di Federica Calabrese

Scheletri, olle e monete: ecco i resti della "Bari romana" rinvenuti sotto via Argiro
BARI – «Finalmente abbiamo delle testimonianze tangibili di come poteva essere Bari durante l’Età Romana». Sono le parole di Caterina Annese, funzionario della Soprintendenza che domenica scorsa, nella cornice di Palazzo Simi, ha svelato al pubblico un pezzo di grande storia cittadina. Parliamo delle spoglie di 15 baresi vissuti tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C., rinvenute nel sottosuolo di via Argiro, durante lavori di manutenzione idraulica. (Vedi foto galleria)

Le ossa, assieme ai corredi funerari, erano celate a soli 80 centimetri di profondità rispetto al livello stradale e costituiscono una traccia del grande “Sepolcreto di Bari antica”. Seppellita al di sotto del quartiere Murat, questa necropoli si estendeva inizialmente nel perimetro appena al di fuori delle mura del centro storico, tra le odierne via Piccinni e via Calefati, ma con il passare del tempo si allargò sino ad arrivare a piazza Moro (a sud-ovest) e piazza Massari (a nord-ovest).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Pezzi dell’antico “camposanto” continuano a emergere di tanto in tanto dal sottosuolo, così come è avvenuto nel maggio scorso in via Argiro, ad angolo con via Calefati. E dopo un mese e mezzo passato a recuperare, lavare e studiare i reperti, un team di archeologi e antropologi designato dalla Soprintendenza  ha finalmente mostrato alla città i “tesori” del suburbio della Bari romana, di cui si avevano solo scarse menzioni nelle fonti di archivio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A guidarci all’interno dell’esposizione, oltre alla Annese, è l’antropologa Elena Dallù, colei che ha raccolto personalmente le spoglie, che rappresentano ciò che è rimasto di corpi anticamente cremati e quindi di fatto polverizzati. L’esperta ci mostra subito uno dei due scheletri semi integri ritrovati. Osserviamo così il cranio con due denti ancora in sede, le scapole, le braccia e la base del bacino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Accanto, in vaschette numerate, ci sono altri resti trovati in una buca un tempo scavata appositamente per la cremazione. «Nell’antica Roma si chiamava bustum il luogo dove si svolgeva il rituale - ci racconta Elena -: si trattava di una fossa dove il corpo veniva calato con il suo corredo e dato alle fiamme, prima di essere sepolto per sempre».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Spostandoci in un’altra sala possiamo invece ammirare il risultato di un altro tipo di cremazione, più “sofisticata” della precedente. In questo caso ciò che rimaneva dalla combustione veniva raccolto in apposite urne funerarie poi poste sottoterra. Osserviamo quindi tre vasi di ceramica a pancia larga entro cui le ceneri venivano conservate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il primo è il più piccolo e concrezionato, tanto che a stento si riesce ad intravedere l’ansa laterale. Il più grande invece è tenuto insieme da uno spesso filo di nylon necessario per evitare cedimenti. L’ultimo della serie ha infine l’orlo superiore ormai in frantumi ma conserva ancora dei residui di cenere tra lo strato di detriti che lo colmano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al centro della stanza si trova poi una vaschetta colma di sabbia dove è stata esposta un’olla dalle pareti spesse e chiare e dall’orlo liscio. È stata trovata assieme a una lastrina calcarea che doveva servire da cippo funerario per segnalare la presenza della sepoltura. Poco più avanti giace quasi del tutto integro il suo coperchio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel “museo” sono presenti anche piccole ampolle cilindriche rivestite da spessi cocci ceramici. Si tratta di unguentari e balsamari in terracotta coperti da spesse pareti di anfora che facevano parte del corredo di un enchytrismòs, un tipo di sepoltura che consisteva nel deporre il corpo all'interno di un grande contenitore: il pithos, dove il defunto veniva messo in posizione rannicchiata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra le ultime sorprese dell’esposizione c’è una moneta in metallo verdognola e scurita dal tempo che presto verrà sottoposta a una pulitura specifica per rivelarne l’età. Così come sono ancora da studiare e alcune conchiglie e le vertebre di piccoli animali marini. «Non sappiamo dire con certezza se i molluschi fossero stati deposti per “coprire” il defunto o se sono stati trasportati nei secoli dall’Adriatico, ma faremo presto indagini biologiche più approfondite», afferma la Annese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lasciamo Palazzo Simi con le parole della Soprintendente Maria Piccarreta. «In autunno – svela – potremmo ricevere fondi dal Ministero per allargare un saggio di via Argiro. Sarà possibile così riportare alla luce nuovi reperti, riuscendo anche a stimare quanta popolazione poteva essere presente in Età Romana. La speranza è che questo importante ritrovamento non passi in sordina come altri avvenuti in passato: Bari è infatti una città dalla grande storia, ma il cui patrimonio, soprattutto quello archeologico, risulta spesso non adeguatamente valorizzato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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