Il Piccinni riapre dopo nove anni: viaggio alla scoperta del teatro più antico di Bari
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mercoledì 27 febbraio 2019
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di Federica Calabrese e Laura Villani - foto Antonio Caradonna
Il politeama si erge maestoso, con il suo portico colonnato e il suo timpano a spiovente, su corso Vittorio Emanuele, all’incrocio con via Roberto da Bari. La sua edificazione iniziò ufficialmente nel 1840, dopo che il teatro cittadino ubicato nel Palazzo del Sedile fu chiuso per la minaccia di un imminente crollo. Il Comune decise così di costruire una nuova sala, di fronte al Palazzo della Prefettura.
I lavori furono affidati ad Antonio Niccolini, già progettista del San Carlo di Napoli. La spesa ammontò a quel tempo a 40.000 ducati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma a pochi mesi dall’inaugurazione sorse una controversia: a chi si doveva intitolarlo? Venne proposto inizialmente il nome di Maria Teresa, consorte di re Ferdinando, ma l'idea venne osteggiata nella riunione decurionale. E così si arrivò alla data di apertura del 4 ottobre 1854 senza un denominazione ufficiale, che arrivò finalmente nel gennaio del 1855, quando i cittadini vollero dedicare la struttura al musicista barese Niccolò Piccinni.
Da quel momento il politeama vide esibirsi artisti di fama internazionale, da Giacomo Puccini al direttore d’orchestra Antonino Palminteri e per 156 anni rappresentò un simbolo della vita culturale barese. Fino al 2010, quando fu costretto a chiudere i battenti per necessari lavori di restauro e adeguamento impiantistico. Lavori che però, tra vari contenziosi e insufficienza di fondi, si sono prolungati fino ad oggi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ora ciò che appare finalmente agli occhi dei baresi è un magnifico edificio dalla facciata tripartita restituita alla bellezza di un tempo (foto 1). Il prospetto neoclassico si innesta su due diversi ordini: quello inferiore è costituto da quattro colonne doriche scanalate e due pilastri laterali, mentre il superiore è caratterizzato da un loggiato con colonne ioniche su cui poggia un timpano triangolare (2).
Il motivo della loggia, con paraste laterali schiacciate e semplici riquadri per bassorilievi con amorini danzanti, richiama lo stile napoletano di metà 800. All’interno del timpano, su sfondo rosso, campeggia lo scudo simbolo della città di Bari (3).
Varcato il portale centrale, ci ritroviamo in un androne caratterizzato dal marmo del pavimento e delle decorazioni (4), tra cui un bassorilievo che mostra i profili di celebri musicisti (5). Saliamo quindi quattro gradini, costeggiati da due sfingi con pavoni speculari usati come lucernari (6). «Si tratta delle figlie egizie di Mnemosine, personificazione mitologica della Memoria – ci spiega Caterina Rinaldo, volontaria Fai Giovani e guida della visita –. Rappresentano la memoria della civiltà egizia: perchè il Teatro è memoria della vita e rappresentazione del mondo. Furono realizzate da Gaetano Granieri nel 1913 su disegno di Antonio Niccolini».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo ora nel vestibolo ottagonale: di fronte a noi una porta rivestita di rosso permette l’accesso alla sala (7). Entriamo. Ci ritroviamo così in un sontuoso scrigno pregiato, animato dalla presenza di figuranti vestiti con abiti ottocenteschi (8). L’ambiente è a forma di ferro di cavallo, in linea con la tradizione del “teatro all’italiana” in voga a partire dalla fine del XVIII secolo (9).
La platea, divisa in due corridoi laterali, ospitava originariamente sedie in ferro dipinto di color bronzo con ornamenti di ottone e cuscini di pelle. Oggi vi sono invece 290 poltroncine rosse imbottite che poggiano su una pavimentazione in moderno parquet di massello rovere (10). La capienza totale, compresi i palchi, è di 775 posti.
A rubare la scena di fronte al palcoscenico è il magnifico Palco Regio (11), lì dove si sedettero Francesco di Borbone e Maria Sofia Amalia nel 1859 e Umberto I di Savoia e la regina Margherita nel 1878 (12). Dominato da una corona sommitale e la riproduzione di tendaggi laterali, è realizzato con carta da parati vellutata color rosso alizarina, impreziosita da una lamina d'argento che gli conferisce lucidità e dalle frange dorate (13).
Spostando lo sguardo verso l’arcoscenico notiamo due angeli in tiglio e cartapesta dorati che reggono lo stemma comunale (14) e, nell’immediato sottarco a cassettoni, il vecchio simbolo della città: il Barione (15).
Risalendo ancora verso il soffitto, l’occhio è rapito dal ricco velario bianco a frange e nappe d’oro, decorato con bassorilievi dorati a festoni, nastri, palmette e trionfi musicali (16). La copertura centrale è un tripudio di delicate tinte pastello e figure che rispecchiano il tramonto nell’ideale neogreco di bellezza e perfezione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Realizzato dal pittore campano Luigi de Luise e dallo scenografo Leopoldo Galluzzi, il disegno mostra sullo sfondo di un cielo terso il dio delle arti Apollo col cavallo Pegaso e più in basso, adagiate sulle nuvole, le Muse. Stemmi e ornati a bassorilievo con oro di Francia racchiudono la figura in un cerchio prezioso (17).
Infine sul fondo del palco fa bella mostra di sé il ritrovato “comodino”, ovvero un tipo di sipario decorato che si chiude al termine di ogni atto per nascondere le operazioni del cambio di scena (18). Si tratta di una tempera su tela realizzata nel 1913 dal pittore barese Antonio Lanave: lasciata in abbandono per sessant’anni, può mostrare oggi un ninfeo classico e la vasca di una fontana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
È arrivato ora il momento di lasciare la sala, ma prima ci aspetta un’ultima scoperta. Salendo fino al settimo piano, il lusso di stucchi e dorature lascia spazio a un solaio in legno con la sua copertura a falde (19). «Siamo nel sottotetto del teatro: l’ambiente soprastante il palco e la platea - sottolinea Caterina -. È costituito da una successione ordinata di capriate composte “alla palladiana” (20). Qui si svolgevano attività legate alla produzione scenica».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Questo ampio e suggestivo spazio potrebbe essere adibito in futuro a sala prove, museo o sede di esposizioni temporanee. Un modo per restituire vita al Piccinni, tempio della cultura negato per troppo tempo ai baresi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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I commenti
- Emanuele Zambetta - Mitico Teatro Piccinni, bentornato! Lunga vita a te!