di Irene Coropulis

Dalla "j" di Carbonara alla "a" muta di Palese: è il dialetto delle ex frazioni di Bari
BARI – Come si dice "che vuoi?" in dialetto barese? Dipende, se siamo in città si dirà cə uè?, ma ci basterà  spostarci a Carbonara per ascoltare uno stretto cə uə?, a Torre a Mare un trascinato cə vuə? e a Santo Spirito un diretto cè vu?.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sì perché, nonostante le ex frazioni siano ormai veri e propri quartieri di Bari da più di 50 anni, continuano a mantenere delle inflessioni diverse rispetto al vernacolo del capoluogo pugliese. E questo è conseguenza del loro passato, di quando cioè (prima degli anni 20 e 30) costituivano comune a parte o erano annessi ad altri paesi quali Bitonto o Noicattaro.  

Siamo andati così tra le vie di Carbonara, Ceglie del Campo, Torre a Mare, Santo Spirito e Palese (abbiamo tralasciato solo le più piccole Loseto e San Giorgio) per carpire i differenti “suoni” delle ex frazioni. 

CARBONARA DI BARI – Indipendente sino al 1928, Carbonara ha visto nella sua storia il susseguirsi delle più disparate comunità. «Da qui - sottolinea Salvatore Tau, fondatore dell'associazione culturale Tre Lanterne -, sono passati dagli ebrei sino agli angioini, che nel XV secolo portarono al loro seguito anche schiavi “mori”, da qui i cognomi Lomoro e Loschiavo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

D’altronde fu fondata nel 1156 dagli stessi baresi che fuggivano dalle persecuzioni di Guglielmo il Malo, così il dialetto di Carbonara mantiene evidenti tratti di matrice “cittadina”, anche se rispetto al capoluogo ha preservato suoni più arcaici. Ad esempio qui la “g” viene pronunciata quasi come una “j”. E quindi la gallina diventa jaddin, la gatta jatt e la gamba jamm’.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il tutto è anche un po’ più “stretto” e gutturale rispetto alla parlata barese. Ad esempio la voce verbale “è” si pronuncia con la “e” chiusa, quando invece “in città” la vocale si apre. E poi “più” a Carbonara è kkj, mentre “in centro” si sente maggiormente la u finale (kkjù).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Del resto a Bari Vecchia il sistema fonetico è formato da 7 suoni vocalici, come in italiano, mentre a Carbonara sono 11, come in francese», spiega Stefania Carone, che ha realizzato una tesi in Linguistica a riguardo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Differenze ci sono però anche nella costruzione della frase. Se Bari si predilige l’ausiliare avere (a rəmanut, a stat, a arrəvat), a Carbonara impera l’“essere” (je rəmast, je arrəvad, je stəd).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

CEGLIE DEL CAMPO – A Ceglie il dialetto è simile a quello di Carbonara, anche se qui il linguaggio presenta suoni ancora più “veraci”. Questo perché per secoli questo antico centro nato prima di Roma ha rappresentato una realtà più “incontaminata”, basti pensare che la sua cinta muraria è stata abbattuta solo negli anni 30 del Novecento, periodo in cui si trasformò in frazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Anche qui la “g” diventa sempre “j”, ma i suoni sono generalmente più aperti rispetto a Carbonara. Se ad esempio nell’altro quartiere “un chilo” si dice nu chél con la “e” chiusa, a Ceglie si pronuncia invece con la “e” spalancata: nu chèl.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«Permangono poi parole che fanno parte di un lessico proprio, come ad esempio battəcovertə, ovvero il battipanni», illustra Nuccino Dimonte, esperto di tradizioni cegliesi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

TORRE A MARE – Questo borgo marinaro, ormai abitato da migliaia di “baresi”, conserva un passato molto diverso da quello del capoluogo pugliese, essendo stata per secoli la marina di Noicattaro. Solo nel 1934 fu infatti annessa a Bari come frazione. Oggi sono soprattutto i pescatori, discendenti del leggendario fondatore Varvamingo, a continuare a parlare il dialetto “pelosino”, di stretta derivazione nojana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A differenziare il vernacolo locale è la “e”, che qui è praticamente muta, non solo (come in barese) quando è posta alla fine delle parole, ma anche quando si trova all’interno di un vocabolo. Ad esempio “come stai?” è kəmə stə?. «E un detto come “assai mai te ne vai” a Torre a Mare si trasforma in un vero e proprio scioglilingua senza vocali: asə mə tə nə və», conferma Agostino Montedoro, esperto di tradizioni locali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si sprecano poi termini unici, come dəranə (riposare) e scəasceunə (digiuno).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

PALESE E SANTO SPIRITO -  Siamo ora a Palese e Santo Spirito: ex marina di Modugno la prima, ed ex marina di Bitonto la seconda, divennero entrambe frazioni di Bari nel 1928. Qui i dialetti sono differenti ma il substrato comune è comunque un miscuglio tra barese, modugnese e bitontino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Partiamo da Palese. La “a” tonica qui è molto chiusa, quasi muta, diversa dalla quella trascinata barese, per cui “mare” si dice mər e “fratello” frət. Mentre la “e” inserita all’interno dei vocaboli muta in un vero e proprio dittongo: dreit (dietro), trein (treno). Infine la e accentata alla fine della parola si trasforma in “je”. E quindi de uaggnùne ne sò vvistə asséje (di ragazzi ne ho visti molti).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Il palesino arcaico però si sta perdendo - sottolinea Gianni Serena, esperto di tradizioni locali -. Era molto più stretto e riprendeva suoni bitontini. La stessa Bari veniva chiamata Baùr, mentre ora si dice Bàr».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E concludiamo con Santo Spirito. All’ombra del pittoresco porticciolo il dittongo “ie” (a Bari molto chiuso), diviene apertissimo. La fiera è quindi fièr e la chiesa chiès. Spesso poi la “a” finale barese diventa “e” o addirittura “je” con l’inflessione bitontina. Così domani si dice crè (o creje) e “dove vai?” adò vè (o veje).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«E qui - conclude il giornalista Emanuele Cazzolla - sopravvivono anche termini autoctoni come mambre (sciocco), cheché (tonto), checìvel (testardo) e reré (perditempo)».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nella foto: il “titolo dell’Arenarum” eretto nel 1585 tra Palese e Santo Spirito per segnare il confine tra Bari e Bitonto


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  • Carmine Panella - Credo che nel finale ci sia un errore. Il titolo di Bitonto a Palese divideva le marine di Bitonto da quella di Modugno e non di Bari.
  • BARINEDITA - @Carmine titoli furono creati per dividere i confini tra Bari e Bitonto. E la zona del Titolo dell'Arenarum nel 500 era "promiscua": apparteneva sia a Modugno che a Bari. Saluti
  • Nicola Cutino - Grammatici certant et adhuc sub iudice lis est" (Orazio, Arte poetica, 78) allusione alle " ... interminabili controversie grammaticali che sono sempre all' ordine del giorno e che spesso si risolvono in questioni de lana caprina" ( cfr. Sentenze, motti, proverbi latini a cura di Campanini Carboni Ed. Paravia). Mai confondere l' ortografia con la fonetica: si scrive ortograficamente e si pronuncia foneticamente. Forse è il tempo di incontrarsi intorno ad un tavolo per costruire, ma, ostinatamente, si continua a perpetrare il sistema dell' "anarchia linguistica" ( P. Sorrenti) dove la scittura, in particolare è individualizzata a mercè di ogni singolo Autore con il rischio che il contenuto, di difficile lettura, anche se interessante, non venga compreso sufficientemente. Esiste, in merito, una esperienza: quella del Seminario di Studio e di Approfondimento sul Dialetto Barese" fiore all' occhiello dell' Associazione Mondo Antico e Tempi Moderni, ma questa è un' altra storia! Necessario "Leggere e studiare. Studiare e leggere, prima di parlare" (B. Croce). Dunque, fornire semanticità al dialetto. Troppi i maestri: " Indocti discant et ament meminisse periti" (Hènault). Regola prima: semplificare ed uniformare. Regola seconda utile soprattutto per chi scrive: la letteratura,, la stessa parlata, la " poesia, perchè torni utile, ha da essere dettata con grazia di lingua, con evidenza di stile e con efficacia di concetti" Anton Giulio Bazzilli). Buon vento!
  • Vito Petino - FINALMEND S'HA RSOLD NU PROBBLEM (in vernacolo barese verace, ma c uè d cchiù) P mill'ann ng sim addmannat c'iè nnat apprim u uev o la gaddin. Ma iè u gardidd, pu ddiauw, ca iè nnat apprim. Senz u gardidd, nudd u uev, senz u uev, nudd gaddin. E la prov iè la fotografì cchiù sott. Mo m'asppettch ca ven for ci s'addmann ma u gardidd accom iè nnat. Ma iè semblc. U Sgnor Domneddì, apprim d fa u uomn do fangh armanut, qualche ddì ndret dalla creta cchiù megghij avev fatt u gardidd e tutt l'ald anmal ...


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