Bari, alla scoperta di quell'enorme area inaccessibile dove un tempo sorgeva la Stanic
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venerdì 7 dicembre 2018
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di Ilaria Palumbo - foto Antonio Caradonna
Creato dai gruppi italiani Agip e Aipa con sigla Anic, lo stabilimento cambiò denominazione nel 1950, quando la società passò nelle mani dell’Eni e dell’americana Standard oil company. Per quarant’anni produsse benzina, paraffine e oli lubrificanti creati dal petrolio proveniente dalla vicina Albania e dagli anni 50 diede addirittura il nome al quartiere sorto proprio per dare una casa alle migliaia di dipendenti impiegati nella fabbrica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma nel 1974 a causa di crisi petrolifera, processi di raffinazione obsoleti e decisioni politiche, si decise di mettere fine alla sua gloriosa storia. Così dopo due anni la fabbrica chiuse definitivamente i battenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma oggi che cosa è rimasto di questo polo industriale? Un enorme territorio sterile, privo di edifici e campi coltivati, completamente circondato da un alto e lungo muro ben visibile da via Bruno Buozzi. Del resto si tratta di una zona inquinata da metalli pesanti e amianto, bonificata negli anni 90 e ancora oggi sottoposta a monitoraggio e controlli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Eppure se si guarda l’area dall’alto, ad esempio attraverso il “satellite” di Google Maps, si noterà che qualche segno dell’antica fabbrica è ancora visibile. Ad esempio spiccano degli enormi cerchi disegnati sul terreno: l’impronta delle grandi cisterne per lavorazione del greggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Muniti di un drone siamo quindi andati a fare visita all’ex Stanic, entrando in una parte della città in cui pochi baresi hanno messo piede. (Vedi foto galleria)
Il nostro punto di partenza è via Zippitelli, strada della Zona industriale che costeggia la statale 16. Qui, alle spalle dei capannoni della Metro, si trova una grande superficie abbandonata ricoperta da cemento e vegetazione incolta che sorge proprio a ridosso del Canale Lamasinata, tratto della lama omonima rinforzato da argini artificiali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Scarpiniamo per qualche metro fino a quando di fronte a noi non vediamo aprirsi una strada introdotta da due pilastri: è la misconosciuta via Argentieri. L’erba nel frattempo si è fatta alta e per proseguire abbiamo non poche difficoltà, vista anche la presenza di arbusti spinosi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo pochi passi ci troviamo su un curioso ponticello invaso da muschio che attraversa il “fiume”. Lo superiamo e continuiamo sulla stradella che ci porta finalmente davanti all’area dell’ex raffineria. Ciò che vediamo è in realtà una lunga cinta muraria recintata con filo spinato, interrotta in un punto da un cancello arrugginito con su scritto “veicoli al passo”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci avviciniamo. Attraverso le maglie dell’inferriata riusciamo a scorgere un grande terreno desertico avvolto dal silenzio, dominato dall’erba inselvatichita. E grazie al drone riusciamo ad ottenere delle immagini panoramiche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In questo vasto territorio, dominato sullo sfondo dalle ciminiere della centrale Enel (anch’essa in via di dismissione) ci sono per lo più campi incolti attraversati da strade asfaltate e in alcuni punti anche viali alberati abbandonati all’incuria, ma sopravvissuti nel corso degli anni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La vera singolarità risiede nei grandi cerchi che si rincorrono lungo il perimetro, bizzarre tracce superstiti degli impianti del passato: resti delle cisterne e delle torri cilindriche per il frazionamento del greggio. Alcune appaiono circoscritte da massi posti a spirale, altre ricoperte da teli neri lucidi che riflettono la luce del sole.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci pare quasi di avere davanti agli occhi questa fabbrica gigantesca. «Ciò che più colpiva – ci rivela Angela Campanella, storica ed esperta del territorio – era la fiamma luminosa sempre accesa e il fumo denso che fuoriusciva costantemente dalle sue ciminiere, accompagnato dal forte rumore delle sirene che suonavano due volte al giorno per avvisare del cambio dei turni».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Uno stabilimento ingombrante, ma che ha segnato la storia industriale di Bari e l’esistenza di un quartiere che ancora oggi convive con il suo “fantasma”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica con la collaborazione di Francesco Cocco-fkdrone)
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