storico Vito Melchiorre una delle più belle della città. È scandita da semipilastri e parati damascati cremisi, ma il suo “pezzo forte” sono gli affreschi di Mario Prayer, realizzati negli anni Trenta su incarico del commissario straordinario Vincenzo Vella.

La volta, danneggiata da un bombardamento del 1943 e poi ricostruita, è divisa in tre scomparti con rosoni centrali di stucco. Un grande fregio lunettato alterna pannelli racchiudenti vittorie alate a diciotto personificazioni di arti e mestieri: la leggenda vuole che per molte delle figure il pittore abbia preso a modello il politico barese Araldo di Crollalanza.

La lunetta centrale, al di sopra dello scranno del sindaco, rappresenta infine una donna in trono vestita di blu e bianco che regge lo scudo bicolore con una mano e un timone con l’altra: si tratta di un’allegoria della città di Bari.

L’ambiente ospita i seggi dei consiglieri dal 1867, anno in cui l’artigiano Giuseppe Giannelli li realizzò assieme allo stemma ligneo del capoluogo pugliese. Gli stalli, ormai logorati dall’uso, furono sostituiti nel 1971, ma il simbolo fa ancora bella mostra di sé in corrispondenza della postazione del primo cittadino, sormontato da una corona a cinque torri e sostenuta da due rami laterali d’alloro e di quercia.

A sinistra possiamo scorgere la tribuna della stampa sopraelevata, limitata da un cancelletto di ferro. Vi entriamo, per godere di una vista impagabile su quello che è il più rilevante spazio di rappresentanza democratica della città.  

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  • vito petino - Ben 48 dei miei 75 anni li ho trascorsi nelle sale di questo splendido Palazzo di Bari. Già nel 1971 percorrevo i lunghi corridoi del secondo piano, dov'erano all'epoca allocati gli uffici delle ripartizioni edilizie, per l'approvazione di realizzazioni urbanistiche. Nel mio quotidiano peregrinare da libero professionista fra un ufficio e l'altro tanti colleghi tecnici dell'amministrazione comunale mi hanno delucidato sull'iter burocratico più spiccio da seguire. Alcuni amabili, altri seriosi, qualcuno burbero e qualcun'altro spiritoso, ma oggi tutti cari nel mio cuore. Parlo di te, ingegnere, di te, architetto, di te, geometra e di tanti altri tecnici. Senza mai dimenticare amministrativi e politici, altrettanto cari. Non serve farne l'elenco, i nomi son tanti e tutti nei miei pensieri più grati. Grazie al loro aiuto ho potuto esercitare la mia professione circondato da tante persone capaci e preparate. Soprattutto quando la fatica è aumentata con il tourbillon che ero costretto a fare a causa della suddivisione degli uffici tecnici in quartieri sempre meno centrali. Dapprima in via Villari 50, e in seguito alla via Abbrescia 86, senza contare le mattinate in via Giulio Petroni presso la Ripartizione Edilizia Pubblica per le autorizzazioni impiantistiche. Le corse per ulteriori autorizzazioni di competenza circoscrizionale nei rispettivi uffici sparsi per la città. In questi edifici è stata fatta la storia urbanistica della Bari anni 1971/2019. Ma il momento più bello era quello del sabato pomeriggio al campo Bellavista dove si tenevano accanite gare di calcio fra tecnici interni ed esterni. Vero, amici? ...


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