di Laura Villani

San Francesco della Scarpa, lì dove operano gli angeli custodi dell'arte pugliese
BARI – L’arcangelo Michele giace separato dalle sue ali rotte, mentre poco lontano un demone nero agonizzante digrigna i denti. Non è la scena di un kolossal biblico, ma uno scorcio di ciò che avviene quotidianamente a San Francesco della Scarpa, ex convento duecentesco sede dei restauratori della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Puglia. Qui infatti da decenni “angeli custodi” dell’arte ridanno luce a opere che il tempo e l’incuria hanno danneggiato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questo storico complesso (che la leggenda vuole sia stato costruito alla presenza del santo di Assisi) si trova in via Pier l’Eremita, nella città vecchia di Bari, quasi di fronte all’entrata del porto. Lo abbiamo visitato qualche giorno fa assieme alla fondazione Fai Giovani di Bari, guidati dalla restauratrice responsabile Fulvia Rocco. (Vedi foto galleria)

«Il nostro team comprende 12 persone - ci spiega la Rocco–. Con fierezza posso affermare che dal 1979 abbiamo restaurato quasi 800 opere provenienti da Puglia e Basilicata. Il lavoro finito è sempre una grande soddisfazione, perché si restituisce la vita a qualcosa di bello e importante».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I laboratori in cui avvengono questi “miracoli” sono collocati sotto i porticati a volta incrociata affacciati sul chiostro che scorgiamo al nostro ingresso. Ci sono quattro locali, ciascuno dedicato a una tipologia di manufatti: lignei, metallici, lapidei e ceramici, dipinti su tela e tavola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Partiamo da quello delle sculture lignee, dove i restauratori sono al lavoro su un angelo del 500 affidato loro dalla chiesa Monte di Pietà di Barletta. La scultura dalla veste dorata ricca di drappeggi è adagiata supina e circondata da attrezzature: a vederla sembra quasi di essere in una stanza d’ospedale. «La lavorazione è lunga e richiede molta perizia – ci dice la responsabile – perché questa statua è stata realizzata con la tecnica detta “estofado”, che consiste nell’applicazione di una foglia d’oro zecchino da ricoprire in un secondo momento col colore».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In disparte alla nostra destra una restauratrice si occupa invece di un dipinto a olio seicentesco della cattedrale di Giovinazzo: si tratta di un’immagine di San Giuseppe e Santa Chiara col bambino circondati da angeli. «Prima di tutto bisogna consolidare e rafforzare la tela, poi procedere alla velinatura, stuccatura e ripulitura – spiega la donna –. Inoltre qui siamo tra i pochi a usare ancora coloranti naturali».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il secondo laboratorio, proprio accanto, è dedicato ai manufatti metallici. Al momento il “paziente” è un Arcangelo Michele proveniente dalla chiesa madre di Minervino Murge, dove tornerà entro Pasqua. La scultura completa comprende Michele che calpesta il diavolo, ma è stata “smontata” perché i restauratori lavorassero singolarmente su tutte le sue componenti. In effetti notiamo che il busto dell'arcangelo si trova su un tavolo, mentre aureola, ali e demone sono su un altro. «Il lavoro da fare è meticoloso perché spesso gli oggetti metallici sono lucidati o malamente rattoppati con materiali non consoni – chiarisce la nostra guida –. Ad esempio per “riattaccare” le ali di San Michele in passato è stato usato il mastice. Il demonio poi era completamente ricoperto di pece».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Procediamo fino al porticato successivo dove si trovano gli ingressi al laboratorio più vasto, un tempo refettorio del convento, diviso tra i materiali lapidei e ceramici e i dipinti su tela e tavola. Su un tavolo sono riposti due dipinti rispettivamente di Sant’Antonio con il giglio e una Madonna in trono con bambino, entrambi provenienti da Gravina. Ma quella che più ci colpisce è un’imponente tavola raffigurante San Girolamo nel suo studio con un leone e una terza figura di spalle, probabilmente il committente. «Si tratta di un dipinto del tardo Rinascimento che proviene dalla Basilica di San Nicola – precisa la responsabile – è in fase di restauro dopo un doppio intervento consolidante». 

Torniamo ora al porticato e notiamo i lunettoni con resti sbiaditi di affreschi settecenteschi, una ghimberga trilobata di stile gotico e la Santa Caterina in pietra calcarea che una volta ornava il pozzo al centro del chiostro. Questi restauratori dell’arte locale vivono davvero circondati dalla Storia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«L’origine del complesso è duecentesca – ci dice sempre la nostra guida – fu costruita prima una cappella e poi la chiesa e il convento, che nel 400 prese il nome di “San Francesco della Scarpa”. Anche se molte cose sono sparite da allora, incluse le cellette dove alloggiavano i frati».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel corso dei secoli il convento ospitò bisognosi, appestati, terremotati, ma anche il figlio dello zar Pietro il Grande. I francesi e i borbonici lo usarono poi come base militare, imitati nel 1943 dal comando alleato: nel 1945 fu anche danneggiato dall’esplosione di una nave da carico ormeggiata nel porto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Insomma, prima di passare alla Regione Puglia, il complesso ne ha passate davvero tante e la struttura appare oggi un po’ acciaccata: tra le altre cose, la chiesa è in ristrutturazione e un portico è inagibile. Riusciranno gli angeli custodi dell’arte a restituire a Bari in tutta la sua grandiosità questo importante e antico edificio?

(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo)
 


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