Bari, un antico luogo si nasconde alle spalle dell'Executive Center: è Masseria De Tullio
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venerdì 30 ottobre 2020
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di Giancarlo Liuzzi - foto Valentina Rosati
Per visitarlo bisogna percorrere la succitata arteria che conduce alla statale 100. Appena superata l’inutilizzata Caserma Magrone, si apre sulla sinistra via Cesare Diomede Fresa, che dopo aver costeggiato l’Executive conduce alla retrostante campagna. Qui, dietro una recinzione, si erge la bianca De Tullio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per il posto in cui è situata, la masseria risulta quindi completamente celata dal colossale complesso di appartamenti e uffici costruito negli anni 90. Un isolamento questo che le ha nociuto parecchio, visto che negli anni l’area in cui sorge è stata oggetto di numerose attenzioni da parte dei costruttori. Non ultimo il Comune, che vorrebbe creare proprio qui l’enorme parcheggio adiacente alla nuova stazione delle Ferrovie Sud-Est di prossima realizzazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Entriamo dunque nel giardino della De Tullio, dove imperano orti e alberi da frutto. Tra tavoli e oggetti lasciati un po’ alla rinfusa, notiamo l’ingresso in legno della cascina, lì dove è anche poggiato un antico cippo confinario con iscrizione. Sull’arco in pietra risalta la scritta “Quisisana”, un richiamo alla pace e salubrità del luogo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le uniche informazioni storiche le apprendiamo da una ricerca dell’architetto Alessandra Maria Loglisci, pubblicata sulla rivista Nuovi Orientamenti nel giugno 2012. La struttura nasce nel 500 come casino di villeggiatura, per poi svilupparsi come vera e propria masseria. La pianta architettonica ricorda Torre Reddito, alle porte di Triggiano, tenuta edificata da Isabella d’Aragona e poi donata alla ricca famiglia Tanzi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Anche la De Tullio appartenne a nobili: nel 700 era infatti possedimento della famiglia Simi, di origini lucchesi, giunta a Bari nel 600 e proprietaria anche del palazzo omonimo a Bari Vecchia. Nel 1852 passò a Nicola De Giosa, celebre compositore barese, che la vendette nel 1864 alla signora Annunziata Montrone. Infine verso la fine dell’800 fu ceduta ai De Tullio, gli attuali proprietari che la abitarono sino ai primi del 900.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da allora però è stata sempre curata dai Frasca, famiglia di massari che da più di un secolo continua a occuparsi dell’ìmmobile e delle terre che lo circondano. Proprio un membro dei Frasca, la signora Domenica, ci introduce all’interno del complesso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo averci fatto visitare i locali al piano terra (di poco conto ma ancora vissuti, soprattutto d’estate), la donna ci conduce davanti alla prima vera tappa della nostra visita: la settecentesca chiesetta dedicata a San Gaetano, situata ad uno degli angoli del fabbricato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Bianca e graziosa, presenta una struttura semplice con finestrella centrale dominata da un cornicione in pietra che culmina con un piccolo campanile decorato a volute. «E’ stata fatta restaurare qualche anno fa da una signora che abita all’Executive – ci dice la nostra guida - ed è ancora luogo di incontro di devoti che vengono qui a pregare».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’interno, a volta, è arricchito con quadri religiosi, arredi sacri e statue. Domina sul retro dell’altare un dipinto di San Gaetano del 1802 firmato dal pittore barese Michele Lapegna. Ai piedi della cattedra troviamo invece la campana della chiesa, datata 1709 e ancora inserita nel suo supporto in legno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Incredibile. Percorriamo ogni giorno via Amendola e mai ci saremmo aspettati di scovare, a due passi dall’arteria, un posto così antico e prezioso, un vero e proprio gioiello dell’arte rurale barese. Ma le sorprese non finiscono qui.
Fiancheggiamo il muro perimetrale per recarci alle spalle della masseria. Da questo lato possiamo ammirare meglio il corpo principale del fabbricato. Si tratta di una struttura di due piani non messa benissimo, scandita da finestre in legno ormai divelte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Decidiamo di salire con una scala a pioli sul tetto. Da qui riusciamo a intravedere il cortile interno del complesso, dominato da piante e materiali di ogni genere, ma soprattutto abbiamo accesso agli ambienti del piano superiore, quello che un tempo rappresentava la dimora padronale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E qui rimaniamo senza fiato: tutto sembra essere rimasto com’era cento anni fa. Ci ritroviamo infatti dentro stanze che presentano alte volte e persino decorazioni, conservando intatto il fascino del passato. Qui sono stati lasciati fermi nel tempo arredi, materassi e stipi in legno con borse e scatole, oggi completamente ricoperti di terra, polvere e guano di uccelli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Su un divano si trova anche il ritratto di un uomo vissuto probabilmente alla fine dell’800 e sulla parete alle sue spalle una piccola fotografia di famiglia. È tutto ciò che resta dei ricordi dei De Tullio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ridiscendiamo ora per andare a visitare il retro della struttura. Prima però il nostro sguardo si posa su una recinzione che delimita una grande area con delle macerie al centro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Sono i resti di un edificio coevo alla masseria, abbattuto nel luglio del 2012 - ci spiega Enzo Del Vecchio, promotore di “Difendiamo l'Executive center”, un comitato che si sta battendo per la salvaguardia di questo luogo ameno -. Una mattina ci imbattemmo in un’impresa edilizia: dopo aver demolito alcuni antichi manufatti stava iniziando la costruzione della nuova chiesa dei Testimoni di Geova. Ci rivolgemmo così all’ufficio tecnico del Comune e i lavori nel giro di una settimana furono bloccati».
Visto il pericolo, Enzo in persona si prodigò per far porre sulla De Tullio il vincolo della Soprintendenza, non riuscendo però a tutelare anche le terre circostanti, che ora rischiano di scomparire per far posto al succitato parcheggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un peccato, perché alle spalle della dimora sembra di trovarsi veramente in un altro mondo. Siamo in città, ma qui è il regno di verdi prati, rare catalpe e alberi di ulivi e fichi. Un luogo che, tra altri cippi in pietra che paiono menhir, gode della presenza di falchi grillai, gheppi e pappagalli.
Da questo punto possiamo andare a visitare il giardino interno alla masseria, in cui entriamo sfruttando un’apertura del muro. È posto su due livelli e a quello più basso accediamo percorrendo una malconcia quanto caratteristica scaletta in pietra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci ritroviamo così in una specie di fitta boscaglia, dove i rovi di more hanno invaso tutto l’ambiente. Non risulta per nulla agevole camminare, ma nonostante questo riusciamo a raggiungere gli antichi locali posti sotto lo stabile, che presentano volte a botte e pareti in pietra viva.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Risaliamo con estrema difficoltà e raggiungiamo l’uscita della De Tullio. Qui ritroviamo la signora Domenica, che prima di salutarci ci mostra un acquerello: raffigura la masseria com’era un tempo, prima della creazione dell’Executive.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Si notano due colonne non più esistenti che anticipavano il viale che portava all’edificio principale. E al centro si scorge un uomo con cavallo mentre ara la terra. «È mio padre Bartolo – dichiara commossa la donna –. Ha curato la De Tullio in prima persona sino al 2009, anno della sua morte. Se fosse vivo chissà come si batterebbe per evitare che questo luogo possa diventare un giorno un enorme parcheggio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Fiorella - Complimenti per questo articolo che mi ha lasciata senza respiro per l'entusiasmo e per la rabbia, nel vedere tanta bellezza così trascurata. Una scoperta che meriterebbe un'attenzione corale della nostra cittadinanza oltre che delle autorità competenti per preservare la storia dei luoghi e delle persone.Bravissimi il redattore e la fotografa che hanno portato in luce questo angolo così nascosto e così vicino alla nostra cieca quotidianità. Nella speranza di un riscatto, vi ringrazio.
- Fiorella - Il commento a questo articolo, per mio errore l'ho attribuito ad un altro dello stesso redattore ma se pure riferito ad un altro luogo mi complimento per quest'altra chicca che oggi ho conosciuto grazie a lui e alla vostra linea editoriale.