di Katia Moro

La Ceglie sotterranea, tra antiche strutture romane e ipogei tenuti nascosti
BARI – Vi abbiamo parlato dell’antica Ceglie che si svela in necropoli purtroppo non valorizzate come dovrebbero e delle antiche monete che venivano coniate in questo quartiere di Bari fondato dagli Illiri prima di Roma. Oggi, nella nostra terza e ultima tappa nel rione, vi racconteremo della “Ceglie sotterranea”: sotto il manto stradale infatti il quartiere custodisce tesori archeologici ancora una volta però abbandonati all’oblio e nascosti agli occhi dei baresi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Vi sveleremo i segreti dei sotterranei del castello di Ceglie (inaccessibili al pubblico), custodi di mura romane costruite secondo il modello definito opus reticulatum e vi mostreremo una struttura rupestre ipogeica di epoca peuceta abbandonata e priva di protezione che si trova nel cortile interno di una comune palazzina. (Vedi foto galleria)

I sotterranei del castello - Il castello di Ceglie, costruito intorno al II secolo a.C. e in seguito rimaneggiato da normanni, angioini e aragonesi, è il simbolo del centro storico. L’imponente torre è normanna, mentre sulle mura angioine e aragonesi svettano ariosi archi attraverso i quali passavano le condutture d’acqua necessarie a colmare la cisterna interna. Al di sotto del piano di calpestio troviamo invece le precedenti mura romane, alle quali accediamo accompagnati dalla nostra guida, il presidente dell’associazione culturale “Kailia”, Giuseppe Laricchia.   

Varcato l’ingresso del castello ci immettiamo nell’ampia scuderia risalente al 1200, poi trasformata nei secoli successivi in frantoio. La successiva stanza baronale è sormontata da ampie volte sorrette da imponenti colonne realizzate con pezzi riutilizzati delle mura peucete dell’antica Ceglie. Ed è proprio qui che scorgiamo una tenda: scostandola ci ritroviamo all’improvviso nella preesistente struttura romana del castello.  

L’accesso è negato ai visitatori perché questo spazio abbandonato e in cattive condizioni è stato riutilizzato come magazzino in cui accatastare scope, scatoloni e cianfrusaglie varie. «Eppure qui siamo davanti a uno dei rari esempi di opus reticulatum romano e cioè un paramento murario con pietre regolari quadrate disposte secondo un reticolo obliquo costruito secondo un’antica tecnica», ci spiega Giuseppe.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il luogo è lasciato completamente al buio ma armati di una torcia scendiamo alcuni gradini che ci conducono, a circa due metri sottoterra, alla base romana della torre normanna. Lo spazio è angusto e le mura molto basse e per riuscire ad ammirare il muro che mostra la caratteristica tecnica costruttiva (posizionato sulla parte più bassa della struttura quadrangolare della torre), dobbiamo camminare ricurvi, tenendo china la testa e facendo attenzione a dove posare i piedi data la ristrettezza dei gradini. La pietra chiara è annerita dall’umidità e ci invade un forte tanfo di umidità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Risaliamo, ma prima di ritornare in superficie ci imbattiamo in altri due piccoli ambienti di forma quadrangolare che si aprono intorno a noi, ricoperti solo da polvere, cavi, oggetti abbandonati e qualche attrezzo da lavoro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nella prima stanza l’unica fonte di luce è fornita da un’apertura che si apre sul soffitto e chiusa da un vetro, attraverso la quale si scorge il giardino pensile sovrastante. Il secondo spazio è poco più ampio e ha una particolare forma semicircolare: fa ipotizzare che qui sia esistito un piccolo anfiteatro. E al di sotto di una volta a cupola piuttosto bassa ammiriamo di fronte a noi la presenza di un altro muro ornato e “disegnato” con la tecnica dell’opus reticolatum, che conferisce eleganza all’ambiente annerito dall’umidità e oramai spoglio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Questo è ciò che rimane dei resti romani. In realtà una quindicina di anni fa, durante i lavori di rifacimento del manto stradale attuati in piazza Vittorio Emanuele, emerse la condotta romana dell’acquedotto che distribuiva l’acqua piovana nelle cisterne sotterranee. «Ma al termine dei lavori fu tutto interrato e ora non è più visibile nulla – afferma sconsolato Giuseppe -. Anche nella tavernetta di un’abitazione privata poco distante da qui sono state ritrovate le stesse condutture. Ma anche in questo caso tutto è stato inevitabilmente e definitivamente murato e quindi perduto».  

L’ipogeo sotto il palazzo - E ancora visibile invece, ma solo agli occhi di un ristretto numero di condomini, un insediamento rupestre scavato nella roccia e nel banco tufaceo che si trova nel cortile interno di un palazzo sito in via Manzari 12 e adiacente alla lama Fitta. Erroneamente considerato chiesa rupestre, si tratta di un habitat probabilmente coevo alle mura peucete innalzate intorno al IV/V secolo a.C. e divenuto poi nel X/XI secolo d.C. rifugio di monaci basiliani.

«Nel 1987 iniziarono i lavori per la costruzione di una serie di palazzi in questa zona -  ci dice l’appassionato di storia locale Gaetano Di Monte - . Io mi trovavo a passare di lì per caso e vedendo ciò che stava emergendo mi affrettai a fotografare. A quel punto l’ingegnere che sovrintendeva ai lavori fu costretto a bloccare la costruzione e fece avanzare il collocamento dell’edificio per lasciare visibile l’habitat rupestre. Ancora oggi osservando il profilo di tutti i palazzi allineati su quella strada, appare evidente che uno risulta maggiormente spostato in avanti rispetto agli altri».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il bene, sottoposto a vincolo da parte della Soprintendenza archeologica è in realtà stato abbandonato alla “cura” dei condomini ed è ora in evidente stato di degrado. La signora Sara, la cui veranda all’interno del cortile si affaccia proprio sull’insediamento, ci permette di visitarlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Scendiamo attraverso una scala in ferro arrugginito e, costretta tra mura in cemento, ammiriamo la struttura che si apre sotto di noi. È interamente ricoperta da erbaccia e l’unico modo per accedervi e spiccare un bel salto che ci conduce sul tetto dell’ipogeo. Qui si apre un ampio buco lasciato quasi del tutto aperto se non fosse per una vecchia lamiera che lo copre solo in parte. Con un altro salto raggiungiamo la parte sottostante e scorgiamo l’ingresso. A fatica si riesce a vedere l’interno sorretto da impalcature e travi perchè pericolante e interamente disseminato da cumuli di immondizia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Io abito in questa casa dal 91, da quando hanno terminato di costruire il palazzo – ci svela Sara -. L’avevo già acquistata nell’87 e come tutti gli altri condomini sono stata costretta a versare 5 milioni di lire in più a causa della modifica del progetto che l’architetto ha dovuto apportare in seguito al rinvenimento archeologico. La Soprintendenza ci spiegò che era necessario farlo perché il sito doveva essere reso visitabile soprattutto alle scolaresche ma io qui non ho mai visto nessuno».  

(Vedi galleria fotografica)


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