Bari, da ritrovo degli "ultimi" a orgogliosa comunità: la storia del quartiere San Paolo
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mercoledì 18 settembre 2019
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di Giancarlo Liuzzi - foto Antonio Caradonna
Le sue origini risalgono alla fine degli anni 50, quando si decise di fornire un’abitazione agli “ultimi” di Bari: gente che viveva in baracche ed edifici fatiscenti e a cui fu regalato un alloggio popolare, seppur lontano dal resto della città, lontano dalla “vista” della “gente perbene”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le palazzine furono completate nel 1961 e si provvide così al trasferimento di 1500 persone provenienti da Torre Tresca e dalla “Socia”. La prima era una vera e propria baraccopoli: ci vivevano i residenti di Bari Vecchia rimasti senza una casa dopo i bombardamenti avvenuti durante la Guerra. La seconda era un “ambiguo” condominio ubicato nell’odierna via Zuppetta, dove imperavano prostituzione e malaffare. Un complesso che fu abbattuto nel 1962.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Loro, i più poveri, furono i primi abitanti del “Cep” (acronimo di “Centri di Edilizia Popolare”), nome con cui è sempre stato chiamato in maniera dispregiativa il San Paolo. A questo nucleo si aggiunsero poi, qualche mese più tardi, 5000 persone che arrivavano dal centro storico e dall'ex colonia Gil di Fesca.
Tutti andarono a popolare un’area situata in contrada Tesoro: una vasta zona di campagna posta su una leggera altura tra la Stanic, Modugno e Lama Balice. Si stabilirono in caseggiati a più piani, ancora oggi esistenti, adiacenti a viale delle Regioni. E si ritrovarono nel nulla.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Gli inizi furono veramente duri. «Non c’erano servizi, ci si adattava come si poteva – afferma don Nicola –. Alcuni improvvisarono negozi di prima necessità nei ballatoi dei palazzi e nelle proprie case e io, che ero il sacerdote della più “vicina” chiesa, quella di San Pio X di via Buozzi, mi occupavo di tenere messa negli atri dei portoni. Poi venne messo su un prefabbricato in cui si allestì una scuola: cinque “aule” con cinque insegnanti che svolgevano anche quattro turni di lezione al giorno, visto che l’istituto era frequentato da ben 900 minori».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’edificio venne utilizzato anche per le funzioni religiose, fino a quando nel 1963 fu costruita una vera chiesa, quella di San Paolo, che diede il nome al rione diventando un punto di aggregazione per la comunità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’unico collegamento con “Bari” era un bus a due piani. «C’erano tre fermate di pullman – dice il 48enne esperto del territorio Ernesto Chiarantoni -. Ad ogni “stazione” si creò un’enoteca: “cantine” dove si beveva vino o birra e si giocava a carte, aspettando il mezzo pubblico».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E nel frattempo, mentre gli uomini andavano a lavorare nell’ex raffineria Stanic, le donne si occupavano di badare alla casa, facendo la spesa nei suddetti “negozi” o fornendosi dai “tre ruote” che giravano per le vie del “Quartiere”, così come ancora oggi viene chiamato orgogliosamente il San Paolo dai suoi residenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
“Un orgoglio - si legge in uno studio etnografico dedicato al “Cep” a firma di Scardigno e Bottalico - che è ancora oggi molto forte: si tratta di un diffuso senso di appartenenza che riflette specularmente problemi e risorse, disperazione e serenità della vita di periferia”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tra l’altro, come detto, nel 2019 il San Paolo rimane l’unico rione, assieme al centro storico, dove si parla ancora il “barivecchiano”. Perché persino nel dialetto questa zona cittadina ha mantenuto una propria identità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Negli anni 70 la storia urbanistica del quartiere registrò però una crescita edilizia notevole: furono innalzati alti grattacieli senza balconi chiamati “di cartone” per il loro colore grigio. La popolazione aumentò, fino ad arrivare alle attuali 30mila unità. La crisi generale portò poi ulteriori difficoltà e proliferazione della delinquenza. Crebbe l’importanza dei clan criminali, resi forti anche dalla posizione così defilata che caratterizzava da sempre l’area. E il San Paolo divenne così sinonimo di malaffare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«I padri di famiglia cominciarono anche ad emigrare all’estero per lavorare – spiega Chiarantoni - e le mamme, rimaste sole, non riuscirono a seguire tutti i numerosi figli. I ragazzi impararono così a crescere per i fatti propri, facendo della strada una scuola di vita».
Oggi il San Paolo è ancora una zona “difficile”, anche se negli ultimi vent’anni sono stati fatti notevoli progressi. La zona si è poi arricchita di nuovi complessi residenziali e grazie ai fondi strutturali della comunità europea sono stati creati parchi e strade. Soprattutto è stato aperto, dopo anni di immobilismo, il grande ospedale, simbolo della “rinascita” del rione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Lo sviluppo avvenuto è stato esemplare – conclude don Nicola – e i residenti devono dire grazie solo a loro stessi. Per tanto tempo sono stati abbandonati dalle istituzioni, ma nonostante questo si sono fatti forza a vicenda, mantenendo sempre uno spirito vivo e tenace: quello che ha reso il “Quartiere” una zona speciale di Bari, nel bene e nel male».
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