di Giancarlo Liuzzi - foto Valentina Rosati

Grumo, l'ottocentesca Villa Mastroserio: rifugio segreto dei carbonari della Bruto Secondo
GRUMO APPULA – Un antico e nascosto podere dall’ingresso “palladiano” che nell’Ottocento ospitò segrete riunioni dei movimenti liberali e carbonari. Parliamo di Villa Mastroserio, un edificio che giace abbandonato da oltre cinquant’anni su una collina a pochi chilometri da Grumo Appula. (Vedi foto galleria)

La dimora fu costruita come residenza gli inizi del XIX secolo da Giuseppe Matroserio, sindaco di Grumo e adepto della “Bruto Secondo”, una società clandestina fondata da Giovanni Scippa nel primo ventennio del XIX secolo. Il primo cittadino destinò quindi la villa a quartier generale della Bruto, il cui "gran maestro” era il sacerdote Bernardino Gualtieri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il centro a sud ovest di Bari fu infatti un importante presidio dei rivoluzionari che si batterono per contrastare la durezza dei regimi assolutisti dell'epoca e la cittadina fu protagonista in quegli anni di cospirazioni, fughe e decapitazioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A capo dei rivoltosi c’era Giovanni Scippa: fu proprio lui a ospitare in paese, nel 1821, Giuseppe Silvati e Michele Morelli, carbonari perseguitati dalle truppe reali nell'allora Regno delle Due Sicilie. E si pensa che i rivoltosi furono nascosti anche in questa villa, la cui posizione strategica permetteva un controllo su tutto il territorio circostante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per raggiungere questo “baluardo della libertà”, imbocchiamo da Grumo via Madre Teresa di Calcutta che, dopo una rotonda, prosegue su strada comunale di Mellitto. La percorriamo per circa quattro chilometri fino a raggiungere una piccola rientranza delimitata da una semplice sbarra di ferro tra due colonne in pietra. Oltrepassato l’ostacolo ci incamminiamo lungo un sentiero di campagna in salita che ci conduce dopo qualche centinaia di metri davanti al nostro edificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci troviamo davanti a una struttura in pietra che, seppur di modeste dimensioni e malridotta, mostra ancora tutto il suo fascino. Composta da un solo piano leggermente rialzato, è di colore rosso con due finestre sul prospetto e su entrambi i muri laterali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A dominare la facciata è il sontuoso ingresso che ricorda le nobili ville palladiane del 700-800. Una larga scalinata porta infatti a un patio dominato da due alte colonne bianche che sorreggono il timpano superiore: un insieme di elementi che regalano al fabbricato l’aspetto di un vero e proprio tempio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«La villa in effetti venne costruita ispirandosi allo stile architettonico caro alla Massoneria», sottolinea Vito Errico dell’associazione culturale “Whatsappula”, che ci fa da guida col benestare degli attuali proprietari, i discendenti di Scippa e della famiglia Scarola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La scelta della posizione non fu casuale: la residenza si trova infatti al confine tra i territori di Altamura, Toritto e Grumo. Sui lati della struttura si trovano le “pietre miliari” (indicanti l’anno 1896), che segnano il limite tra gli ultimi due paesi. Un punto quindi dove i componenti della società segreta potevano controllare tutta la zona circostante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulla porta di ingresso, al di sopra di una grata in ferro rettangolare, leggiamo la scritta Qui si sana, un motto presente in tante masserie dell’epoca. «L’epigrafe, che si riferisce al benessere dato dal luogo, è però successiva ai moti: dopo l’iniziale periodo carbonaro la dimora divenne infatti residenza nobiliare di campagna», avverte Errico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma è arrivato il momento di entrare. Ci ritroviamo così nel grande salone centrale che dà accesso agli altri locali. Un ambiente ampio ma decadente: il pavimento è stato divelto e restano pochi segni degli antichi affreschi presenti sul soffitto. I muri sono cosparsi di scritte fatte con bombolette spray, che lasciano spazio a una nicchia che custodisce un antico stemma su sfondo ocra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra gli antichi simboli si distingue solo una corona regale da cui cadono due tendaggi rossi, il tutto dominato da un decoro vegetale a otto petali sull’arcata. Ai lati notiamo un disegno con delle stelle blu, che ritroviamo anche ai bordi della nicchia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Attraverso i varchi laterali, sormontati dai resti delle vecchie porte in legno, visitiamo le altre stanze ormai totalmente spoglie. In una di queste sono ancora visibili i decori di colore rosso sulle pareti e sulla volta, mentre all’interno di quella che doveva essere la cucina, scoviamo i pezzi di alcune piastrelle.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Infine ci ritroviamo davanti a un grande botola in pietra semi aperta che conduce a dei locali sotterranei: non essendoci scale non riusciamo però ad accedervi. «Sono dei nascondigli – avverte la nostra guida -: durante la Seconda Guerra Mondiale questa villa divenne probabilmente rifugio per delle famiglie ebree».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una destinazione d’uso questa, che sarebbe piaciuta a Scippa e ai membri della “Bruto Secondo”, paladini della libertà contro i regimi di ogni epoca.  

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