di Annarita Correra

Affascinanti, storiche e retrò: a Trani un museo dedicato alle macchine per scrivere
TRANI – Ha occupato per più di cento anni le scrivanie di studi e uffici di tutto il mondo, per poi scomparire all’improvviso dopo l’avvento dei computer. Parliamo della macchina per scrivere, oggetto ormai divenuto “vintage”, ma che conserva un suo indubbio fascino retrò. A Trani hanno pensato addirittura di dedicarci un museo: un luogo dove è possibile ripercorrere la storia di questo storico strumento e ammirare antichi gioiellini. (Vedi foto galleria)

Siamo in piazza Duomo, lì dove sorge la splendida Cattedrale cittadina. Qui, nel Palazzo Lodispoto, è ubicato il  museo: è l’unico in Puglia  e uno dei tre presenti in Italia, assieme a quello di Milano e Parcines, un piccolo comune in provincia di Bolzano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le sale espositive sono state aperte un anno fa per volere della fondazione Seca, il cui 60enne presidente, Natale Pagano, è colui che ha fornito le 450 macchine per scrivere presenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«In questo posto percorriamo l’evoluzione della dattilografia nei suoi 150 anni di storia - ci dice Mariagrazia Marchese, addetto stampa del museo -. Il signor Natale dopo aver lavorato per quarant’anni nell’Olivetti, si è appassionato sempre di più a questo tipo di strumenti, tanto da iniziare a collezionarli girando aste di tutto il mondo, alla continua ricerca di pezzi unici e rari».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Entriamo nel museo e ci ritroviamo circondati da foto di scrittori del passato. C’è anche Ernest Hemingway con la sua “Hermes baby” e Agata Christie mentre scrive su una “Remington Portable No. 2”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma ecco: siamo davanti al primo esemplare. Sotto una teca illuminata, custodita come se fosse un’opera d’arte, c’è la “Sholes & Glidden”, il pezzo più antico dell’esposizione. Ideata nel 1873 negli Stati Uniti, si tratta della prima macchina per scrivere meccanica. Pur molto elegante con i suoi dettagli floreali color oro dipinti a mano, non ebbe però successo e finì con il diventare un suppellettile da salotto. «Aveva costi molto elevati: 126 dollari – ci spiega Mariagrazia -. Per farsi un’idea basta sapere che all’epoca uno stipendio medio arriva all’incirca di 5 dollari al mese».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La Sholes & Glidden era azionata a pedale come le macchine da cucito. A finanziarne la produzione fu infatti la ditta Remington, che fino a quel momento aveva costruito anche cucitrici e che utilizzò gli stessi materiali per la realizzazione dei primi e unici mille modelli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo questo primo tentativo poco fortunato, perché molto ingombrante e costoso, le aziende ebbero più successo con le macchine ad indice, che si azionavano spostando il puntatore sulle lettere desiderate per poi premere e incidere sul foglio. La più precisa, anche se molto scomoda, era la “Merrit”, progettata nel 1890 e presente nel museo. Sembra un oggetto rudimentale in ferro utilizzato da qualche vecchio artigiano, ma in realtà si tratta di uno strumento ideato per la scrittura di alta qualità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutti gli strumenti continuavano a possedere però un grande difetto: il rumore. Il suono dei martelletti che battevano all’impazzata in posti come le redazioni dei giornali era diventato qualcosa di insopportabile. Così tra gli anni 20 e 30 si pensò di creare oggetti più silenziosi, come i modelli “Noisless” della Underwood e della  Remington, che montavano una camera di contenimento utile ad intrappolare e a limitare il tichettio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Siamo ora arrivati nelle sezione dedicata alle portatili, molto più piccole e leggere di quelle da scrivania. Sulla parete sono appese le vecchie custodie che servivano sia da trasporto che da “sgabello” per sedercisi sopra. Ci colpisce l’americana “Bennet”, creata nel 1910, praticamente l’antenata dei nostri palmari: da portare nella tasca del cappotto, come mostra l’uomo raffigurato sulla cartolina pubblicitaria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Antenata del moderno Iwatch è invece la “Virotyp”, chiamata anche “piccola parigina”. Progettata nel 1914 era utilizzata nelle trincee dai soldati della Prima guerra mondiale, che la portavano legata al polso con un cinturino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Passiamo ora nella parte espositiva dove sono presenti le prime macchine per non vedenti (con il sistema di scrittura Breille) e quelle stenografiche che permettevano una scrittura criptata durante la Seconda guerra mondiale. C’è anche la dattilografica nazista per eccellenza: l’”Olympia” del 1941. Creata appositamente per le SS, era dotata di un “carattere speciale” posto sul tasto 5 che riportava il marchio delle squadre militari tedesche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Scendiamo ora al piano interrato dove, accanto alla colorata sezione “Toys”, in cui sono esposti giocattoli usati dai più piccoli già dai primi del 900, troviamo lo spazio dedicato all’Olivetti, la macchina per scrivere italiana più importante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al centro della stanza c’è la prima dattilografica italiana prodotta dall’ingegner Camillo Olivetti nel 1911: la “M1”. Non ebbe molto successo però, perché troppo pesante e con tantissimi e complicati ingranaggi. Molto più famosa è invece la  “Lettera 22”, simbolo dell’Italia degli anni 50. Con il suo design semplice, fu amata da grandi giornalisti e scrittori come Montanelli e Pasolini.

La più affascinante però è la “Valentine”, realizzata nel 1969 dal designer Ettore Sottsass. Con il suo color rosso acceso (da cui il “rosso valentine”), fu una vera icona di stile, apprezzata e ambita in tutto il mondo per la sua eleganza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La storia dell’Olivetti, così come quella delle dattilografiche, però a un certo punto cessò. Avvenne nel momento in cui, a partire dagli anni 80, le aziende cominciarono a produrre sì tastiere, ma dotate di schermo e aggeggi elettronici. Quei personal computer che da lì in avanti sostituiranno le vecchie ed eleganti macchine per scrivere sulle scrivanie di tutto il mondo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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  • Francescomento - Un grazie per questa bellissima realtà. Un saluto a chi mi ricorda. Io in Puglia ho tanti ,ancora, bei ricordi


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