Da Michele Genovese a Vito Guerra: sulle tracce dell'arte buffonesca di "Piripicchio"
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martedì 21 aprile 2020
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di Carol Serafino
«Genovese? Era un attore povero, recitava per strada come i grandi giullari di razza e del giullare aveva il talento a forti tinte, la faccia mobilissima e la voce intonata e stentorea», scrive Michele Mirabella nella prefazione del libro “L’ultima mossa. Omaggio a Piripicchio” (Gelsorosso), a cura di Angelo Saponara.
Una carriera che ebbe il suo apice nel giugno del 1977, quando il comico vide avverarsi il sogno che custodiva da anni segretamente: esibirsi nel Teatro Piccinni di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Alla morte, avvenuta nel 1980 a Bitonto, c’è però chi ha raccolto il suo testimone. Vito Guerra, cabarettista di Ceglie del Campo, ripropone infatti da allora lo stesso repertorio reso celebre dal suo predecessore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Dopo l’addio di Michele decisi di interpretare il mitico Piripicchio – ci racconta l’oggi 76enne Vito -. Il motivo? Non volevo che si perdesse per sempre questa maschera, che rappresenta l’essenza dei grandi artisti di strada».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E così Guerra, accompagnato dalla fidata orchestra “U sciaraball” composta da fiati e percussioni, porta in scena le leggendarie scenette ideate da Genovese. Tra queste la famosa “contraerea”, con cui risponde a un colpo di grancassa con un deciso movimento del bacino: un modo per prendere in giro e “scacciare” i bombardamenti che durante il conflitto mondiale terrorizzarono Bari. Guerra tra l’altro ha riproposto questa gag a fine marzo, questa volta per dare “una botta” al Coronavirus.
E poi improvvisazioni con il pubblico, battute maliziose, balli e tante canzoni sia popolari (“Era un bel giorno di maggio”) che dialettali (“Tutti hanno la bicicletta e maritme”). Fondamentale durante questi sketch è il ruolo del bastone, che Piripicchio usa per “dirigere” sia i musicisti che gli spettatori, lanciandolo e facendolo roteare come faceva Charlie Chaplin.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Anche la bombetta non è un semplice accessorio: come Stanlio e Onlio e Totò, questo cappello è utilizzato in mille modi, tra cui quello di muoverlo utilizzando solo piccoli movimenti della testa. Il tutto per uno show sopra le righe. Del resto ancora oggi “fare il piripicchio” vuol dire assumere «un atteggiamento debordante, stravagante e buffonesco», come scrive l’antropologo Enzo Spera nel volume succitato.
Attenzione però, Vito non si limita ad esibirsi in strada: spesso e volentieri raggiunge ospedali e case di riposo per portare un po’ di allegria a chi ne ha bisogno. «Ho preso esempio da Genovese – ci confessa -. Lui non voleva certo arricchirsi con le offerte che gli venivano fatte dopo le sue performance: il suo obiettivo era invece quello di regalare un sorriso a tutti. Era difatti un uomo buono e generoso, che sapeva valorizzare l’arte e la vita lavorando con il cuore. Così come, in memoria di “Piripicchio”, cerco di fare anch’io».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
Nel video: un’esibizione di Vito Guerra-Piripicchio a Rutigliano, nel gennaio 2020
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Carol Serafino
Carol Serafino
I commenti
- Vito Petino - Di Vito Guerra, oltre che frequentazioni quasi giornaliere avute negli anni '70 negli uffici tecnici del Comune e in particolare in quello del caro geom Franco Zito venuto a mancare troppo presto, io in cerca di approvazioni progettuali e lui quale titolare di una impresa per la manutenzione dei marciapiedi cittadini, un particolare mi è tuttora caro. Nel 1995 mi donò col suo trio musicale una stupenda serenata per il compleanno di mia moglie. Vito, io non dimentico. Ti sono sempre debitore...
- Vito Petino - OLTRE I DUE PIRIPICCHIO C'È STATO UN ALTRO ARTISTA DA STRADA CHE A BARI ATTIRAVA FOLLE NEI PRIMI ANNI '50. LO CHIAMAVAMO TARZAN ... Io e i ragazzi della mia generazione chiamavamo Totò il Piripicchio di Barletta, che ci divertiva con i suoi lazzi soprattutto nel nuovo quartiere Japigia che abitavamo da pochi mesi nel 54, facendo ridere noi ragazzini e le mamme che poi gli donavano il soldo a piacere. Ricordo anche l'uomo forzuto che spezzava le catene mentre si teneva in equilibrio su un rullo posto su un trespolo alto. Si esibiva spesso in piazza Luigi di Savoia sul largo marciapiedi della caserma Picca, e aveva come assistente il figlio, biondo occhialuto robusto ma non muscoloso come il padre. Suo compito principale quello di girare col cappello a raccogliere offerte a piacere alla fine dello spettacolo, che di solito durava 15, 20 minuti in cui l'uomo di forza, chiamato anche Tarzan per esibirsi a torso nudo, ma sempre con pantaloni lunghi, e per i muscoli consistenti. Si manteneva in equilibrio su una tavola e un rullo sotto come ho già detto, poi spezzava una catena che il figlio gli aveva attorcigliato attorno a petto e braccia incrociate dietro, inoltre sollevava il figlio, che doveva avere circa 20 anni, sopra una tavola appoggiata sulle proprie spalle, e infine spruzzando benzina dalla bocca faceva lo sputafuoco. Non avendo soldi a quell'età, di solito tutti i ragazzini se la svignavano a fine spettacolo ...