di Alessia Schiavone e Ilaria Palumbo

Il maestoso ex Palazzo delle Poste, simbolo di un mondo che comunicava con le lettere
BARI – Sembra quasi un tempio greco, con le sue maestose colonne che si stagliano da più di ottant’anni su via Nicolai. Parliamo dell’ex Palazzo delle Poste e dei Telegrafi, uno dei simboli del quartiere Murat, specie da quando, dopo essere stato comprato nel 2003 dall’Università di Bari, negli ultimi anni è stato ristrutturato e messo al servizio dei tanti studenti che lo utilizzano come centro polifunzionale e sala studio. (Vedi foto galleria)

Costruita tra il 1931 e il 1934 su progetto dell'architetto romano Roberto Narducci e per mano dell'impresa Pagano, la struttura fu creata per ospitare sia gli uffici postali e telegrafici che le preture unificate, presentandosi come uno dei più interessanti progetti di rinnovamento edilizio promossi dall’amministrazione del ministero delle Comunicazioni durante l'epoca fascista.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’ingresso principale, incastonato all'angolo tra piazza Cesare Battisti e via Nicolai, si apre alla città con una grande scala sormontata da una cupola in vetro e cemento dal diametro di diciotto metri, impiantata su un corpo cilindrico. I contorni di un tempio greco disegnano l'elegante portico a doppia altezza con quattro colonne, su una delle quali resiste un doppio orologio in rame che ancora scandisce perfettamente le ore. Il prospetto concavo, così come alcuni degli edifici fascisti presenti nel quartiere Libertà, mostra un chiaro riferimento al barocco romano di Bernini, Borromini e Pietro da Cortona.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutto nel palazzo rimanda al mondo della posta. Se ci spostiamo ad esempio sul prospetto laterale, quello che si affaccia su piazza Cesare Battisti, notiamo tre altorilievi in bronzo ritraenti la Posta, le Comunicazioni e il Telegrafo che fanno da custodi a un portale d'ingresso secondario sbarrato da un pezzo di compensato in legno. Qui avevano sede gli ex uffici della direzione provinciale e in effetti una vecchia scritta ce lo conferma.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le colorazioni dominanti sono il giallo ocra dei mattoni e il verde dei cornicioni e delle finestre che, disposte gerarchicamente, si articolano verticalmente dalla più grande alla più piccola su quattro livelli. Solo sul retro che si affaccia in via Garruba, a rompere la monotonia della sfilza di finestre una accanto all'altra, subentra un cancello nero che lascia intravedere un piccolo atrio. Non ci è possibile entrare ma spiando attraverso le aperture riusciamo bene a distinguere il rosa salmone che colora le mura della struttura interna. Questa, seppur decisamente più moderna e visibilmente restaurata, appare coerente con la giustapposizione di volumi concavi e convessi che caratterizza anche gli esterni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Dopo avere girato attorno al palazzo, decidiamo quindi di entrare attraverso l'ingresso principale. Alla fine della scalinata, tre cancellate in ferro, di cui solo quella centrale aperta, ci introducono all'interno permettendoci di calpestare la pavimentazione mosaicata a tessere ceramiche dell'ex sala degli sportelli, aperta quotidianamente al pubblico. Non appena varchiamo l'ingresso, veniamo catapultati nella luminosa sala circolare tinta di verde smeraldo le cui mura, costellate da porte e finestre, giocano a rincorrersi a vortice sino a raggiungere la monumentale cupola traforata che impera al di sopra delle nostre teste.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Guardandoci attorno, ancora una volta la sensazione è quella di trovarsi in un ambiente che fatica a tagliare il cordone che lo tiene legato al passato. Sono in effetti diversi gli arredi d'epoca ancora presenti. Per esempio al centro della sala cupolata è rimasto intatto un antico tavolo-scrittoio in legno e in marmo verde, la cui forma ricorda un occhio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

O ancora una vecchia cassetta postale con su scritto "impostazione richieste bollature filateliche" vigila l'ingresso di uno dei corridoi che conducono a sale secondarie. I decori in marmo sparsi sulle mura, le due figure femminili in ceramica allegorie delle Poste e dei Telegrafi, poste ai lati dell'orologio come sovrapporta dell'ingresso e le due lapidi dedicate ai postelegrafonici caduti durante le guerre non fanno altro che rimarcare l'identità dell'edificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A parte la sala principale, merita una visita l'ex "sala accettazioni telegrammi", oggi riservata a riunioni e conferenze con circa un centinaio di posti a sedere. Racchiusa da pareti in marmo marrone sabbia, presenta ancora parte dell'originaria pavimentazione a mosaico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E’ arrivato il momento di uscire: scendiamo le scale e ci immettiamo su via Nicolai. Qui, all'estremità del portico d'ingresso e al cospetto del via vai continuo di gente, ci accorgiamo dell'esistenza di vecchie buche per le lettere in pietra bianca a lungo occultate ma riportate alla luce in seguito ai lavori di restauro. Su ognuna di esse riconosciamo le scritte in alluminio che contrassegnavano la tipologia della posta da inviare: "lettere-cartoline", "stampe", "espresso-posta aerea".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E’ un richiamo a un mondo che è sopravvissuto solo in parte, un’epoca in cui in assenza di mail, chat e cellulari c’era solo un modo per comunicare da lontano: inviare una romantica e datata lettera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica di Ilaria Palumbo)


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Ilaria Palumbo
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